Ferrara, la crociata contro il preservativo
Roberto Cotroneo
Titolo del pezzo: «Salvati con il preservativo: l’enciclica di Livia». Livia sarebbe il ministro Livia Turco. Testata: Il Foglio. Firma: l’elefantino di Giuliano Ferrara. Per quasi tutto il testo pensi che stia scherzando, che utilizzi un artificio retorico, ma invece non è così, l’articolo dice sul serio. Tutto parte probabilmente da un’antipatia, elevata a potenza: quella verso Livia Turco, e verso Francesca Archibugi, che ha girato uno spot per la prevenzione dall’Aids. La Archibugi usa per la prima volta la parola preservativo. E a Ferrara questa cosa non va giù. Forse non è andata giù neppure alle gerarchie cattoliche alle quali Ferrara guarda con laico e appassionatissimo interesse.
Certo, si doveva trovare un modo elegante, wildiano, krausiano, nicciano, e oserei dire persino marinettiano per contestare tutto questo. Ne esce un articolo che ha qualcosa di veramente irresponsabile, per almeno due aspetti.
Il primo è che Ferrara fa l’elogio del non preservativo: «L’amore con l’air bag. L’amore con la gomma. Un sesso tecnico. Un altro capitolo del progetto Orgasmus», scrive l’elefantino. E aggiunge: «l’idea che lo stato ti suggerisca di vestire di gomma il pisello, trattandoti come un bambino scemo, incapace di subordinare gli istinti o i talenti alla ragione». E ancora: «Poi si lamentano degli stupri, della solitudine, della violenza, dell’indifferenza, queste donne moderne sull’orlo di una crisi di coscienza. La concupiscenza a loro va bene, tutto bene benissimo, e deve essere esercitata al riparo da ogni senso del peccato, parola desueta e insignificante, poco laica». E questa è francamente troppo pesante. Ma davvero pesante.
Ma Ferrara è partito del tutto per la cosiddetta tangente, in un marinettismo senza pari, in un futurismo estetico che anziché affondare Venezia, affonda il buon senso, e una cultura moderna che dice quanto l’Aids sia una malattia da cui ancora non si guarisce, e che senza farmaci adeguati porta alla morte in pochissimo tempo. Perché lo fa? Perché gli sono antipatiche la Turco e la Archibugi? Perché non gli piace il preservativo? O perché non piace alla Chiesa?
Il secondo aspetto è proprio questo. Ferrara è troppo intelligente per capire che non ha scampo. Che una posizione come la sua è indifendibile, a meno che non sei il papa. O il segretario di Stato del Vaticano. E dunque deve inventarsi qualcosa.
L’unico modo è una sorta di vitalismo decadente e deraciné. Un incrocio tra Huysmans e Oscar Wilde, passando per Rilke, per il cinismo disperato di Toulouse-Lautrec, per un certo dannunzianesimo, con accenti persino pasoliniani, se proprio vogliamo guardar bene. C’è in questo articolo, irresponsabile, buona parte della sua cultura libertaria anni Settanta, purtroppo mescolata a un revisionismo neointegralista davvero interessante. Come quando sostiene, attraverso un’interpretazione ottocentesca, ormai assai superata, che il medioevo fu «un buio profondo». Quando da Huizinga in poi sappiamo che non fu affatto così. Come quando mette in gioco il rischio come unica possibilità di riscatto a una vita segnata dalla normalità e dal buon senso. Come quando vuole far credere che una vita veramente vissuta è solo quella di chi non calcola. L’amore? Non si calcola, non ci si mette il palloncino prima, guai a te. È un’ideale questo, che Nietzsche nella Nascita della Tragedia sintetizza bene: «Giacchè solo come fenomeni estetici l’esistenza e il mondo sono eterna-mente giustificati».
Dio santissimo, è proprio il caso di dirlo. Giù per li rami, partendo dal nichilismo nicciano, si arriva agli assai più banali James Dean, a Kurt Cobain, e a una quantità di cuori intrepidi, irrazionali, appassionati che ne hanno fatte tante: poeti che si sono suicidati mettendosi in frac e bevendo stricnina. Gente che andava a fari spenti nella notte a tutta velocità «capire se è così facile morire». E i soliti che vogliono la «vita spericolata», e sentono solo Vasco Rossi. Immagino che Ferrara detesti anche le cinture di sicurezza, i limiti di velocità. E forse è pienamente convinto che la guerra sia l’igiene del mondo.
Peccato che nulla di tutto questo è vero, e non ci crede soprattutto lui. Il suo è un esercizio di stile, perfetto per Raymond Queneau, o se vogliamo andare ancora più indietro per la citatissima Modesta proposta di Jonathan Swift. È tipico di Giuliano Ferrara: non voglio sentir parlare di preservativo, ma non posso dirlo come lo direbbe un alto prelato. Allora apro la biblioteca di casa, e vi stupisco, con effetti speciali.
Da questo punto di vista poteva fare anche di meglio. E quando termina il suo articolo scrivendo: «se lo stato è il pronto soccorso del desiderio regolato dall’istinto, se è il farmacista della fregola, se moraleggia a vanvera e controassicura con la gomma il formidabile gesto dell’amore, dove troverò la forza per rispettarlo?». Gli risponderemmo che come scelta anarchica, è piuttosto di nicchia, e francamente assai insostenibile, e come anarchici continuiamo a preferire Sacco e Vanzetti.
Però soltanto una cosa ci consola. Ci consola che Il Foglio è giornale letto da un’élite intellettuale, che conosce Cioran, Ceronetti, e Karl Kraus, e gli aforismi di Oscar Wilde li lascia ai baci Perugina (non è che Ferrara si è messo a mangiare cioccolata ultimamente?). E dunque conosce il gusto del paradosso, e se legge Swift poi non si mette a cucinare i bambini per cena. I nostri figli adolescenti di solito non leggono il giornale di Ferrara, speriamo mettano il preservativo quando occorre, e che siano comunque felici, anche se gli è toccato vivere nell’epoca «dell’amore profilattico».
roberto@robertocotroneo.it Pubblicato il: 04.12.07
Modificato il: 04.12.07 alle ore 8.58
© l'Unità.