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Autore Discussione: I mismatch tra economia e politica si accentua ogni giorno che passa.  (Letto 1610 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Ottobre 14, 2018, 05:48:37 pm »

Equilibrio economico e interessi elettorali

I mismatch tra economia e politica si accentua ogni giorno che passa. Il governo ha finalmente presentato la Nota al documento di politica di bilancio. Per il ministro dell’Economia e delle Finanze essa prefigura una legge finanziaria che sarà «coraggiosa e responsabile, in quanto punta alla crescita e al benessere dei cittadini, assicurando… un profilo di riduzione del deficit che passerà dal 2,4% del 2019 al 2,1% del 2020 per chiudere all’1,8% del 2021». Tuttavia, tra gli economisti (così come riportato anche da questo giornale), sono in molti ad avere dubbi sulle previsioni avanzate in quella Nota, anche perché il contesto economico internazionale non è favorevole e la Banca centrale europea sta tirando in barca i remi del quantitative easing. Ma i dubbi sulla sostenibilità della manovra finanziaria diventano ancora più forti quando si ascoltano i due vice-premier del governo, impegnati in una reciproca competizione elettorale per tirare la coperta delle spese verso l’uno oppure verso l’altro. Per loro, quella Nota sembra essere un manifesto elettorale piuttosto che un documento di politica di bilancio. Come è possibile che i leader del governo di uno dei Paesi più industrializzati al mondo non si pongano il problema delle possibili conseguenze economiche negative della manovra finanziaria che stanno mettendo in campo? Cercherò di spiegare che ciò non è dovuto alla carenza di cultura economica da parte loro, bensì alla strategia politica che perseguono.
I leader della Lega e dei Cinque Stelle sono impegnati a rovesciare un equilibrio politico europeo, prima che a costruire un nuovo equilibrio economico italiano. Hanno capito che non possono conseguire il secondo obiettivo se non hanno raggiunto il primo obiettivo.
L’interdipendenza europea è così stretta da vincolare l’autonomia decisionale nazionale. Anche se essi rappresentano elettorati e aree geografiche (relativamente) diversi, tuttavia convergono verso l’obiettivo di accrescere quella autonomia decisionale, senza la quale non potrebbero realizzare le politiche di spesa necessarie per consolidare il loro consenso interno. Entrambi hanno capito che è irrealistico raggiungere quell’obiettivo seguendo la strada di Nigel Farage, vista la drammatica complessità della fuoriuscita britannica dall’Unione europea (Ue). Così come è irrealistico raggiungere quell’obiettivo attraverso la strada indicata a suo tempo da Alexis Tsipras, viste le umilianti conseguenze indotte dal suo tentativo unilaterale di violare le regole dell’Eurozona. Di qui la loro strategia (condivisa da altri partiti sovranisti europei) di conquistare l’Ue dall’interno, per poterla quindi svuotare di competenze e controlli. Le elezioni per il Parlamento europeo del prossimo maggio 2019 sono un passaggio cruciale per realizzare tale strategia. Attraverso il meccanismo dello spitzenkandidat, le forze sovraniste potrebbero convergere con le componenti euro-scettiche del Partito popolare europeo per eleggere un presidente di Commissione sensibile alle loro rivendicazioni nazionaliste, così sconfiggendo l’asse europeista Merkel-Macron. Per dirla con Douglass North, l’Europa è in una “giuntura critica”, un periodo storico in cui vecchi equilibri sono stati indeboliti e nuovi equilibri potrebbero affermarsi (anche grazie al contributo dei partiti del governo italiano). Se la giuntura critica della fine della Guerra Fredda (1989-1992) aveva condotto alla nascita della nuova Europa (monetaria), l’attuale giuntura critica potrebbe condurre alla rinascita della vecchia Europa (doganale). Un’Europa, quest’ultima, che potrà accogliere i sovranismi al suo interno, al prezzo però di mettere in discussione il funzionamento del mercato unico.
Ecco perché i due leader del nostro governo sono interessati ad una manovra finanziaria che parli ai loro elettori (vecchi e nuovi) piuttosto che alla Commissione europea o ai mercati finanziari. Leggendo la Nota, si può vedere che non è stato dimenticato nessun gruppo sociale di una possibile coalizione sovranista. Ma per mobilitare quest’ultima, occorre avere un nemico, cioè la Commissione europea. Siccome è altamente probabile che la Commissione sarà costretta ad aprire una procedura di infrazione nei confronti del governo italiano (visto che la legge di bilancio 2019 non prevede una diminuzione, né nominale né strutturale, del rapporto deficit/Pil), ciò fornirà un assist formidabile ai leader dei due partiti di governo per la loro campagna elettorale del prossimo maggio (per di più, l’apertura della procedura avrà una scarsa efficacia pratica, essendo la stessa Commissione in scadenza). I nostri vice-premier avrebbero un nemico in carne ed ossa da combattere come il responsabile dei nostri guai sociali ed economici. Contemporaneamente, radicalizzando lo scontro con l’Ue, i due vice-premier potranno consolidare il controllo sui rispettivi partiti. Infatti, è bene tenere presente che la Lega nazionale (con i suoi istinti autoritari) non coincide con quella (di sentimenti autonomisti) che governa importanti regioni dell’Italia del nord. Così come non va dimenticato che l’attuale leadership nazionale dei Cinque Stelle è tutt’altro che solida (di qui, peraltro, la sua spasmodica celebrazione di successi politici inesistenti).
In conclusione, il mismatch tra interessi politici e logica economica potrebbe condurre ad esiti imprevedibili prima ancora delle elezioni europee. In questo contesto, le forze sociali ed economiche organizzate dovrebbero riaffermare le priorità delle politiche (per la crescita e l’inclusione) necessarie al Paese, creando un baricentro riformatore capace di contenere la deriva estremistica della politica elettorale. Collateralismi e politicismi indebolirebbero quel baricentro piuttosto che rafforzarlo. Come sa chi va a vela, si può andare avanti anche con il vento contrario.
I mismatch tra economia e politica si accentua ogni giorno che passa. Il governo ha finalmente presentato la Nota al documento di politica di bilancio. Per il ministro dell’Economia e delle Finanze essa prefigura una legge finanziaria che sarà «coraggiosa e responsabile, in quanto punta alla crescita e al benessere dei cittadini, assicurando… un profilo di riduzione del deficit che passerà dal 2,4% del 2019 al 2,1% del 2020 per chiudere all’1,8% del 2021». Tuttavia, tra gli economisti (così come riportato anche da questo giornale), sono in molti ad avere dubbi sulle previsioni avanzate in quella Nota, anche perché il contesto economico internazionale non è favorevole e la Banca centrale europea sta tirando in barca i remi del quantitative easing. Ma i dubbi sulla sostenibilità della manovra finanziaria diventano ancora più forti quando si ascoltano i due vice-premier del governo, impegnati in una reciproca competizione elettorale per tirare la coperta delle spese verso l’uno oppure verso l’altro. Per loro, quella Nota sembra essere un manifesto elettorale piuttosto che un documento di politica di bilancio. Come è possibile che i leader del governo di uno dei Paesi più industrializzati al mondo non si pongano il problema delle possibili conseguenze economiche negative della manovra finanziaria che stanno mettendo in campo? Cercherò di spiegare che ciò non è dovuto alla carenza di cultura economica da parte loro, bensì alla strategia politica che perseguono.
I leader della Lega e dei Cinque Stelle sono impegnati a rovesciare un equilibrio politico europeo, prima che a costruire un nuovo equilibrio economico italiano. Hanno capito che non possono conseguire il secondo obiettivo se non hanno raggiunto il primo obiettivo.

L’interdipendenza europea è così stretta da vincolare l’autonomia decisionale nazionale. Anche se essi rappresentano elettorati e aree geografiche (relativamente) diversi, tuttavia convergono verso l’obiettivo di accrescere quella autonomia decisionale, senza la quale non potrebbero realizzare le politiche di spesa necessarie per consolidare il loro consenso interno. Entrambi hanno capito che è irrealistico raggiungere quell’obiettivo seguendo la strada di Nigel Farage, vista la drammatica complessità della fuoriuscita britannica dall’Unione europea (Ue). Così come è irrealistico raggiungere quell’obiettivo attraverso la strada indicata a suo tempo da Alexis Tsipras, viste le umilianti conseguenze indotte dal suo tentativo unilaterale di violare le regole dell’Eurozona. Di qui la loro strategia (condivisa da altri partiti sovranisti europei) di conquistare l’Ue dall’interno, per poterla quindi svuotare di competenze e controlli. Le elezioni per il Parlamento europeo del prossimo maggio 2019 sono un passaggio cruciale per realizzare tale strategia. Attraverso il meccanismo dello spitzenkandidat, le forze sovraniste potrebbero convergere con le componenti euro-scettiche del Partito popolare europeo per eleggere un presidente di Commissione sensibile alle loro rivendicazioni nazionaliste, così sconfiggendo l’asse europeista Merkel-Macron.
Per dirla con Douglass North, l’Europa è in una “giuntura critica”, un periodo storico in cui vecchi equilibri sono stati indeboliti e nuovi equilibri potrebbero affermarsi (anche grazie al contributo dei partiti del governo italiano). Se la giuntura critica della fine della Guerra Fredda (1989-1992) aveva condotto alla nascita della nuova Europa (monetaria), l’attuale giuntura critica potrebbe condurre alla rinascita della vecchia Europa (doganale). Un’Europa, quest’ultima, che potrà accogliere i sovranismi al suo interno, al prezzo però di mettere in discussione il funzionamento del mercato unico.
Ecco perché i due leader del nostro governo sono interessati ad una manovra finanziaria che parli ai loro elettori (vecchi e nuovi) piuttosto che alla Commissione europea o ai mercati finanziari. Leggendo la Nota, si può vedere che non è stato dimenticato nessun gruppo sociale di una possibile coalizione sovranista. Ma per mobilitare quest’ultima, occorre avere un nemico, cioè la Commissione europea. Siccome è altamente probabile che la Commissione sarà costretta ad aprire una procedura di infrazione nei confronti del governo italiano (visto che la legge di bilancio 2019 non prevede una diminuzione, né nominale né strutturale, del rapporto deficit/Pil), ciò fornirà un assist formidabile ai leader dei due partiti di governo per la loro campagna elettorale del prossimo maggio (per di più, l’apertura della procedura avrà una scarsa efficacia pratica, essendo la stessa Commissione in scadenza). I nostri vice-premier avrebbero un nemico in carne ed ossa da combattere come il responsabile dei nostri guai sociali ed economici. Contemporaneamente, radicalizzando lo scontro con l’Ue, i due vice-premier potranno consolidare il controllo sui rispettivi partiti. Infatti, è bene tenere presente che la Lega nazionale (con i suoi istinti autoritari) non coincide con quella (di sentimenti autonomisti) che governa importanti regioni dell’Italia del nord. Così come non va dimenticato che l’attuale leadership nazionale dei Cinque Stelle è tutt’altro che solida (di qui, peraltro, la sua spasmodica celebrazione di successi politici inesistenti).
In conclusione, il mismatch tra interessi politici e logica economica potrebbe condurre ad esiti imprevedibili prima ancora delle elezioni europee. In questo contesto, le forze sociali ed economiche organizzate dovrebbero riaffermare le priorità delle politiche (per la crescita e l’inclusione) necessarie al Paese, creando un baricentro riformatore capace di contenere la deriva estremistica della politica elettorale. Collateralismi e politicismi indebolirebbero quel baricentro piuttosto che rafforzarlo. Come sa chi va a vela, si può andare avanti anche con il vento contrario.

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Sergio Fabbrini

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20181007&startpage=1&displaypages=2

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