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Autore Discussione: L'arsenale nucleare costringe gli Stati Uniti a puntare ancora su Musharraf  (Letto 2421 volte)
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« inserito:: Dicembre 29, 2007, 09:46:01 pm »

ESTERI

L'ANALISI/ L'arsenale nucleare costringe gli Stati Uniti a puntare ancora su Musharraf

Pakistan, un Paese nel caos con l'incubo bomba atomica

di BERNARDO VALLI


IL PAKISTAN non è un paese come gli altri. E' unico. E' un paese musulmano dotato di armi nucleari. Il solo.

Quando le strade delle sue città, a Islamabad, a Karachi, a Lahore, sono invase dagli integralisti sensibili ai richiami dei taliban e dei capi di Al Qaeda, arroccati nelle incontrollabili contrade pachistane confinanti con l'Afghanistan, gli strateghi del Pentagono vivono un incubo.

E con loro gli inquilini della Casa Bianca che hanno puntato sul Pakistan per contenere il terrorismo, il cui epicentro, il cervello, si trova proprio in quell'area geografica.

Un incubo che è difficile non condividere anche se non si condividono idee e responsabilità della superpotenza. Il Pakistan rappresenta da tempo un'incognita. La sua immagine è quella di un paese con due volti: talvolta prevale quello che esprime stabilità militaresca in una regione tormentata; talvolta quello che al contrario annuncia, minaccia esplosioni di fanatismo capaci di sconvolgere ancor più la già traumatizzata regione.

In realtà più che alternarsi le due facce si confondono in un profilo ambiguo, che è poi quello descritto da Salman Rushdie, autore di un famoso romanzo ("Shame") in cui racconta quel che si nasconde sotto la dura crosta musulmana della società politica pachistana. Lo leggevo a Islamabad, nei primi anni Ottanta, quelli dell'occupazione sovietica dell'Afghanistan, e i miei interlocutori pachistani si scandalizzavano alla vista della sola copertina.

Salman Rushdie emanava un odor di zolfo prima ancora di pubblicare " I versetti satanici" che gli valsero la fatwa degli ayatollah iraniani. A quell'epoca il virus del terrorismo islamico non era visibile, ma la società era già abbondantemente percorsa dai demoni religiosi. Demoni annidati nelle origini dello stesso Stato nato dalla scissione dall'India multireligiosa. A Islamabad si diceva che per uno dei personaggi Salman Rushdie si era ispirato alla giovane Benazir Bhutto. E' questo, soprattutto, che mi spinge a ricordare il romanzo.

L'assassinio di Benazir Bhutto, assurta giustamente a simbolo della democrazia insanguinata, non significa, comunque, il brusco prevalere del volto minaccioso del Pakistan, con tutti gli annessi demoni risvegliati dal timore di vedere gli integralisti al governo di una potenza nucleare. Siamo ben lontani da questo, anche se la semplice idea può togliere il sonno. O provocare incubi. Il pronostico più ragionevole è quello di un Pakistan sempre più oscillante tra le sue due anime. Vale a dire sempre più ambiguo. Ancor più agitato alla vigilia delle incerte elezioni dell'otto gennaio.

E questo basta per scardinare ulteriormente la strategia americana, condivisa dai principali paesi occidentali, nella regione. L'amministrazione Bush puntava su Benazir Bhutto per ricondurre il paese a una decente democrazia, dopo lo strappo autoritario di Pervez Musharraf. L'ideale sarebbe stata un'intesa, un compromesso tra i due. Il compromesso, che avrebbe meritato l'aggettivo di storico, è stato cancellato dal kamikaze. Ora i sostenitori della Bhutto vedono in Musharraf l'istigatore dell'assassinio.

Non sarà facile disinnescare le passioni.

Dall'11 settembre, dall'attentato alle Due torri, Bush ha considerato Musharraf il più stretto alleato nella "guerra contro il terrorismo". La scelta era logica, obbligata. Senza l'appoggio del Pakistan era infatti impossibile intervenire in Afghanistan dove era annidata Al Qaeda, ospitata o subita dai Taliban. Non c'era un'alternativa anche se il Pakistan era al tempo stesso alleato dell'America e il retroterra di Al Qaeda e dei Taliban. E non solo perché il suo forte esercito (tre volte vittorioso nelle guerre con l'India) non era in grado di controllare la cossiddetta " area tribale" a ridosso dell'Afghanistan. Né la sua polizia di sorvegliare sul serio i labirinti delle scuole coraniche, inevitabili vivai di integralisti e di naturali alleati dei fratelli afghani.

La non tanto segreta aspirazione di Islamabad era di ridurre l'Afghanistan alla condizione di un suo protettorato, e quindi covava l'inconfessabile speranza di vedere quel paese sfasciato e trascurato dalla superpotenza. La quale, oltre alla punizione dei dichiarati mandanti dell'attentato di New York, aveva come obiettivo la creazione di uno Stato afgano accettabile e sovrano.

Ecco ancora i due volti del Pakistan.

Il pericolo è adesso che la morte di Benazir Bhutto inquini o paralizzi il (già non facile) rapporto strategico tra l'Afghanistan e il Pakistan. Un rapporto vitale per evitare che il confine tra i due paesi sia un facile corridoio per i Taliban e gli uomini di Al Qaeda. Se i disordini dovessero estendersi, l'esercito pakistano sarebbe costretto a ridurre il suo impegno lungo la frontiera. Inoltre, le passioni che percorrono la società politica e militare potrebbero riservare sorprese. Dopo la morte di Benazir Bhutto, agli americani resta un solo personaggio su cui puntare: il discreditato Musharraf.

Hamid Karzai, il presidente afghano, contava su Benazir Bhutto per migliorare le relazioni con il Pakistan. Con Pervez Musharraf il dialogo non è mai stato disteso. E' stato spesso appesantito dai reciproci sospetti. Insomma un rapporto avvelenato dalla diffidenza. Karzai aveva invece fiducia in Benazir Bhutto. L'ha incontrata in Pakistan poche ore prima dell'attentato. Hanno parlato appunto della necessità di rendere più impermeabile il confine. Un problema essenziale anche per le truppe occidentali (e tra queste quelle italiane) che operano in Afghanistan.

Anche nel resto del subcontinente, in India, tradizionale, storica rivale del Pakistan, non si nasconde l'inquietudine dopo il riuscito attentato di Rawalpindi.

Il primo ministro, Manmohan Singh, ha definito la Bhutto una persona di coraggio, che voleva finirla con "le sterili rivalità del passato", e ha messo in stato d'allerta l'esercito al confine pachistano, come accade ritualmente ad ogni crisi da più di mezzo secolo. Anche l'India possiede armi nucleari. E non può che condividere l'incubo di chi pensa alla possibilità che un giorno gli integralisti musulmani possano assumere il controllo degli arsenali nucleari del Pakistan. Il pericolo, come ho detto, non è d'attualità. Ma basta l'idea.

(29 dicembre 2007)

da repubblica.it
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