Un grido dalla galassia nel Caos. Basta con la democrazia (ma sono sfascisti)

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Arlecchino:
L'informazione locale dal Veneto

09 MAGGIO 2022
 

QUELLA NOTTE A VENEZIA

Buongiorno, ecco una serie di notizie selezionate per te dalla redazione del Corriere del Veneto. Antonino Padovese, caposervizio web, vi parla di quello che successe il 9 maggio 1997, tra Roma e Venezia.
Buona lettura!
 
 
Per chi fa questo mestiere, il 9 maggio 1997 è una data da ricordare. Quel giorno cominciò molto presto, prima dell’alba, con la voce di Maurizio Crovato che si collegava nelle edizioni notturne del giornale radio Rai, uno dei pochi presidi dell’informazione allora aperto 24 ore su 24. Crovato si collegava da Venezia, dove un carro armato (poi si scoprirà la finzione) era arrivato, non si capiva ancora come, in piazza San Marco. E un manipolo di uomini aveva assaltato il campanile, “El Paron”, il padrone di Venezia, come dicono qui.
 
Poche ore dopo quell’assalto era finito ma a Roma, attorno all’ora di pranzo, cominciava un’altra tragedia, quella di una studentessa universitaria, Marta Russo, colpita alla testa da un colpo di pistola. Marta Russo non sopravvivrà allo sparo, l’inchiesta portò alla condanna di due professori universitari, Scattone e Ferraro, e alla scoperta di un mondo di omertà all’interno di una gloriosa istituzione universitaria come La Sapienza a Roma. A Marta Russo, promessa della scherma, sarà poi dedicato il palazzetto dello sport di San Stino di Livenza, Venezia.
 
Chi frequentava altre università, in Veneto, quel mattino si era alzato molto presto con la voce di Maurizio Crovato, che raccontava l’epilogo di un’azione cominciata almeno un paio di mesi prima quando in Veneto le trasmissioni Rai venivano disturbate di tanto in tanto da un sedicente “Veneto Serenissimo Governo”, che voleva riappropriarsi di una storia millenaria, quella di Venezia, che era finita il 12 maggio 1797 con il Doge che proponeva al Maggior Consiglio la resa della città a Napoleone Bonaparte. In quei due mesi potevi essere davanti alla tv per il Tg1 e sentire un audio che non corrispondeva ai servizi in onda: la voce era quella di uno dei “telepirati”, all’epoca i giornali li avevano battezzati, così, che parlava della storia di Venezia e dell'indipendenza.
 
Sull’assalto quel giorno parlarono in tanti, Umberto Bossi, all’epoca incontrastato leader della Lega, ventilò addirittura i “servizi segreti deviati”. Un partito già allora lombardo-centrico non aveva colto i segnali di insofferenza che arrivavano dalle campagne e dalla provincia del Veneto.

Massimo Cacciari, filosofo e in quegli anni sindaco della città, disse che alla fine quei Serenissimi li salvò al processo. E che capì subito che si trattava di una "pagliacciata". Venticinque anni dopo che cosa è rimasto di quel gesto?
Ancora Cacciari dice oggi che “le proteste sociali che partono da incazzature personali possono sempre sfociare in qualcosa di organizzato ma non certo su questi temi ormai passati”, come i 200 anni dalla fine di Venezia.

E la battaglia sul federalismo, tornata in voga dopo il referendum sull’autonomia del 2017?
Per Cacciari “la battaglia, quella vera, della riforma federalista dello Stato l’abbiamo strapersa”.
 
 
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Da – corriere.it




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