L'informazione locale dal Veneto
24 MARZO 2022
LA MORTE ADDOMESTICATA
Buongiorno, ecco una serie di notizie selezionate per te dalla redazione del Corriere del Veneto. Simone Casalini, caporedattore web, ha scelto di scrivere sul fine vita e il caso di Samantha D'Incà. Buona lettura!
La vita è sempre stata una lunga preparazione verso la morte. Il culmine (glorioso) di un percorso, quello in cui alla fine si tiravano le somme di un’esistenza. È stato così per secoli, nelle culture del mondo. In India il pregio di una vita profuma del legno di sandalo. Ma dall’Ottocento, dalla rivoluzione industriale, dalla seduzione del consumo, dall’affermazione della tecnica il rapporto di forza è stato rovesciato. Almeno in Occidente. E il protrarsi infinito della vita, l’illusione dell’immortalità hanno eroso culturalmente gli spazi della morte. L’hanno emarginata. Anche nominalmente: la morte è morta, diventando “fine vita”. Il fatto che solo 156mila italiani (14.574 in Veneto, lo 0,3% della popolazione) abbia depositato un bio-testamento (Disposizioni anticipate di trattamento, Dat) alla fine lo dimostra: la morte rischia di essere un tema rimosso. Anche se forse preferiamo addomesticarla. Evocandola e attirandola quando – come nella dolorosa storia di Samantha D’Incà, la trentenne di Feltre in stato vegetativo per una polmonite batterica, morta lunedì dopo l’interruzione dell’alimentazione – la vita si spegne per sempre. “Fine vita” e con dissociazione (“Io e mio marito siamo credenti, ma non ci saranno funerali. Solo una benedizione della salma. Siamo troppo arrabbiati con Dio” ha detto la mamma, esprimendo un dissenso non comune).
Tra il 1999 e il 2009 intorno al corpo di Eluana Englaro si disputò l’atto finale di questo lungo confronto tra vita e morte per rimodellare confini e ruoli. Il pensiero religioso e quello laico, tradizione e modernità si sfidarono con le loro liturgie, il senso di un dibattito infinito che i casi successivi, e al di là di quanto il legislatore abbia poi effettivamente registrato, rivelarono concluso. Non inganni il richiamo della morte: qui è solo la sua controfigura, una forma di liberazione da una morte in vita.
L’affermazione di questo processo culturale ha almeno tre cardini. Il primo è la de-sacralizzazione di vita e morte e l’allentamento dei rituali (spesso religiosi) che segnavano l’ingresso nella comunità di appartenenza, nell’adolescenza, nell’età adulta fino al commiato finale. L’”estremo saluto”. Oggi i percorsi e i cerimoniali sono plurimi e agiscono secondo il principio di differenza. La libertà individuale e l’autodeterminazione sono più esigenti e hanno scardinato ogni precetto. Le culture si sono incontrate con la globalizzazione, creando forme ibride che non soggiacciono a modelli precedenti. Le tecnoscienze sono il secondo cardine. Hanno spostato la frontiera tra vita e morte, ma non solo. Tra natura e cultura, tra soggetto e oggetto. E hanno aperto lo squarcio verso il mito del superamento delle malattie e, in qualche misura, dell’umano. Parti di noi possono essere sostituite come “macchine” sempre più raffinate. È l’incedere del postumano – terzo cardine – cioè del pensiero che guarda oltre l’uomo e ad un’altra configurazione dell’esistenza che transita per gli universi digitali, il cibo geneticamente modificato, le tecnologie riproduttive, le addizioni e sottrazione del corpo, gli avatar. La fine dell’umanesimo. Rosi Braidotti, voce essenziale del postumano, ha scritto che “abbiamo bisogno di progettare nuovi schemi sociali, etici e discorsivi della formazione del soggetto per affrontare i profondi cambiamenti cui andiamo incontro (…) La condizione postumana ci chiama urgentemente a ripensare, in modo critico e creativo, chi e cosa stiamo diventando in questo processo di metamorfosi”.
Sia chiaro l’evoluzione del problema non è negativa. La reimpostazione dei pesi tra vita e morte, la rottura dei simulacri che le imprigionavano, hanno liberato nuove possibilità, nuove libertà, nuove ipotesi di svolgimento della pellicola. Hanno creato opportunità anche di riconfigurazione della vita e della morte stessa. Tuttavia, il superamento di tutti i limiti, il mito dell’oltreuomo (di cui Nietzsche intuì per primo la traiettoria), lo schema che scompagina tutto rischia di farci perdere ogni contatto con i “territori dell’umano” (Franco Rella) che pure esistono e resistono, che popolano il quotidiano. E rischia di farci sbattere sulle parole di Kierkegaard: “Serietà è pensare veramente la morte, pensarla cioè come la tua sorte, e comprendere così ciò che la morte non può farti comprendere: che tu sei e che la morte parimenti è”.
Ricevi questa email in quanto iscritto alla newsletter. Titolare del Trattamento Dati è RCS MediaGroup S.p.A.
Da - Newsletter Corriere del Veneto <
corrieredellasera@publisher-news.com>