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Autore Discussione: GUAZZABUGLIO 1 NUOVO E VECCHIO insieme.  (Letto 10751 volte)
Arlecchino
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« Risposta #15 inserito:: Ottobre 13, 2021, 02:29:02 pm »

Letizia D.

Mio figlio, venuto giù per dieci giorni, mi ha portato dal dentista. È sceso per me, per aiutarmi. E per la raccolta delle olive. Al ritorno ha voluto farmi girare un po’ la città in auto. Io posso starci poco e soprattutto non posso rischiare una frenata o qualcosa di peggio. Per cui tutto ha da essere sotto una attenzione grande. Mi faceva vedere le strade così come sono adesso, quelle vuote e quelle rinnovate e in ripresa, i negozi nuovi e i bar disordinati, i palazzi anni ‘50 che ricordo bene e quelli recenti. Le macchine mal posteggiate, la via centrale che non sa risorgere. Però ero presa da una forte sonnolenza post trattamento, in più non abituata ad uscire, il sole che colpiva gli occhi e il vestiario autunnale, l’estate già finita del tutto, il bisogno di tornare a casa, al mio letto per stare con gli occhi chiusi, lui contento di avermi accanto a dirmi e spiegarmi, io felice della sua presenza e della sua guida rassicurante. Noi due insieme fuori come non più, come non mai. E allora stanotte non ho saputo dormire, le sue parole per convincermi a dovere fare altre sedute odontoiatriche assolutamente necessarie che invece rimando, i farmaci che ho dovuto prendere per poter uscire, la mattinata trascorsa nel dolore, la pizza calda che la vicina mi ha fatto trovare a sorpresa, il pensiero mezzo tolto e quello che invece investe il futuro mio difficile, il primo pomeriggio luminoso, la città che rimane dentro, le sue mani sottili sul volante, il tocco leggero e sicuro. Le parole necessarie a convincermi. Noi due finalmente insieme in un momento insperato di vita. Noi due fuori dai muri del nostro appartamento per poco, in una parvenza di vita normale. Il suo desiderio. Io presa dal sonno post tutto, io che non so più abbandonarmi al bello, io che non so amare il mare come lui, io che voglio vedere i miei monti alla finestra, gli oggetti della casa, io che cambio le lenzuola spesso, io che ho subito tolto gli abiti e indossato il pigiama. Lui che è venuto per me. Ho apparecchiato piano piano la tavola poi. Ho mangiato in silenzio da sola. Ho poggiato la testa sui miei cuscini. Ho come pianto, un poco

Da Fb il 13 ottobre 2021
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« Risposta #16 inserito:: Ottobre 14, 2021, 02:44:22 pm »


Le Categorie Umane non sono le Razze (che nell'uomo non esistono).

Non sono neppure le Classi Sociali tirate in lungo artificialmente da una ideologia incapace di coesistere e proiettarsi nel futuro con il progresso dello sviluppo compatibile.

In fondo le Categorie Umane non sono neppure trattate concretamente nella Condizione Umana su cui si filosofeggia da oltre un secolo.
Le Categorie Umane, per come le intendiamo noi, sono le Differenti Condizioni in cui l’essere umano è costretto a vivere o in ogni caso vive, sia come singolo protagonista della sua condizione personale, sia come compartecipe della situazione generale con il suo gruppo, oppure immerso nell’area in cui respira, sino ad arrivare alla realtà della Nazione che abita, nelle diverse società umane del mondo.

Le Categorie Umane sono infinite, dunque, se consideriamo che ogni individuo è un Mondo complesso con diverse aspettative sociali e differenti ambizioni personali egocentriche.

La strada che intendiamo “trovare” in questa complessità sociopolitica, resa ancora più imbrigliata da una gestione malsana della cosa pubblica, è quella che prima o poi farà incontrare l’umanità che pensa con l’Essenza del tutto, … l’UOMO.

L’Essenza ci significa che - “ciò per cui una certa persona è quella che è, e non un’altra persona” - (concezione aristotelica).   
Quindi è sulla qualità del singolo Essere Umano che la Società del futuro deve investire: la qualità sociale e personale del Singolo nella migliore qualità dell’ambiente in cui vive.

Noi Vecchi non ci saremo, ma oggi essendo sopravvissuti (forse) ad una catastrofe che pochi hanno compreso in modo consapevole, pensiamo nel modo sopra descritto, … IN SINTESI.

ggiannig
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« Risposta #17 inserito:: Ottobre 15, 2021, 09:23:05 pm »

Zuckerberg, Nietzsche e io

Grazie a tutte e tutti per gli auguri di ieri.
Siete stati e state così tanti e tante che ringraziarvi tutti e tutte è impossibile. Mi avete fatto piacere e perfino cambiato l’umore.

Come sapete il pomeriggio e la sera del 4 ottobre 2021 saranno ricordate per il grande crollo di Facebook, Instagram e WhatsApp. Per cinque ore miliardi di esseri umani si sono sentiti scollegati dal mondo. Capite bene che a me che stavo per compiere gli anni e avevo voglia, anzi bisogno, di affetto e calore, il prolungato blackout ha causato nell’ordine allarme, preoccupazione, ansia, angoscia, disperazione, emozioni che si sono sciolte in sollievo e gioia quando, intorno alla mezzanotte, almeno WhatsApp ha ricominciato timidamente a funzionare. In quelle cinque ore di silenzio mi sono reso conto di essere nella stessa identica condizione degli adolescenti, che non appendono più nulla in camera, perché dentro il telefono custodiscono quasi tutto il mondo, gli affetti, le amicizie, gli amori.

Sono convinto, e l’ho scritto molte volte, che una delle ragioni del successo del digitale e dei social network, e del loro potere additivo, risieda nella loro forza teologica: nel promettere, cioè, che la felicità possa irrompere da un momento all’altro nelle nostre vite da qualcosa o qualcuno che sta altrove. È una felicità che può manifestarsi sotto forma di incontro, risata, colpo di fortuna, e che però trae la sua forza, come tipico della felicità, dalla sua natura di promessa. Da una decina di anni a questa parte, i telefonini hanno assorbito ogni cosa, perfino la possibilità di essere felici. In un certo senso ci ritroviamo nella condizione in cui, secondo Nietzsche, ci ha fatto precipitare il cristianesimo che, promettendo una felicità ultraterrena ed eterna, ha immiserito e spogliato di senso la felicità terrena, impedendoci di fatto di vivere davvero la vita.

La promessa continua di trascendenza che il digitale implica, e di cui i telefonini sono lo strumento principale, ha l’effetto di impoverire il qui e ora perché una parte di noi, della nostra attenzione, è sempre rivolta all’altrove, alla possibilità che quella promessa si avveri. Assomigliamo, cioè, a quegli ebrei che mangiano tenendo la porta socchiusa nell’eventualità che il Messia si decida a tornare.

Durante il down del 4 ottobre ho capito che oggi quella porta è in buona parte controllata dai social di Mark Zuckerberg.

Ma ho anche capito, con buona pace di Nietzsche, che l’esistenza di questa porta allarga la felicità, non la restringe, perché allarga il numero delle persone – amici, parenti o anche solo sconosciuti – che hanno la possibilità di pensarti e di essere gentili con te.

Per concludere, ricordo a chi mi ha fatto gli auguri (non solo digitali) di farli anche a Friedrich Nietzsche, che il 15 ottobre compirà 187 anni.

Da - https://www.ilpost.it/giacomopapi/2021/10/06/zuckenberg-nietzsche-e-io/
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