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« Risposta #3 inserito:: Marzo 10, 2008, 03:36:12 pm » |
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Ma l’Italia si merita ancora Tremonti?
Oreste Pivetta
Giulio Tremonti vive ormai in televisione, inchiodato, ingessato, i capelli irrigiditi nell’immutabile onda argentea, l’aria di chi si concede accanto a inutili comprimari a milioni di telespettatori in attesa, la voce che detta argentina le sentenze necessarie all’esistenza del Paese, l’ambizione del motto di spirito... E qui Tremonti frana perché è uno di quegli individui totalmente privi di quel senso dell’umorismo di cui vorrebbero recar dono all’universo mondo e che producono catastrofi quando tentano di mostrarne anche solo un’ombra. Era difficile sopportarlo prima, quando sedeva alla scrivania di un ministero. Peggio adesso quando è la ripetizione, ma senza il ministero. Che magari riavrà, perché in questo paese può succedere di tutto. In realtà Giulio Tremonti non avrebbe voluto un ministero. Avrebbe atteso ancora un paio di anni, avrebbe atteso volentieri la fine naturale del governo Prodi, avrebbe atteso che Berlusconi fosse invecchiato un poco ancora. Sarebbe salito così in alto, fino all’ufficio del capo del governo. Invece si ritrova umiliato nell’attesa di una successione, in una sfida che gli mette tra gli intralci persino la Brambilla.
Dopo anni di condoni e di gite in bicicletta con Umberto Bossi a progettare la grande strategia nordista, si ritrova al punto di partenza: fermo, fermissimo, con la speranza di rifare tuttalpiù quello che ha già fatto (anche nella corsa alla Farnesina si ritrova davanti qualcuno: Formigoni), senza l’entusiasmo del neofita, quasi con rassegnazione come lascia capire attraverso le dotte pagine di un suo libro quando scrive che di fronte alla crisi si sono buttati via dieci anni (una buona parte dei quali trascorsi con Berlusconi).
Il libro in questione si intitola “La paura e la speranza. Europa: la crisi globale che si avvicina e la via per superarla”. Centoventi pagine, sedici euro. Lo pubblica Mondadori, che spera probabilmente più che negli incassi in un futuro sgravio fiscale. Leggerlo pare di trovarsi accanto il solito compagno di panchina, uno di quei tipi acidi che parlano di tutto e che concludono, per dirla con Fazio il presentatore, che le stagioni non sono più quelle di una volta e che i cinesi ci tolgono il pane. Non che faccia il destro, non che faccia il berlusconista. Non si sa che cosa faccia. Seguendolo nella pratica dell’iterazione e dell’elencazione (una bestemmia, si dovrebbe lasciare in pace il grande Perec) lo si potrebbe definire all’interno di un apertissimo range di ismi, cioè di ista: anticonsumista, antimercatista, colbertista, protezionista, citazionista, ambientalista, familista, federalista, catastrofista, globalista, antiglobalista, localista, futurista, nuclearista, tributarista, fiscalista.
Se proprio volete mettervi alla prova con la lettura di Tremonti, siate forti perché si comincia con la “paura”. Alla prima riga scoprirete che «è finita in Europa l’età dell’oro». Che è finita la fiaba del progresso continuo e gratuito. Attenti: «Il tempo che sta arrivando è un tempo di ferro». Dove qualcuno potrebbe supporre che stia arrivando anche il fuoco e che quindi ci si possa ritrovare al più presto nel mezzo di una bella guerra... Ma no: è solo il fantasma della povertà che si sta affacciando alla nostra porta.... Colpa del mercatismo, dell’idea cioè che tutto si possa chiudere dentro le regole del mercato: una «fanatica forzatura», secondo Tremonti, sublime critica al capitalismo (ma s’era già fatto sentire un paio d’anni fa, in tono, ad un convegno di Gianni Alemanno). Da un estremo all’altro, sintetizza Tremonti, from Marx to market, comincia a dettare, dall’utopia comunista all’utopia mercatista, a «un territorio - leggete - popolato da nuovi simboli, da nuove icone, da nuovi totem: pop, rap, jeans, reality, ecstasy, pc, online, e-commerce, e-bay, i-pod, dvd, facebook, r’n’b, disco, tecno, tom tom, ecc.». Mai come in questo caso si sentiva le necessità dell’eccetera... L’eccetera che ci conduce alla... «Possiamo... chiamarla come vogliamo: turbamento, crisi, tempesta, collapse, storm, turmoil, distress, crunch». Dentro la crisi o il turmoil o il distress una parte hanno avuto le nuove megabanche e i loro subprime, «il primo anello di una lunghissima catena di fuga dal rischio e di corsa ai profitti». Lo dice Tremonti. «Una fuga e una corsa fatte con tanti altri strumenti: wehicle, conduit, asset-backed commercial papers, collateralized debt obligations, derivatives, monolines, hedge funds, ecc.». Un altro eccetera: altrimenti chissà dove sarebbe arrivato... «non si può più dire che questa sia linea giusta...». Sul mercatismo, però, la sinistra , la parte maggiore della sinistra, «cioè quella governista», «tace e acconsente». Sinistra “nuovista”, che considera bello e buono tutto ciò che le appare nuovo. Dunque sinistra trasformista, movimentista, populista, sincretista, relativista, liberista (per non dimenticare nell’ansia polemica il professor Giavazzi, colpevole d’aver scritto “Il liberismo è di sinistra”), una sinistra postsessantottina (postsessantottista), perché si dovrà pur criticare il Sessantotto (corre un decennale), che ha cancellato i bisogni e ha scoperto i desideri, senza rimediare ai suoi vizi statalisti: il mio impegno è il vostro desiderio, l’ope legis al posto del merito. Conseguenza: cadono i valori, cade l’autorità. Per rimediare, arrivando alle soluzioni tremontiane, bisogna ripristinare i valori e l’autorità e in più la famiglia e l’identità, l’ordine, responsabilità e, per concludere, il federalismo. Un’impennata: senza il ricorso a Bossi saremmo al lamento della panchina. Non ci sono più le stagioni di una volta, i giovani non rispettano l’autorità, l’ordine? dove sta l’ordine? con tutte queste leggi, chi le rispetta più? la famiglia con tutti questi divorzi e poi vogliono sposarsi anche tra di loro, l’orrenda famiglia orizzontale dei pacs, tutti alla pari (e cioè, testualmente: «cohabitation légale, wettelijke samenwoning, registeret partnerskab, pacte civil de solidarieté, eingetragene lebenspartnerschaft, civil partrnership»), nessuno si prende più le sue risponsabilità. Miracolo: Tremonti non cita l’invasione degli immigrati, ma ci vorrebbe armati di balzelli e vincoli fiscali contro l’invasione degli ultracorpi asiatici (suscitando la curiosità di Panebianco, ieri sul Corriere, ennesima puntata del reality di via Solferino pro-Tremonti).
Rivolgendoci lo sguardo l’ex ministro invoca una nuova forma di welfare. Affidandosi al volontariato, sotto il campanile, che è la piccola patria nella quale ciascuno di noi si può riconoscere, «ubi bene, ibi patria». Per uno che cita, in disordine, Platone, Hegel, Marx, Engels, Walter Rathenau, Luigi Einaudi, Malthus, Alessandro Manzoni, Dahrendorf, Paul Klee, Ulrich Beck, accanto agli innumerevoli scritti del medesimo professor Giulio Tremonti, è una fine misera, angusta, un po’ egoista.
Pubblicato il: 10.03.08 Modificato il: 10.03.08 alle ore 8.18 © l'Unità.
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