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Autore Discussione: EUGENIO SCALFARI.  (Letto 317922 volte)
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« Risposta #540 inserito:: Gennaio 12, 2015, 10:37:36 pm »

I terroristi confiscano il loro dio per ammazzare la gente

Di EUGENIO SCALFARI
11 gennaio 2015
   
Il nuovo direttore di Charlie Hebdo, interrogato da un giornalista sulla linea che il suo settimanale satirico prenderà dopo la strage subita dai due "jihadisti" mercoledì scorso, ha detto che l'impostazione del giornale non cambierà: "Noi siamo dei laici mentre i terroristi sono integralisti. Non religiosi ma integralisti. Gridano "Allah Akbar" dopo ogni delitto che compiono, ma di Allah non gliene importa assolutamente niente. E dunque: laici contro integralisti. Dio, qualunque Dio, non c'entra. Lo scontro è soltanto politico, la nostra è una satira politica e il terrorismo è politico".

Ho ascoltato con molto interesse quell'intervista e pur essendo anch'io laico ed anche non credente, non sono del tutto d'accordo sulla tesi che lo scontro è solo politico. Fu così quando quaranta anni fa il terrorismo insanguinò l'Europa e in particolare l'Italia e la Germania.

Fu combattuto con argomenti politici, la sinistra comunista tagliò tutti i ponti con la sinistra terrorista e questa fu l'arma con la quale le Brigate Rosse furono scompaginate e poi, a breve distanza di tempo dall'uccisione di Aldo Moro, definitivamente sconfitte. Ma la situazione oggi non è simile a quella di allora.

Oggi il terrorismo nasce e si alimenta su radici non soltanto politiche ma anche religiose. Il capo dei talebani in Afghanistan era il mullah Omar, Bin Laden organizzava attentati in tutto l'Occidente ma al tempo stesso pregava. Il Califfato è un fenomeno politico ma religioso insieme; Al Qaeda alimenta la fede in Allah con le armi in pugno. Lo scontro tra Israele e i palestinesi è anch'esso politico e al tempo stesso religioso.

Tant'è che il governo di Netanyahu vuole ribattezzare Israele come Stato ebraico ancorché una parte dei cittadini siano arabi e musulmani ed altri di etnia ebraica ma non credenti.

Del resto Maometto, quando lanciò gli arabi che seguivano le massime del Corano e le disposizioni del Profeta, li esortò a non uccidere i bambini, i vecchi e le donne, ma di combattere nel nome di Allah loro Dio. Cristo era, secondo Maometto, un profeta ma la religione costruita non da lui ma dai suoi seguaci è nemica di Allah.

La letteratura e la poesia raccolsero e amplificarono lo scontro religioso e le guerre che ne sono derivate, a cominciare dalla battaglia di Roncisvalle, dai califfati di Cordova e dell'Andalusia, sgominati dopo qualche secolo dalla "reconquista" di Ferdinando e di Isabella.

I cattolici non furono da meno, le Crociate per la conquista della Terra Santa erano bandite dal Papa, i re cristiani fornivano le truppe e le flotte ma era il Papa di Roma a dare l'"imprimatur". Quando la Chiesa, dopo i primi tre secoli, scoprì il potere temporale, fu quello il suo centro e su di esso fondò la sua esistenza. Non a caso il re di Spagna era definito cattolico e quello di Francia cristianissimo. L'Inquisizione fu per secoli il cuore della Chiesa avendo di mira i miscredenti, gli ebrei, i catari, i valdesi. Fede contro fede: per un millennio fu quella l'essenza della Chiesa di Roma.

Papa Francesco è stato il primo a denunciare il temporalismo, a ricordare che c'è un unico Dio, che non è cattolico ma ecumenico. Chi venera il Dio Padre o quello di Mosè o Allah, venera lo stesso Dio e il delitto maggiore è quello di distinguerli e inalberarne i simboli l'uno contro l'altro. Non a caso Bergoglio è stata la voce più alta contro i terroristi che uccidono nel nome di Allah: "Oltre ad affidare a Dio le vittime di questa crudeltà -  ha detto celebrando la messa a Santa Marta giovedì scorso -  invito tutti di tutte le religioni ad intercedere anche per i crudeli affinché il Signore cambi il loro cuore".

Accanto al Papa c'erano i quattro imam francesi che hanno diffuso con lui una dichiarazione comune che sottolinea la necessità di promuovere con ogni mezzo una cultura di pace e di speranza capace di vincere la paura e di costruire ponti tra gli uomini. Infine hanno ribadito che "il dialogo interreligioso è la sola via da percorrere insieme. Il bene fondamentale è la convivenza pacifica tra le persone e i popoli superando le differenze di civiltà, di cultura e di religione".

Questa è la via. Per i laici questa via si identifica con la democrazia, per le religioni con il Dio unico che nessuno può ipotizzare come proprio: due parallele che convergono verso lo stesso obiettivo.

La guerra al terrorismo, insieme ai lutti, alle tensioni, alle paure, ha però un aspetto positivo che non va sottovalutato: fa emergere anche a chi finora era indifferente o addirittura ostile, la necessità di costruire l'Europa unita da raggiungere in parte con specifici accordi su temi di sicurezza e di investigazione e in parte con deliberazioni dei 28 Paesi dell'Unione che equivalgono a vere e proprie cessioni di sovranità.

Il terrorismo sembra avere scelto l'Europa come terreno di scontro; l'Europa non può che rispondere muovendo un passo verso l'unità non più soltanto economica ma politica e non soltanto per i diciannove Paesi dell'eurozona ma per l'Unione intera perché l'immigrazione e la presenza di sempre più numerose minoranze stanziate in molti Paesi del nostro continente già da due o tre generazioni rendono indispensabile tener conto delle loro diversità nel quadro d'uno spazio comune dove tutti debbono convivere.

Queste minoranze rischiano di diventare terreno di proselitismo per i terroristi ma possono essere anche educate alla democrazia, al lavoro, ai diritti e ai doveri che una civile convivenza comporta. Cittadini europei molto più che cittadini delle singole nazionalità.

Quest'obiettivo sta diventando fondamentale man mano che il fenomeno migratorio si infittisce soprattutto tra le due sponde del Mediterraneo, ma per dare un esito positivo esso richiede maggiore occupazione, maggiore equità sociale, più investimenti, più consumi, più commercio intraeuropeo e internazionale.

Le ricadute economiche e sociali necessarie per realizzare questi obiettivi sono evidenti: bisogna combattere la deflazione, bisogna migliorare i tassi d'interesse spingendo quelli ancora troppo elevati verso un sostanziale equilibrio e bisogna recuperare con le parti sociali e in particolare con quelle che rappresentano i lavoratori una concertazione che produsse negli anni Novanta risultati eccellenti e può produrne di nuovo in una fase in cui i contrasti aziendali e locali fanno premio su quelli nazionali e richiedono la presenza costante dei sindacati d'azienda. Non si tratta, come troppo spesso si dice, di ascoltare tutti e decidere da soli. Al contrario: facendo prevalere con l'intervento politico, il contrasto aziendale o locale. La concertazione avviene a quel punto, dove le parti sono oggettivamente più orientate all'interesse comune.

Può sembrare strano e teorico questo rilancio dell'Europa politica che comporta un rilancio analogo dell'Europa economica e d'un decentramento partecipato verso la microeconomia e la microsocialità ed invece è una dinamica assolutamente logica che consente di attribuire a Mario Draghi il merito d'esser stato tra i primi ad indicarla e, per quanto riguarda le sue competenze, ad attuarla utilizzando lo strumento monetario.

Il prossimo 22 gennaio la Bce deciderà l'attuazione del "quantitative easing", cioè l'acquisto di titoli del debito pubblico nei Paesi con maggiore necessità ma anche in quelli più solidi e quindi chiamati a contribuire alla crescita generale.

Draghi affiderà alle Banche centrali nazionali alcune mansioni importanti ma il timone non può che restare nelle mani del direttorio della Bce al quale partecipano a turno le Banche nazionali. Si parla di un "qe" di 500 miliardi. Credo che la cifra sarà maggiore, probabilmente il doppio, anche se distribuita in uno o due anni. Saranno comunque acquisti di titoli destinati a restare a lungo nelle casse della Bce la quale nel frattempo effettuerà anche operazioni consuete di prestiti lunghi alle banche ordinarie e di interventi sul mercato interbancario a bassissimi tassi d'interesse.

Draghi, oltre allo strumento monetario, ha in mente un'Europa politicamente federata. Anche qui si tratta di parallele convergenti che alimentano speranze d'un futuro migliore.

* * *

Due parole sulla politica italiana che si avvia verso un decisivo appuntamento: le dimissioni di Giorgio Napolitano che avverranno -  come ormai è di fatto stabilito -  il 14 gennaio.

È inutile ripetere che la sua sostituzione non sarà affatto facile e non tanto perché manchino candidati più che accettabili quanto perché l'uscita di Napolitano dal Quirinale lascia un vuoto assai difficile da colmare dopo oltre 15 anni che hanno visto due personalità di eccezione come Ciampi e il Presidente che sta esercitando il suo mandato ancora per pochissimi giorni.

Interrogato venerdì scorso nella trasmissione televisiva della Gruber sul successore di Napolitano, Matteo Renzi ha risposto che non dirà nulla e si vieta perfino di pensarci fino a quando le dimissioni di Napolitano non saranno state effettuate. Ha perfettamente ragione, non spetta al presidente del Consiglio immaginare candidature fin quando quella carica è ancora ricoperta. Lo farà a partire dal 15. Ed ha aggiunto che il candidato non sarà né eletto e neppure indicato esplicitamente fino alla quarta votazione del "plenum" parlamentare, quando cioè termina la maggioranza qualificata e comincia quella del 50,1 per cento degli aventi diritto. Tutto giusto e avveduto.

Renzi ha anche parlato in termini a mio avviso ben pensati della tensione vissuta in questi giorni in Europa, della necessità di unire di più il nostro continente, dell'importanza dell'Egitto per sconfiggere il Califfato e Al Qaeda e infine dell'importanza che per noi italiani ha la crisi libica, dove l'Italia dovrà intervenire al più presto diplomaticamente e se necessario e con l'appoggio dell'Onu anche militarmente. Tutto giusto e avveduto anche su questi argomenti.

Dove non è stato e non è né giusto né avveduto riguarda il "salva Berlusconi" e la politica economica e di riforme costituzionali. Di questi argomenti ho scritto ripetutamente e quindi non mi ripeterò se non per rilevare che aver posticipato la decisione sul "salva Berlusconi" al 20 febbraio è un segnale inaccettabile. Il salva Berlusconi sarà riconfermato sempre che lui e il suo partito accettino per il Quirinale la persona indicata da Renzi. Inutile dire che questo è un marchingegno di cattiva qualità. Per quanto riguarda la riforma fiscale essa fu preparata da Monti, ricevuta in eredità da Letta e infine da Renzi. Una legge delega che non è mai stata discussa in Parlamento e che Renzi fece approvare quando il suo governo era stato appena nominato e insediato da Napolitano.

Quanto alla politica economica il governo continua ad immaginare non so bene che cosa ma nel frattempo si registra un deficit nei primi nove mesi dell'anno che ha sfondato il 3 per cento e si colloca ora al 3,7. Non è affatto un bel vedere, con una disoccupazione in aumento a cifre record.

Sulla riforma del Senato non ho nulla da aggiungere e ne ho parlato già molte volte: così come concepita la reputo pessima. Concludo ricordando che domenica scorsa indicai come eventuali candidati accettabili per il Quirinale alcune personalità che rappresentano ciascuna a suo modo un alto livello di qualità. M'accorsi il giorno dopo che ne avevo dimenticato una: quella di Giuliano Amato. Lo faccio ora anche perché non ho avuto da lui alcuna rimostranza. Vorrei aggiungere a quella breve lista anche il nome di Roberto Benigni che non è affatto un comico come molti credono, ma un grande e coltissimo attore che rappresenta molto bene i pregi e denuncia altrettanto bene i difetti del nostro Paese. Ma non lo faccio perché si arrabbierebbe moltissimo.

P. S. È morto ieri Franco Rosi. Un grande uomo di cinema ed anche di impegno civile, sociale, politico. Per me è un grande dolore. Lo porterò nella mia memoria finché vivrò.
 
© Riproduzione riservata 11 gennaio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/01/11/news/i_terroristi_confiscano_il_loro_dio_per_ammazzare_la_gente-104695627/?ref=HREA-1
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« Risposta #541 inserito:: Gennaio 18, 2015, 07:23:03 am »

I sogni e le fatiche di un Sisifo al Quirinale
Dal Pci fino al Colle, per una nuova classe dirigente e per gli Stati uniti d'Europa.
Le ragioni del secondo mandato di Giorgio Napolitano: varare riforma costituzionale e quella elettorale, evitando elezioni anticipate.
Nell'interesse generale del Paese

EUGENIO SCALFARI

14 gennaio 2015
   
OGGI Giorgio Napolitano darà le dimissioni e se ne andrà dal Quirinale. Tornerà nella sua casa di via dei Serpenti e il suo ufficio sarà a Palazzo Giustiniani come spetta a tutti quelli che hanno ricoperto la carica di presidenti della Repubblica.

L'aveva già fatto più d'un anno fa, alla scadenza del suo settennale mandato aveva preparato gli scatoloni con dentro le carte di pertinenza propria degli anni trascorsi, le sue private memorie e tutte le altre che non interessano gli archivi di Stato ma soltanto la persona che ha ricoperto quella che è la più alta istituzione chiamata a tutelare la Costituzione e le prerogative del Presidente coordinando la leale collaborazione tra poteri costituzionalmente distinti e talvolta anche contrapposti.

Va aggiunto però che, oltre a queste essenziali funzioni, è auspicabile anche che la figura del Presidente abbia un tratto paternale verso gli italiani e che i cittadini possano avvertire questo tratto che è al tempo stesso protettivo dei loro diritti e dei loro bisogni ma anche severamente educativo verso i loro difetti pubblici. Il privato è libero, il pubblico invece esclude la corruzione, la malafede, l'evasione fiscale, l'arbitrio dei forti contro i deboli e dei ricchi contro i poveri e gli esclusi.

Una volta chiesi a Giorgio  -  al quale mi lega una conoscenza molto antica e una profonda stima da quando quasi nove anni fa fu eletto al Quirinale  -  qual è il suo giudizio su Papa Francesco. Mi rispose che questo Papa interpreta il suo ruolo in un modo che andrebbe imitato da tutti coloro che rappresentano e debbono tutelare i diritti ma anche i doveri di tutti e in particolare dei deboli, degli esclusi, dei poveri e delle minoranze che hanno una visione comune diversa da quella della maggioranza. Ebbene questo dovrebbe essere il ruolo anche del Capo dello Stato. E' auspicabile che lo tengano presente i parlamentari che parteciperanno al "plenum" del 29 gennaio per eleggere insieme ai rappresentanti delle Regioni il nuovo presidente della Repubblica.

* * *

La vita politica di Napolitano ebbe inizio, come quella di molti giovani della sua e della mia generazione, con l'iscrizione all'università di Napoli nell'autunno del 1942. Ho letto nella sua autobiografia e lui stesso me l'ha raccontato nei nostri numerosi e amichevoli conversari, che i suoi amici erano di sentimenti antifascisti e utilizzavano cautamente le opportunità offerte dalle diverse articolazioni del Guf di Napoli, compreso il giornale "IX maggio".

I Guf (Gruppi universitari fascisti) erano in molte città sedi di università, organizzazioni dove i giovani manifestavano sentimenti di "fronda" e il partito concedeva questa larvata opposizione consapevole che i giovani non accettano quasi mai passivamente le visioni politiche della precedente generazione. A me capitò a Roma qualche cosa di analogo ma a differenza di Napolitano i miei amici ed anche io eravamo fascisti o perlomeno tali ci credevamo. A me capitò però di essere espulso dal Guf nell'inverno del 1943 per un articolo scritto su "Roma Fascista": evidentemente la fronda aveva sorpassato i limiti che il partito poteva sopportare.

Napolitano, dopo questo periodo di antifascismo senza partito di riferimento, si orientò verso i comunisti e si iscrisse a quel partito nel 1945, quando il Sud era già stato liberato dalle armate angloamericane e i partiti antifascisti non erano più clandestini. Va aggiunto però che il Pci aveva da tempo abbandonato il massimalismo di Bordiga e con il Congresso di Lione era stato praticamente rifondato seguendo le indicazioni politiche e culturali di Gramsci e di un gruppo dirigente i cui maggiori esponenti erano Togliatti, Longo, Terracini, Negarville, Scoccimarro, Tasca. I giovani che negli anni successivi dettero la loro adesione avevano accettato l'ideologia leninista-marxista. Ma dal Congresso di Lione in poi quell'ideologia era stata "contaminata" con una lettura gramsciana che teneva anche presente la rivoluzione liberale di Gobetti, gli scritti marxisti di Antonio Labriola e addirittura lo storicismo di Benedetto Croce. Fu quella più o meno l'epoca nella quale aderirono al Pci persone come Amendola e Ingrao e Alicata che facevano parte di questa nuova "leva" e così anche Napolitano, più giovane di loro ma con la stessa duplice cultura politica: il marxismo, la rivoluzione liberal-gobettiana e il liberalsocialismo dei fratelli Rosselli e di "Giustizia e Libertà". Questa fu anche la cosiddetta "doppiezza" di Palmiro Togliatti il quale però fu anche, in quegli anni di clandestinità, uno dei leader del Comintern l'organizzazione che rappresentava tutti i partititi comunisti, sia quelli che si erano formati nell'Europa orientale e addirittura in altri continenti come la Cina, il sud-est asiatico e alcuni territori africani, sia in paesi occidentali.

Ricordo queste vicende perché altrimenti non si capirebbe la storia politica di Giorgio Napolitano e di altri militanti del Pci. Non si capirebbe cosa è stato quel partito che, dopo Togliatti e Longo, fu guidato da Enrico Berlinguer. Il percorso che seguì il Pci con il nuovo segretario mise in secondo piano l'ideologia, da un certo momento in poi si staccò da ogni sudditanza nei confronti di Mosca e si identificò soprattutto con la classe operaia rappresentata da Trentin e da Lama, con i braccianti guidati da Di Vittorio e con i ceti più deboli della società italiana.

***

La "doppiezza" di Togliatti e del gruppo dirigente del Pci, al di là dell'ideologia marxistaleninista che durò fino allo "strappo" di Berlinguer, si verificò soprattutto in un pragmatismo che Togliatti applicò con tratti molto evidenti. Anzitutto con il riconoscimento del governo Badoglio nel 1944 che durò fino alla liberazione di Roma quando fu sostituito da Bonomi. Ma soprattutto dalla decisione di sostenere la nascita dell'assemblea costituente che fece del Pci un partito italiano e costituzionale e non una semplice sezione italiana del Cominform come era per esempio il Partito comunista francese.

Togliatti, quando fu oggetto di un attentato molto grave che rischiò di costargli la vita, ordinò che il partito non facesse dimostrazioni di alcuna violenza. Durante i dibattiti alla Costituente cercò accordi con la Dc tutte le volte che era possibile e votò addirittura per il riconoscimento costituzionale del trattato lateranense e del Concordato (articolo 7) che videro invece il voto contrario del Partito socialista e del Partito d'azione.
Napolitano a quell'epoca era ancora un dirigente locale ed era particolarmente vicino a Giorgio Amendola che condivideva pienamente la "doppiezza" togliattiana accentuandone però il costituzionalismo. Sarebbe stato molto favorevole ad una unificazione col Partito socialista di Pietro Nenni nel periodo in cui quel partito era ancora alleato del Pci. Quando però l'alleanza si ruppe l'ipotesi di una riunificazione diventò impensabile.
Nel frattempo ci fu la repressione in Ungheria del tentativo di quel paese d'uscire dalla "tutela" sovietica. Intervennero le truppe sovietiche e i loro carri armati impedirono che quel tentativo avesse successo. Il Pci non era ancora nelle condizioni di rompere i suoi legami ideologici e politici con Mosca e fu dunque solidale con la repressione, ma molti intellettuali e dirigenti, tra i quali ricordo Antonio Giolitti, uscirono dal partito.

Napolitano, per quanto so, rimase profondamente turbato da quella repressione ma restò fedele alla linea di Togliatti. Un mutamento comunque avvenne perché poco tempo dopo nacque una vera e propria corrente guidata da lui e da Macaluso, che fu chiamata "migliorista" o "riformista" e che si schierò pubblicamente contro Mosca quando ci fu una seconda repressione a Praga contro il socialismo di Dubcek. Napolitano in quegli anni era deputato e al tempo stesso dirigente nazionale del partito; sempre più lontano dall'ideologia comunista, la corrente da lui guidata puntava verso una nuova alleanza con la socialdemocrazia europea. In questo senso accolse positivamente la segreteria di Berlinguer, della quale tuttavia fu anche critico perché, distaccatosi da Mosca, restò tuttavia comunista mentre Napolitano sempre più puntava verso un accordo con l'Internazionale socialista europea.

***

Ma parliamo ora del Presidente della Repubblica che proprio oggi lascerà il suo secondo mandato. E' il solo caso d'un incarico al Quirinale della stessa persona che aveva dato le dimissioni alla scadenza del suo settennato. La Costituzione non dice nulla a questo proposito il che significa che esso è possibile come sono altrettanto possibili le dimissioni anticipate. Del resto il Presidente, accettando il secondo mandato, aveva già preannunciato che non l'avrebbe certo compiuto. Era stato pregato di accettarlo da tutte le forze politiche, con la sola eccezione per altro scontata di Grillo e del suo Movimento. Altre soluzioni non c'erano dopo il voto negativo contro Prodi avvenuto per il voto contrario di 101 franchi tiratori del Pd. Spiegarne il motivo è semplice: alcune riforme assai urgenti non erano state ancora votate a cominciare da quella sul lavoro, dalla riforma costituzionale del Senato e dalla legge elettorale. Il governo Renzi e l'interesse generale del paese avevano bisogno che quel percorso procedesse, mentre l'impossibilità di trovare un successore al Quirinale avrebbe inevitabilmente obbligato a nuove elezioni. La fine della legislatura avrebbe dovuto utilizzare la legge esistente per volontà della Corte costituzionale dopo l'annullamento del "Porcellum", con un sistema proporzionale che avrebbe quasi certamente creato due diverse maggioranze tra la Camera e il Senato e quindi una totale ingovernabilità.

Questa è stata la ragione del secondo incarico a Napolitano che già si era dimesso. "Non supererò comunque la scadenza dei miei novant'anni " aveva preannunciato. Poi la fatica d'un incarico pieno di impegni nazionali e internazionali ha accentuato il peso che gravava sulle sue spalle e questo lo ha indotto a far coincidere le sue dimissioni con la fine della presidenza semestrale europea gestita dal primo luglio scorso da Matteo Renzi. Appunto oggi il presidente si dimetterà con una lettera ai presidenti del Senato e della Camera, il primo dei quali eserciterà la supplenza al Quirinale fino al momento in cui il successore sarà stato eletto.

Si apre dunque da oggi una fase della massima importanza e delicatezza per le istituzioni e per il paese.

***
Bisogna dire che le prerogative del Capo dello Stato in Italia sono notevolmente diverse da quelle degli altri paesi europei. Nella loro quasi totalità in quei paesi il Capo dello Stato non ha alcun potere effettivo; si limita a firmare le leggi votate dal Parlamento e proposte dal premier. Fa eccezione la Francia dove c'è un semipresidenzialismo con un governo nominato dal presidente e un'assemblea parlamentare che ha limitate capacità di controllo sulla pubblica amministrazione e sulla legislazione.

In Italia quelle prerogative sono numerose e fanno del nostro Presidente il garante della Costituzione e della leale collaborazione tra le istituzioni e i poteri che ciascuna di esse rappresenta. Tocca a lui di promulgare le leggi e se non le ritiene conformi a rinviarle alle Camere per una loro seconda deliberazione; nomina il presidente del Consiglio e i ministri da lui proposti; scioglie le Camere anticipatamente se per una qualunque ragione la loro funzionalità fosse bloccata; nomina una parte dei componenti della Corte costituzionale; presiede il Consiglio superiore della magistratura, cioè l'organo di controllo del potere giudiziario; è il titolare esclusivo del diritto di grazia; nomina i senatori a vita entro il limite complessivo di cinque ai quali si aggiungono i capi dello Stato che abbiano terminato quella loro funzione. Aggiungiamo anche che è irresponsabile giudiziariamente fin quando ricoprirà il suo mandato, salvo reati penali colti in flagranza.

Naturalmente queste prerogative sono molto elastiche. L'elastico può essere allentato o teso evitando però la sua rottura. Durante il periodo della partitocrazia, che durò per tutta la cosiddetta prima Repubblica guidata dalla Dc e dai suoi alleati, le prerogative del Capo dello Stato furono di fatto confiscate dai partiti di maggioranza. L'opposizione comunista accettò quella confisca: erano i tempi della guerra fredda, il mondo intero era diviso in due, il deterrente della bomba atomica di fatto produceva una stabilità internazionale e nelle varie nazioni aderenti all'uno o all'altro schieramento, un immobilismo politico da tutti accettato.

Quella stagione cessò con la caduta del muro di Berlino e soprattutto con la riunificazione delle due Germanie. Da allora le prerogative del Capo dello Stato italiano hanno recuperato il peso che dovevano avere e tutti i partiti, nessuno escluso, hanno recuperato la possibilità di costruire una maggioranza di governo o di esercitare un ruolo d'opposizione che prepari una prossima alternanza sempre nel quadro tracciato dalla Costituzione esistente.

In che modo Napolitano ha gestito, in questo quadro, i poteri che la Costituzione gli ha conferito? E fino a che punto ha teso l'elastico?

***
Il nostro è un paese politicamente fragile e la fragilità è pressoché inevitabile perché ha come riscontro la fragilità politica dell'Europa. E' un tema che emerge soprattutto in tempi di crisi, quando tutti siamo chiamati a sopportare sacrifici e a veder frustrate le speranze del futuro. Ma non dipende solo da questo. Napolitano ha studiato a fondo la nostra vita pubblica e non soltanto sui libri: l'ha vissuto come dirigente di partito prima e come presidente della Repubblica poi; quello è un osservatorio che spazia sull'intera classe dirigente, non soltanto politica ma economica, professionale, militare, sui docenti, sui tecnici, sugli scienziati, sui giovani che cercano il futuro, sui vecchi che hanno un'esperienza da mettere in comune.

Ebbene, per qualche ragione motivata dalla storia del nostro paese, noi non abbiamo un "establishment". Abbiamo individui spesso intelligenti, ancor più spesso furbi e amanti del far da sé, ma se per establishment si intende una classe dirigente che anteponga realmente gli interessi collettivi ai propri e della propria più ristretta cerchia, allora l'establishment in Italia non c'è e non c'è mai stato.

Napolitano nei quasi nove anni di Quirinale ha fatto il possibile e addirittura l'impossibile per compiere e far compiere qualche passo avanti in quella direzione. Ha trovato persone che erano pronte a mettersi insieme a lui e da lui guidate in questa difficilissima strada. E questo è avvenuto ma non è stato sufficiente. Sisifo sollevava i massi e li faceva avanzare verso la vetta della montagna, ma è un personaggio mitologico e quindi divino. Non c'è nessuno che abbia quei poteri. Lo si vorrebbe e infatti la nostra immaginazione ne ha creato il mito proprio perché nella realtà non può esistere.

Questa è la tristezza che Napolitano ha sentito emergere dentro di sé, o almeno così io credo per quanto possa aver capito dei suoi pensieri e della sua diagnosi della realtà. In altri paesi le classi dirigenti, portatrici di una solida visione del bene comune, ci sono e la loro esistenza distingue quei paesi dagli altri. Forse ci sarebbe se l'Europa diventasse un continente federato e non confederato, come ancora è. Napolitano questo lo sa, infatti non ha cessato di ricordare ripetutamente agli italiani ed anche agli europei che il nostro obiettivo è di avanzare sulla strada dell'unità politica dell'Europa. Lui la pensa come Altiero Spinelli e il suo manifesto di Ventotene, la pensa come la volevano De Gasperi, Adenauer e quegli statisti che prevedevano fin da allora l'evoluzione della società moderna e l'avvento di una società globale dove gli Stati hanno dimensioni continentali per poter confrontare e risolvere tutte le contraddizioni, le diseguaglianze, la povertà, i mutamenti del clima, le ondate migratorie, i conflitti locali.

Ho chiesto a Napolitano molte volte nelle nostre conversazioni qual era il suo sogno europeo e lui mi ha sempre risposto auspicando che l'Europa diventi veramente uno Stato con ampi poteri sovrani. Ma ci vorranno anni per realizzare questo obiettivo. Ho chiesto anche se ci sono personalità di peso internazionale che cerchino di far avanzare l'Europa su questo percorso e lui mi ha risposto che certamente ci sono queste personalità anche da noi e naturalmente anche in Europa ma non hanno ancora avviato il percorso verso un vero Stato europeo. Forse l'insorgere di un terrorismo come quello che ha insanguinato in questi giorni Parigi e che minaccia di trasformarsi in una vera e propria guerra, ha l'aspetto positivo di stimolare la nascita degli Stati Uniti d'Europa.

Sisifo è un mito, ma noi dobbiamo sperare e operare affinché diventi una realtà.

© Riproduzione riservata 14 gennaio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/01/14/news/i_sogni_e_le_fatiche_di_un_sisifo_al_quirinale-104893817/?ref=HREA-1
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« Risposta #542 inserito:: Gennaio 19, 2015, 07:07:40 am »

Il pugno di Francesco e la lezione di Voltaire

Di EUGENIO SCALFARI
18 gennaio 2015

IL TERRORISMO del Califfato e di al Qaeda combatte al tempo stesso contro i musulmani che seguono le massime del Corano e non insultano le altre religioni e contro l'Occidente e i suoi valori di libertà. Si tratta dunque d'una duplice guerra, condotta da cellule del terrorismo che si organizzano liberamente, a volte sono in contatto tra loro, altre volte quei contatti si limitano a una ventina di persone o poco più. È un pulviscolo e questo ne aumenta il pericolo. Il pulviscolo del terrore richiede infatti una strategia, una "intelligence" centralizzata, un comando non soltanto militare ma giudiziario, sociale, economico.

Il valore primario dell'Occidente è la libertà: libertà di espressione, di religione, di movimento migratorio e di comportamenti. Ecco perché per affrontare questa guerra, per rendere quel pulviscolo inoffensivo, il comando centrale si deve necessariamente estendere a questi settori, tra i quali è compreso anche il fondamentale principio di un limite alle provocazioni che possono suscitare reazioni violente e trasformare il pulviscolo terrorista in un vero esercito che combina insieme la tattica del pulviscolo e la strategia centralizzata del reclutamento, della preparazione militare, del finanziamento e della scelta degli obiettivi.

L'Europa è uno dei teatri di questa guerra. La risposta militare, diplomatica, antispionistica, richiede quindi un comando unico. Questo, paradossalmente, è l'aspetto positivo di quanto sta accadendo: l'unità politica dell'Europa non è più un'utopia ma sta diventando e deve diventare una realtà. Bisogna che la pubblica opinione ne prenda coscienza.

Bisogna che le istituzioni europee si trasformino per corrispondere ad una necessità e bisogna soprattutto che i governi nazionali siano pronti alle cessioni di sovranità che il comando unico comporta.
***
Questa guerra ha un connotato religioso: l'Islam è spaccato in due, il cristianesimo è il primo bersaglio dei fondamentalisti, gli ebrei sono l'altro bersaglio, ma ce n'è un terzo che non va trascurato ed è lo Stato laico. Anzi, se guardiamo con attenzione quanto sta accadendo, il fondamentalismo religioso ha come primo obiettivo quello di abbattere lo Stato laico, cioè il presidio della libertà.

Qualcuno ha ricordato che la Francia è il paese di Voltaire. Io direi che l'Europa è il paese di Voltaire. I suoi saggi, i suoi racconti, il suo teatro, i suoi articoli sull'Encyclopédie, erano rivolti contro l'Infame. Non specificò mai chi fosse l'Infame, in gran parte dei casi erano i gesuiti dell'epoca che guidavano il pensiero reazionario.

Questo fu Voltaire. Insieme a Diderot furono i due campioni di libertà che contribuirono alla nascita delle Costituzioni e delle Repubbliche del futuro.

***
Papa Francesco è un liberale? Me lo sono chiesto più volte e tanto più me lo chiedo oggi dopo la storia del pugno da lui minacciato contro chi insulta sua madre, cioè la Chiesa, le religioni. Francesco è sorretto dalla fede. Può un uomo di fede essere liberale?

Certamente sì, la storia dell'Europa e dell'Italia è piena di persone di fede e liberali, ma un Pontefice liberale non c'è mai stato nella Chiesa di Roma prima di Francesco. Da molte parti è stato accusato d'esser comunista, ma l'accusa non stava in piedi dopo la risposta da lui data: io predico il Vangelo. E che cosa dice il Vangelo sul tema della libertà? Che cosa dice la dottrina della Chiesa cattolica?

C'è un punto di fondo nella dottrina e nelle pagine della Bibbia che raccontano la creazione: il Creatore ci ha riconosciuto il libero arbitrio, la libertà di coscienza per scegliere consapevolmente il bene ed il male.

Il bene comune è per un liberale il Bene poiché noi, persone umane, siamo una specie socievole e il bene comune, la "Caritas", l'"agape" sono, dovrebbero essere, i nostri caratteri distintivi.

Papa Francesco predica queste che per un liberale sono altrettante verità. E le pratica ritenendo che uno dei maggiori peccati sia l'appropriarsi di Dio contro quello degli altri. "Dio non è cattolico", mi disse Francesco in uno dei nostri incontri. "È ecumenico, è un unico Dio che ogni religione legge attraverso le proprie Sacre Scritture ", sapendo però che il Dio è unico, non ha nome, non ha figura.

Ma il Papa non dimentica che per molti secoli della loro storia anche i cattolici quel peccato l'hanno commesso. Con le Crociate, con l'Inquisizione, con la notte di San Bartolomeo, con la guerra dei contadini, con la vendita delle indulgenze. Non basta chiedere scusa per questi peccati. Un Pontefice romano deve spogliare la Chiesa di ogni potere temporale e costruire una Chiesa missionaria che non si prefigga il proselitismo ma la predicazione del bene comune. Ed è questo che papa Francesco sta costruendo da quando fu eletto dal Conclave.

Nel viaggio in aereo tra lo Sri Lanka e le Filippine Bergoglio ha però detto una frase che ha suscitato un acceso dibattito: "Chi insulta mia madre si aspetti un pugno". A chi alludeva era evidente; non ai terroristi o non soltanto ad essi che compirono cose ben più gravi, ma probabilmente al giornale "Charlie Hebdo" che insulta Maometto e quindi la religione da lui rappresentata. Cristo ha detto, secondo i Vangeli, di porgere l'altra guancia a chi ti insulta. Francesco invece lo minaccia con un pugno. È un errore? Una contraddizione?

Probabilmente è un errore. A me personalmente "Charlie Hebdo" è un giornale che non piace affatto e non indosserei alcuna insegna dove sopra sta scritto "Io sono Charlie". Purtroppo alcuni di loro hanno pagato con la morte quella satira volutamente provocatoria e me ne rincresce moltissimo, ma non sono "Charlie".

E il Papa? Anche lui ha pianto per i caduti e pregato per loro, ma se insultano la madre, cioè le religioni, gli minaccia un pugno. Si è scordato di porgere l'altra guancia?

Cristo ha dato questo insegnamento, ma quando l'ha ritenuto opportuno Cristo ha preso il bastone e ha picchiato senza risparmio quelli che nel Tempio vendevano mercanzie rubate, corrompevano i rabbini del Sinedrio e ne facevano di tutti i colori. Ricordo che nel nostro ultimo colloquio del 10 luglio scorso il Papa mi disse "come Gesù io userò il bastone contro i preti pedofili". Gesù era dolce e mite, ma quando lo riteneva necessario usava il bastone. Forse Francesco ha sbagliato a minacciare il pugno contro chi insulta le religioni, ma il precedente c'è e il pugno dovrebbe essere  -  credo io  -  una norma che vieti e punisca chi si prende gioco delle religioni. Puoi criticarle, certamente, ma non insultarle. Questo è il pugno. Voltaire non sarebbe d'accordo ma non possiamo chiedere a Francesco di esser volterriano.

***
L'Europa è in guerra e Renzi pure. Ma in questi giorni non si occupa molto della guerra europea bensì della propria che consiste nel far approvare dal Parlamento la riforma elettorale e la seconda lettura della riforme costituzionale del Senato e subito dopo di indicare il candidato del suo partito che sia al Quirinale il successore di Giorgio Napolitano.

Fino a quattro giorni fa aveva detto che avrebbe indicato quel nome prima della quarta votazione, ora invece lo indicherà il 28 gennaio, vigilia del "plenum". Aveva sbagliato tattica lasciando ai suoi avversari tre votazioni a disposizione di altri nomi che potevano precostituirsi un utile numero di suffragi. Per bloccare questa eventualità il Pd, cioè lui che ne è il segretario, indicherà invece subito il nome del candidato e forse comincerà a votarlo oppure aspetterà ma già vincolato al nome prescelto.

Quale sia questo nome io credo non lo sappia neppure Renzi. Ne ha in tasca un pacchetto ma non sono più di sei o sette. Ma ogni giorno variano ed è un esercizio al quale si dedicano tutti i giornali e le televisioni. Per questo sono convinto che Renzi non ha ancora scelto. Allo stato delle cose sembra un rebus poco risolvibile che Pietrangelo Buttafuoco sul "Foglio" di ieri ha risolto brillantemente proponendo di mandare al Quirinale nientemeno che Matteo Renzi, come trovata mi sembra assai divertente e faccio i miei complimenti a Pietrangelo.

Ciò detto  -  e senza entrare nei nomi  -  mi sembra utile segnalare che martedì prossimo ci sarà un tentativo di bloccare e rendere impossibile l'approvazione della legge elettorale prima del plenum per il Quirinale. Il tentativo vedrà uniti nel voto tutti gli "antirenziani". Se il tentativo riesce otterrà dal punto di vista di chi sta lavorando su questa ipotesi, due risultati: impedisce l'approvazione di una legge che contiene molti errori; il secondo risultato è di dimostrare che se tutte le opposizione a Renzi si uniscono, raggiungono una maggioranza alternativa che potrebbe mettersi d'accordo sul Quirinale.

Le elezioni del capo dello Stato sono sempre state un'imprevedibile lotteria ma quella di unire tutte le minoranze e trasformarle solo per quell'obiettivo in una maggioranza fu già realizzato nell'elezione di Gronchi.

Era la seconda volta che si votava il plenum per il Quirinale; nella prima era stato eletto Luigi Einaudi. Dopo la fine del suo settennato si votò la seconda volta e il candidato ufficiale della Dc (che nel '48 aveva ottenuto la maggioranza assoluta) era Cesare Merzagora.

L'accordo tra tutte le minoranze che per qualche ragione non volevano Merzagora fu realizzato da Giulio Andreotti. Fino a pochi mesi prima era stato il più fedele esecutore di Alcide De Gasperi che però, nel 1953, si era ritirato dalla politica. Andreotti era dunque senza più alcun protettore e doveva agire in proprio. Il modo migliore per mettere in bella vista le sue capacità era quello di essere il kingmaker del nuovo inquilino del Quirinale e lo fece mirabilmente, scegliendo tra l'altro l'esponente della sinistra democristiana, mentre lui, Andreotti, era un esponente del centrodestra.
Merzagora fu battuto, Gronchi fece un magnifico discorso di insediamento e così cominciò un'altra storia.

Andrà così anche questa volta? A questo interrogativo si comincerà a rispondere dopodomani e poi, definitivamente, il 29 prossimo. Nel frattempo il 22 la Bce, riunita in gran consiglio, dovrà decidere in che modo e in che misura Draghi darà inizio all'acquisto di titoli pubblici. Le voci in circolazione in questi giorni parlano di responsabilità delle Banche centrali nazionali nell'acquisto di una parte di quei titoli, ma sono voci che non hanno alcun riscontro a Francoforte. Si vedrà martedì prossimo lo sviluppo della manovra monetaria il cui obiettivo è il miglioramento della liquidità e dei benefici che possono derivarne.

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18 gennaio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/01/18/news/il_pugno_di_francesco_e_la_lezione_di_voltaire-105184848/?ref=HRER2-1
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« Risposta #543 inserito:: Febbraio 01, 2015, 11:36:57 am »

Si apre il ballo e Berlusconi monta a cavallo
Il leader di Fi vuole che la legislatura duri fino al 2018, che l'alleanza con Renzi ne sia il perno e che lui riottenga l'agibilità politica

Di EUGENIO SCALFARI
   
A CHI qualche mese fa domandava se dopo la condanna per frode fiscale emessa dalla Cassazione con sentenza definitiva Silvio Berlusconi era da considerarsi ormai fuori dal gioco politico, le risposte di quanti si occupano di queste cose come osservatori imparziali erano quasi tutte affermative: sì, ormai è fuori, è politicamente finito e non solo per la condanna ma perché delle promesse fatte e degli impegni presi con gli elettori fin dal 2001, non c'è alcuna traccia. Ha puntato sulle debolezze e la faciloneria degli italiani e non sulle loro virtù; li ha diseducati col suo esempio. Personalmente davo anche io questa risposta. Sono passati quattordici anni da allora. La parte della risposta che riguarda la diseducazione politica e morale data da Berlusconi resta ferma, ma lui non è affatto finito. Anzi. L'accordo con Renzi da lui gestito con grande abilità, l'ha rimesso in piedi, gli ha ridato un compito importante, è allo stesso tempo all'opposizione e nella maggioranza. Ancora non è al governo, ma tra poco ci sarà. Il partito della nazione è ormai sbocciato e lui ne fa parte integrante. Renzi -  Berlusconi l'ha detto e lo ripete -  è il suo figlio buono, ben riuscito. Lui è il papà, scavezzacollo come tanti padri ma pur sempre il padre che vede il figlio diventato il primo della classe, che da lui ha preso il talento di incantare la gente. E dici poco. È pur vero che nel frattempo Forza Italia è diventata una sigla e il partito non c'è più, ma a guardar bene quel partito non c'è mai stato, nacque come la proiezione politica della sua società pubblicitaria.

Ha tenuto un solo congresso, tutto è stato sempre deciso dal "boss" e dal suo "cerchio magico", variabile secondo gli umori del Capo. Adesso è fatto da un paio di signore bellocce, molto legate a sua figlia Marina, ma è sempre lui che decide applicando la sua tecnica: prometti mille e  -  ben che vada  -  realizzi dieci e ogni giorno cambi posizione, poiché sei un bersaglio ti sposti per non esser colpito. Adesso lui vuole tre cose: che questa legislatura duri fino al 2018 perché le elezioni oggi lo farebbero sbattere contro un muro; che la sua alleanza con Renzi sia il perno intorno al quale gira tutto il resto; che lui sia riconosciuto come il Padre della Patria e possa quindi ricevere quella clemenza che gli ridia piena agibilità politica e partecipazione personale, elezioni comprese se a lui piacerà di farle. E Renzi che ne dice?

                                                                                             ***

Renzi è l'autore della riabilitazione berlusconiana. Naturalmente rifiuta d'essere il figlio buono di tanto padre. Forse dentro di sé il sospetto di esserlo ogni tanto emerge, ma non accetterà neanche sotto tortura che i berlusconiani entrino nel governo da lui presieduto. Qui però ci può essere una trappola: il Pd è alleato di Alfano, il quale però si è riavvicinato a Berlusconi. Qualche sottosegretario alfaniano potrebbe dimettersi e Alfano, che da Forza Italia proviene, potrebbe indicare dei nomi di persone di quel partito che stanno meditando di passare con lui e se ricevessero in premio un sottosegretariato lo farebbero. Come si fa a dirgli di no? Naturalmente anche il Pd, che però è un vero partito, ora è spaccato in due e forse in tre parti. L'elezione del presidente della Repubblica sarà da questo punto di vista decisiva. Mancano cinque giorni a quell'appuntamento. Renzi deciderà con il partito o con Berlusconi? Ancora non si sa; secondo lui è la direzione che deve decidere o addirittura l'assemblea (una sorta di comitato centrale molto numeroso). Ma sono organi dominati dal leader. I gruppi parlamentari? Anche lì la maggioranza è renziana. Quindi Renzi è in quelle sedi che proporrà il nome da votare. E ancora una volta vincerà. Tuttavia c'è un ostacolo: la minoranza si considera come un coniuge che convive con l'altro da "separato in casa". Quello che si decide nelle sedi istituzionali del partito non può sostituirsi alla convivenza dei due separati. Debbono decidere in due, non in trecento. E poi, nel "plenum" parlamentare vige il voto segreto e ancora poi i renziani furono tra i centouno che silurarono Prodi. Perciò la partita del nome è tutta da giocare e se per caso, fin dalla prima votazione, ci fosse un pacchetto di cento voti per Prodi, sarebbe difficile che il partito rifiutasse quel nome e comunque molti che oggi sono con Renzi potrebbero cambiar posizione. Non avverrà, dipende anche da Grillo, ma insomma non si può escludere.

                                                                                                       ***

Nell'incontro a Firenze con la Merkel, oltre a farle vedere uno splendido Botticelli e la cupola del Brunelleschi da lui illustrati con facondia, Renzi l'ha rassicurata: metterà il turbo alle riforme. Ma quali riforme? Questo non l'hanno detto ne l'uno né l'altra. Della riforma elettorale alla Merkel non gliene importa niente. Di quella costituzionale che regola soprattutto il Senato, gliene importa ancor meno, ma quella comunque Renzi l'ha rinviata. E dunque di quali riforme si parla? Solo Draghi ha precisato: riforme economiche che riguardano soprattutto la produttività. La sola che può far ripartire la crescita, gli investimenti, i consumi e l'occupazione. La manovra monetaria è un grande aiuto per Renzi e Draghi, con prudenza, scommette sul coraggio del presidente del Consiglio. Ma non è una riforma semplice da attuare perché deve stare attento a non gravare sui salari dei lavoratori perché in quel caso si troverebbe a fare i conti con i sindacati. Tutti i sindacati, Cisl compresa. Personalmente credo che si cimenterà mettendo insieme rapidità (il turbo) e coraggio. Non gli mancano né l'uno né l'altro. C'è comunque uno stretto intreccio tra il nome scelto per il capo dello Stato e la riforma del lavoro (che non è il "Jobs Act"). Deve aver l'accordo dei sindacati e dei "separati in casa". Ma molto dipende dalla scelta del primo inquilino del Quirinale. Non può essere un tecnico né un pupazzetto (o una pupazzetta) di Renzi. Deve essere un uomo politico di provata esperienza e autorevolezza, che interpreti con necessario vigore i poteri-doveri che le sue prerogative gli garantiscono e che abbia un prestigio all'estero e anche nel partito socialista europeo. Non sono molti i nomi che corrispondono a questo identikit. I nomi è sempre rischioso farli ma forse un osservatore che si sforzi di essere oggettivo può indicarne qualcuno. Io ne vedo tre: Prodi, Veltroni, Amato. Altri nomi egregi tra i tanti dei quali in questi giorni si è parlato, certamente ci sono, ma sono poco conosciuti sia nel partito sia all'estero e quindi sembrano meno adatti e scatenerebbero i fuochi dei franchi tiratori. Nessuno ama vederli all'opera ma tutto dipende dalle scelte di Renzi. Se sceglie bene, i franchi tiratori non ci saranno e sarà merito suo. Se sceglie male sarà sua la colpa.

                                                                                                     ***

Concludo con qualche cenno sull'Europa. La manovra monetaria di Draghi, con il 20 per cento di condivisione dell'intervento sui mercati della Bce, pone il tema dei bond europei e del bilancio comune dell'Unione. Faccio osservare un aspetto che non viene mai ricordato e che invece dovrebbe avere un notevole peso: un articolo del trattato di Lisbona stabilisce esplicitamente che l'Unione europea deve avere una sua realizzazione politica, ottenuta con le necessarie cessioni di sovranità dei governi nazionali. Perché quell'articolo non viene mai tenuto presente? Esso implicherebbe un bilancio comune, un fisco comune, una politica estera comune, una presenza permanente nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu e un debito sovrano comune, un Parlamento votato in comune dagli elettori europei. Spetta soprattutto alla Germania assumere l'iniziativa di questo sogno e il rispetto del trattato di Lisbona ma spetta ai governi di tutti i membri dell'Ue di obbligare la Germania a prendere l'iniziata o a prenderla senza di lei. Il vero guaio è che i capi dei governi non amano affatto cedere una parte rilevante della loro sovranità. Questo fa paventare il peggio per un futuro molto e molto prossimo: in una società globale sono i continenti a confrontarsi e non gli staterelli, ciascuno padrone in casa propria ma irrilevante fuori essa. I coraggiosi, caro Renzi, debbono mostrare su questo tema il loro coraggio ma finora nulla si è visto e semmai si è visto il contrario. Alla fine voi personalmente conterete di più ma i Paesi che governate non conteranno niente, Germania compresa. È questo che volete? La via europea è estremamente importante e bisogna percorrerla. Noi non siamo gufi, ma contro i mercanti che rivendicano i loro interessi perfino Gesù prese il bastone.

© Riproduzione riservata 25 gennaio 2015

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-presidente-repubblica-edizione2015/2015/01/25/news/si_apre_il_ballo_e_berlusconi_monta_a_cavallo-105734174/?ref=HREA-1
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« Risposta #544 inserito:: Febbraio 04, 2015, 07:44:04 am »

Il bazooka di Draghi
Di EUGENIO SCALFARI
24 gennaio 2015

MARIO Draghi c'è riuscito. Voleva e doveva intervenire massicciamente sul mercato monetario europeo, vincendo le resistenze della Germania, con l'obiettivo di sgominare la caduta dei prezzi e sconfiggere la deflazione e lo farà nei prossimi giorni acquistando titoli privati e di pubbliche istituzioni e anche titoli dei debiti sovrani sui mercati secondari. Lo farà nei Paesi che si trovano in condizioni di sofferenza per un importo complessivo di 1.140 miliardi di euro con il ritmo di 60 miliardi al mese; se sarà necessario anche oltre.

Questo intervento ha trovato un consenso pressoché unanime dopo una lunga battaglia con la Banca centrale tedesca e i suoi alleati. Alla fine, dopo una settimana molto agitata di cui si vedevano i segni sul suo viso nella conferenza stampa di giovedì scorso, il consenso è stato ottenuto ma ad una condizione: il rischio per quanto riguarda l'acquisto dei titoli pubblici in tutti i paesi che saranno oggetto dell'intervento della Bce sarà ripartito per l'80 per cento del suo ammontare con le Banche centrali nazionali dei paesi suddetti. Draghi ha accettato questa condizione e l'operazione è partita. La chiamano il bazooka della Bce. Sarà sparato da subito. Le Borse europee e quella americana sono euforiche, i governi interessati sono contenti, la Germania ha ottenuto quel che voleva e ha concesso quanto le era stato richiesto; infine la Merkel si è convinta che l'intervento della Bce era indispensabile.

Ora però alcune cose vanno chiarite e alcune parole vanno definite a cominciare dal rischio che sarà scaricato sulle Banche centrali nazionali, come s'è detto, per l'80 per cento dell'ammontare. Ma che cosa vuol dire rischio? Nel caso in questione rischio è l'equivalente di fideiussione: le Banche nazionali firmano una fideiussione in garanzia degli euro sborsati dalla Bce. Ma qual è la condizione prevista per escutere la fideiussione? Il default di un Paese. Se il default dovesse profilarsi, la Bce chiamerà a rispondere e a rimborsarla del denaro investito la Banca nazionale di quel Paese. L'Italia non è certo la sola che sarà oggetto dell'intervento della Bce ma è certamente quella col maggior debito di tutti gli altri e quindi presumibilmente quella dove l'intervento sarà più massiccio che altrove. Quali sono le probabilità di un default italiano? Molto scarse, direi improbabili, anche se personalmente penso addirittura impossibili. Ma se per dannata ipotesi quel rischio si verificasse, l'escussione della fideiussione diventerebbe inutile. Accadrebbe infatti che l'intero sistema bancario europeo salterebbe per aria, Germania compresa, e l'euro cesserebbe di esistere con tutte le conseguenze del caso. Perciò il default italiano è estremamente improbabile e la fideiussione della Banca d'Italia non sarà mai richiesta. È una misura più estetica che economica, una parola-giocattolo per dare alla Germania la soddisfazione di sostenere che la sua condizione è stata accettata. La Merkel e Schäuble queste cose le sanno e sono stati al gioco. Draghi quel paravento l'ha escogitato, sa che non significa nulla ma fa un bell'effetto e Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, l'ha accettato dopo qualche resistenza perché il gioco lo conosceva anche lui. Tutti contenti e ora forza col bazooka.

* * *

Ci sono altre prevedibili conseguenze come le seguenti: 1. Draghi punta sulla riforma che il governo italiano dovrebbe fare affinché finalmente la crescita riprenda, riprendano gli investimenti e anche i consumi. Se e quando questo avverrà ci sarà anche una ripresa dell'occupazione e perfino il "Jobs Act" renziano produrrà i suoi effetti positivi. Il "Jobs Act" infatti, se la domanda non riprende, non può avere alcun effetto perché le imprese non hanno alcun motivo per assumere. Oppure assumono per incassare i benefici che quella legge prevede ma dopo un anno licenziano i neo assunti o addirittura li conservano ma trovano un qualsiasi pretesto per licenziare i lavoratori che da tempo sono in quell'impresa. Insomma il "Jobs Act" funzionerà soltanto se la crescita riprenderà e questo accadrà soltanto se le riforme avverranno nel modo indicato da Draghi.

2. Ma se questa è la situazione, la riforma voluta dal presidente della Bce e capace di rimettere in moto i meccanismi del sistema deve puntare sulla produttività e sulla competitività. In teoria l'aumento della produttività (che è preliminare alla competitività) dovrebbe esser opera degli imprenditori: nuovi modi di produrre, nuovi modi di distribuire, nuovi prodotti da lanciare sui mercati. La diminuzione del tasso di cambio dell'euro rispetto al dollaro facilita le esportazioni sempre che le imprese offrano beni e servizi che abbiano un volto nuovo. Quante sono le possibilità che questo avvenga? Spero di sbagliarmi, ma la mia risposta è zero. Le probabilità che l'offerta abbia un volto nuovo per poter rilanciare la domanda sono zero.

3. Un altro modo di far aumentare la produttività e la competitività è la diminuzione del costo del lavoro tutelando però il salario netto dei lavoratori. Cioè il taglio totale del cuneo fiscale. Quello che il nostro governo avrebbe dovuto fare nel 2014 invece di spendere 10 miliardi l'anno per erogare ad un gruppo di lavoratori 80 euro al mese in busta paga. Soldi buttati dalla finestra e ormai non più revocabili. Ma il taglio totale del cuneo fiscale ha un costo non indifferente che grava soprattutto sui contributi. E poiché questo taglio va a carico degli enti di previdenza e soprattutto dell'Inps, il bilancio di questo istituto andrebbe probabilmente in grave perdita. Chi paga le perdite dell'Inps? Ovviamente il Tesoro. E come le paga il Tesoro? O aumentando il debito o ritoccando al rialzo la pressione fiscale o con altri tagli. Gli altri tagli però producono quasi sempre nuova disoccupazione. Mi viene in mente una poesia di Bertolt Brecht: "I lavoratori gridano per avere il pane. / I commercianti gridano per avere i mercati. / Il disoccupato ha fatto la fame. Ora / fa la fame chi lavora. / Le mani che erano ferme tornano a muoversi: / torniscono granate". Dunque attenti a scherzare col fuoco.

4. Un'altra riforma che Draghi esorta a fare riguarda investimenti da incentivare, pubblici o privati che siano, ma di pronta attuazione che non possono che essere le costruzioni. Giusto. Ma ci vogliono le risorse. Gli investimenti li decidono le imprese e lo Stato. Le prime sono pronte, lo Stato pure; ma dove sono le risorse? Le imprese le avrebbero ma difficilmente le tirano fuori. Lo Stato non le ha perciò dovrebbero fornirle le banche che tra poco saranno imbottite di liquidità. Ecco dove il bazooka ha una funzione che non è più soltanto monetaria ma di politica economica. Perciò questa riforma è possibile. Sarebbe la vera legge sul lavoro. Questo è il bilancio complessivo, al quale si aggiunge però, con segno diverso, il cosiddetto "rispetto flessibile" degli impegni europei. Ma qui entriamo nella politica estera italiana ed europea. Ne parleremo domani.

© Riproduzione riservata 24 gennaio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/01/24/news/il_bazooka_di_draghi-105642604/?ref=HRER2-1
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« Risposta #545 inserito:: Febbraio 04, 2015, 07:47:40 am »

Bene Renzi e bene il pd, il presidente è quello giusto

Di EUGENIO SCALFARI
01 febbraio 2015
   
Quella di ieri è stata una grande giornata politica: un nuovo presidente della Repubblica che ha tutte le qualità necessarie per essere l'arbitro della partita quotidiana tra i tre poteri costituzionali (legislativo, esecutivo, giudiziario) e tra le parti politiche, ciascuna con una propria visione del bene comune.

Oltre questo ruolo arbitrale il Capo dello Stato ne ha anche un altro di uguale importanza: garante della Costituzione, che può certamente essere emendata dal Parlamento ma non stravolta; emendata nelle leggi di attuazione, ma non nei principi, per cambiare i quali sarebbe necessaria una nuova Costituente o un organo straordinario del tipo della Bicamerale, capace di considerare nel loro complesso i mutamenti proposti.

Infine rispetta anche una funzione paternale di tutela dei deboli, dei poveri, degli esclusi e delle minoranze culturali e politiche affinché la battaglia anch'essa quotidiana che si svolge sia adeguata ad una democrazia e non si trasformi in regime autocratico in cui chi conquista il potere lo esercita di solito con l'unico intento di mantenerlo e di rafforzarlo. Questi sono gli elementi principali che configurano nel nostro Paese il ruolo del presidente della Repubblica.

Il passato e il carattere di Sergio Mattarella confermano che il nuovo Presidente corrisponde perfettamente al ruolo che la Costituzione gli assegna, come testimonia la visita alle Fosse Ardeatine come primo atto del nuovo settennato. Esser stato eletto con il voto di due terzi dei "grandi elettori" conferma che la figura di Mattarella è stata apprezzata da un'ampia maggioranza dei rappresentanti del popolo sovrano e fa emergere in modo inconfutabile le qualità del Partito democratico e del suo leader.

Matteo Renzi che ne ha deciso la candidatura e ne ha guidato il percorso fino alla vittoria finale. Renzi era consapevole che il suo candidato non sarebbe stato un suo burattino insediato al Quirinale solo per assecondare le sue finalità politiche, ma una persona dotata dell'autonomia necessaria a far rispettare le prerogative che la carica gli attribuisce. Un Capo dello Stato insomma che proseguirà al vertice delle istituzioni l'esempio dato da Einaudi, Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano e in particolare degli ultimi due che si sono trovati al vertice della struttura istituzionale in una fase particolarmente agitata della vita pubblica ed economica italiana, europea e internazionale. Quella fase purtroppo è ancora in corso e quindi questa scelta era ancor più necessaria.

Un Presidente sopra le parti e mai sopra le righe: così l'ha definito Mario Monti e così sarà. Domenica scorsa, anticipando le previsioni sul voto di ieri, scrissi che se la scelta del candidato al Quirinale (che Renzi non aveva in quel giorno ancora compiuta) fosse stata sbagliata, la colpa sarebbe ricaduta sulle sue spalle, se fosse stata giusta suo sarebbe stato il merito. Il risultato è sotto gli occhi di tutti ed anche il merito di Matteo Renzi e del Partito democratico che ha compattamente seguito.

* * *

Gli effetti positivi dell'iniziativa di Renzi non riguardano soltanto la scelta di Mattarella, una candidatura che non sarebbe stata cambiata in nessun caso, ma anche la compattezza del Pd, obiettivo non facile da realizzare. In numerose precedenti occasioni Renzi aveva trascurato di perseguire quella compattezza, anzi aveva pubblicamente screditato i dissidenti alimentandone l'animosità nei suoi confronti. Questa volta invece ha scelto contemporaneamente due obiettivi: la vittoria di Mattarella e la compattezza del Pd. È anche vero che se quella compattezza non ci fosse stata la vittoria di Mattarella sarebbe diventata molto aleatoria, il che significa che i due obiettivi erano interconnessi.

L'intelligenza politica di Renzi è stata quella di capire quella interconnessione e di agire in conseguenza. I dissidenti si sentivano non già una corrente di minoranza del partito, quale numericamente erano; bensì come "separati in casa", quindi con uno statuto del tutto diverso. I separati in casa sono due coniugi con vite e finalità diverse ma che non hanno però cessato di convivere in parità di diritti tra loro. E Renzi in questa vicenda così li ha trattati; sapeva che la convivenza sarebbe durata solo scegliendo un candidato di loro gradimento. L'elenco dei graditi (anche a Vendola e agli altri gruppi di sinistra) erano Prodi e Mattarella. Altri candidati non li avrebbero accettati ed avrebbero fatto il possibile per farli fallire. Non si trattava di negoziare, queste posizioni dell'una e dell'altra parte erano state pubblicamente dichiarate e hanno portato alla vittoria di Mattarella, di Renzi e della sua sinistra.

La domanda che ora si pone è: restano "separati in casa" o la compattezza si estenderà ad altri campi, a cominciare dalle riforme? E da quali riforme? La risposta a tale quesito a mio parere è questa: l'elezione del Capo dello Stato è un evento particolare, le riforme debbono essere messe su un altro piano. È dunque probabile che sulle riforme il dissenso tornerà, ma il comportamento delle parti in causa sarà diverso, si parleranno, cercheranno di gettar ponti tra loro e arrivare a compromessi condivisi. Se non ci riusciranno, terranno comunque comportamenti prudenti che non mettano in discussione la rottura del partito. In pratica non si può ignorare che c'è stato in questa occasione uno spostamento politico del Pd verso sinistra; ora si tratta di consolidarlo. In che modo? Personalmente penso che il terreno di verifica dovrà essere non soltanto ma soprattutto l'Europa.

* * *

Man mano che il tempo passa si rende sempre più evidente la necessità d'arrivare ad un'Europa federata, con un bilancio unico, un debito sovrano unico, una politica estera e della difesa uniche, una politica dell'immigrazione unica. Questa deve essere l'Europa del domani, che del resto il trattato di Lisbona esplicitamente indica come indispensabile meta in una società globale dove le parti a confronto non sono più gli Stati nazionali ma interi continenti. Questo obiettivo si scontra con molti ostacoli, il primo dei quali è un ritorno di fiamma dei nazionalismi e il secondo è il malanimo dei governanti che non vogliono spogliarsi di poteri essenziali come quelli sopra elencati e preferiscono esser protagonisti d'una confederazione piuttosto che scendere di rango in una federazione.

Renzi finora non ha fatto alcun passo verso la federazione, ha la scusante d'essere sulla stessa linea degli altri governanti a cominciare dalla Germania e dalla Francia, e non parliamo della Gran Bretagna. Ma questa dovrebbe essere appunto l'azione della sinistra italiana a cominciare da quella del Pd: cambiare la sinistra europea per cambiare l'Europa. Da questo punto di vista paradossalmente Tsipras può essere un elemento d'una partita estremamente complessa, della quale la colonna portante è Mario Draghi.

C'è però un altro obiettivo della sinistra che sta dentro e anche fuori del Pd: impedire l'abolizione del Senato sia nel ruolo sia nel reclutamento. Anche questa è una battaglia di fondo che deve impedire che il potere esecutivo, cioè il governo, indebolisca a proprio favore le capacità di controllo del potere legislativo. Che l'esecutivo debba essere rafforzato e che la Camera abbia da sola il potere di esprimere la fiducia al governo, questo va benissimo; ma fare del Senato una sorta di supporto non del federalismo ma dei consigli regionali, è uno scherzo di natura della divisione dei poteri, cioè dello Stato di diritto.

* * *

Il patto del Nazareno esiste ancora, Renzi ne ha bisogno, ma fino a un certo punto. Per fare le riforme? Dovrebbe e potrebbe farle con una sinistra di nuovo e più moderno conio. Ma c'è anche Alfano da considerare, che aveva riscoperto i suoi legami con Forza Italia. È strano: Alfano ha fondato un partito per dare rappresentanza a una destra nuova, liberale ma non demagogica e populista. Purtroppo non è un trascinatore, forse dovrebbe allearsi con Passera e cercar di attrarre quella parte di elettori berlusconiani che vorrebbero appunto una destra "repubblicana". L'alleanza con Renzi finora Alfano l'ha vista attribuendosi un ruolo conservatore, non liberale. Questo è stato il suo errore. In realtà è ormai in un vicolo cieco come anche Berlusconi. Vicoli ciechi, strade senza sbocco e senza elettori.

Il Pd ha dinanzi a sé una prateria: creare una nuova sinistra riformatrice in Italia e in Europa, un socialismo liberale. La vera cultura -  l'ho scritto molte volte ma ancora lo ripeto perché oggi è il giorno adatto -  è quella del socialismo liberale che è stato il lascito culturale e politico del partito d'Azione. Se avessi la bacchetta magica farei sì che il Pd fosse un partito d'Azione di massa. Vi sembrerà strano, a voi che mi leggete, ma questo negli ultimi anni della sua vita breve fu anche l'idea di Enrico Berlinguer. È stato eletto al Colle un antico democristiano di sinistra. Ebbene, è con Aldo Moro che si accordò Berlinguer. Pensateci bene e pensateci tutti.

© Riproduzione riservata 01 febbraio 2015

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-presidente-repubblica-edizione2015/2015/02/01/news/bene_renzi_e_bene_il_pd_il_presidente_quello_giusto-106262336/?ref=HREA-1
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« Risposta #546 inserito:: Febbraio 04, 2015, 07:53:25 am »

Eugenio Scalfari a In mezz'ora. "Sergio Mattarella farà per l'Italia quello che Papa Francesco sta facendo per la Chiesa"

L'Huffington Post
Pubblicato: 01/02/2015 15:21 CET Aggiornato: 1 ora fa

“Sergio Mattarella farà le stesse cose che il Papa sta facendo nella chiesa. È una frase impegnativa, anche paradossale, ma contiene una verità. Non butterà all’aria le regole, le farà rispettare. Non è banale, non tutti i presidenti della Repubblica sono riusciti a far rispettare le regole, qualche volta sono stati al servizio di chi governava”. Lo ha detto Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica, in un’intervista a In Mezz’ora, su Raitre, parlando del nuovo presidente della Repubblica.

“Per questa elezione del presidente - un capolavoro dal punto di vista di Renzi, anzi di tutti - Renzi ha dato un’intonazione al partito che è quella che il Pd dovrebbe avere, ma che Renzi non ha mai dato. È un partito della sinistra riformista”. È stato un “aggancio a sinistra” che “non può essere mandato a casa: si deve formare una sinistra moderna e nuova che combatta per l’Europa nuova. Una politica nuova, l’appoggio a Draghi, una politica di crescita, un recupero con i sindacati e gli Stati Uniti d’Europa”.

Quanto a Sergio Mattarella, "io non lo conosco personalmente, dal punto di vista dell’età potrebbe essere mio figlio” premette Scalfari, spiegando di averlo “seguito con molta attenzione, ma non ci siamo mai incontrati”. Il nuovo capo dello Stato “ebbe una giovinezza terribilmente funestata dall’uccisione del fratello Piersanti - che era presidente della Regione e quindi una figura fondamentale in una Sicilia tendenzialmente sempre separatista o comunque Regione a statuto speciale”, una figura importante “soprattutto perché non faceva parte nemmeno in modo indiretto con quella zona grigia della Dc a contatto con la mafia”. Piersanti “fu ucciso e credo che Sergio Mattarella sia stato spinto alla politica non dico per vendicare il fratello, perché non era questa l’intenzione, ma per proseguire l’opera del fratello, non necessariamente in Sicilia, ma nella politica italiana. È così che nasce”. Scalfari aggiunge che Mattarella “è poi cresciuto strada facendo dentro la Dc, ha fatto passi veloci, ma è emerso gradualmente. Prima ha avuto incarichi di partito, poi di governo. Lui è tendenzialmente più un uomo di governo, un uomo delle Istituzioni, che un uomo di partito. È stato un uomo che vede il bene di tutti, non la visione partitica di cosa è il bene comune”.

Scalfari rifugge l’espressione per cui moriremo tutti democristiani. “La balena bianca è morta e i morti non si resuscitano. È finita. Mattarella ha la storia di un democristiano, ma che vuol dire questo? – prosegue - È un uomo di 70 anni che ha fatto i suo passi nella politica nella Prima Repubblica e si è innestato poi velocemente nella Seconda Repubblica. La Dc, insieme al Psi, al Pli, al Psdi, al Pri, è scomparsa con Tangentopoli. Non risorgono”.

Per quanto riguarda gli sviluppi futuri, per Scalfari è corretto vedere la nascita di un Partito della Nazione, ma lo considera “uno sviluppo assolutamente sbagliato. In una democrazia, la struttura più adatta della democrazia è una situazione bipartitica o bipolare, un partito che rappresenta la visione del bene comune vista con gli interessi delle classi lavoratrici e una visione del bene comune conservatrice, che prima di concedere altri diritti vuole che i diritti esistenti siano custoditi”. Serve quindi un’opposizione, ma “purtroppo Berlusconi è quello che è, è disfatto. Alfano non è un trascinatore di folle e ha visto di non poter rappresentare una destra conservatrice, retrograda, così come è non ha sbocchi”.

Secondo Scalfari, Mattarella potrebbe avere un approccio diverso da Napolitano soprattutto per quanto riguarda la riforma del Senato. Questo perché “Napolitano, del quale sono vecchio amico e grande estimatore, secondo me sbagliando era a favore della riforma del Senato così come è fatta, perché già al momento della Costituente lui apparteneva a quel gruppo del Pci che voleva che il Senato si occupasse solo degli enti locali”. Ma, prosegue Scalfari, “il Senato così è nonsense. È la seconda Camera, che si occupa solo delle Regioni e degli enti locali. Le Regioni eleggono i senatori, secondo questo schema, che però devono controllare se i consigli regionali fanno bene o male e, laddove facciano male, devono intervenire e sanzionarli. Possiamo immaginare che il senatore che è scelto dà le sculacciate se sbagliano? Dovrebbero essere scelti dal popolo”.

DA - http://www.huffingtonpost.it/2015/02/01/eugenio-scalfari-mattarella-come-papa_n_6588886.html?1422800486&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #547 inserito:: Febbraio 13, 2015, 02:46:43 pm »

Tsipras sogna un'altra Europa e l'Italia cosa fa?

di EUGENIO SCALFARI
08 febbraio 2015
   
L'ITALIA e la Grecia nel loro rapporto con l'Europa e con i propri elettori si trovano in due situazioni molto diverse tra loro ma anche accomunate da alcune importanti analogie. Entrambi i loro leader hanno promesso molto, i due Paesi sono funestati da pesanti debiti e vorrebbero cambiare la politica economica europea. Entrambi infine sono ammirati e politicamente amati dalla maggioranza degli elettori nei loro rispettivi Paesi.

Comincerò dunque ad occuparmi di Alexis Tsipras e concluderò con Renzi: ci riguarda molto più da vicino e si merita dunque il finale.

Il governo greco guidato da Tsipras e dal suo ministro delle Finanze si poneva all'inizio quattro obiettivi: trasferire il suo debito all'Europa per cinquanta anni e senza interessi; ottenere nuovi prestiti senza rimborsare quelli già scaduti ed effettuati da vari Paesi, tra i quali anche l'Italia, e dalla Bce; rifiutare la "Troika" e gli impegni da lei imposti; negoziare una nuova politica economica europea ed anche istituzioni più democratiche e meno burocratiche alla guida dell'Europa.

Il primo obiettivo è stato ovviamente rifiutato e fu Draghi qualche giorno fa a dirglielo con la dovuta fermezza. Del resto, avrebbe suscitato proteste più che giustificate da parte del Portogallo e di altri Paesi membri dell'Eurozona che la "Troika" ha assistito imponendogli i massimi sacrifici da essa presunti come inevitabili medicine.

Il secondo (nuovi prestiti e prolungamento di quelli in scadenza) è stato anch'esso rifiutato: un Paese fortemente debitore non può contrarne altri a cuor leggero senza neppure accettare il controllo della "Troika".

Su questo punto Draghi ha chiesto il rimborso immediato del prestito concesso direttamente dalla Bce, in mancanza del quale la Banca centrale non rinnoverà il suo sostegno alle banche greche in stato di pre-fallimento.

Il terzo obiettivo, la politica di crescita, sarà il vero oggetto delle consultazioni che si apriranno nei prossimi giorni e che probabilmente avranno soluzione positiva; se vogliamo evitare il default della Grecia e lo scossone che ne deriverebbe all'intera economia europea è su questo tema che bisogna lavorare. Questo, del resto, è un obiettivo condiviso da gran parte dei Paesi dell'Eurozona e dalla stessa Banca centrale.

Infine la revisione delle istituzioni di Bruxelles. Il significato di questa richiesta è verosimilmente un passo verso l'Unione federata anziché confederata, con le relative cessioni di sovranità da parte degli Stati nazionali. Questa a me sembra la posizione più positiva tra quelle che Tsipras spera di ottenere; non riguarda solo la Grecia e dovrebbe essere quella di tutta l'Unione. Purtroppo non lo è, neppure dell'Italia, ma lo è però della Bce. Può sembrare paradossale che la spinta verso gli Stati Uniti d'Europa venga da un Paese che si trova sull'orlo d'un precipizio e grida anche nelle piazze la propria disperazione. Potrebbe esser messo in condizione di uscire dall'euro e chiede non solo flessibilità e soccorso monetario ma addirittura la nascita di uno Stato che si chiami Europa ed abbia i poteri finora dispersi su 28 Paesi. Se si verificasse su questo punto una coincidenza politica tra Tsipras e Draghi, anche l'adempimento degli impegni economici della Grecia diventerebbe più facile. Ma gli avversari sono molti, anzi tutti, Renzi compreso: i governi nazionali non vogliono perdere la loro sovranità.

Ecco un tema sul quale Renzi dovrebbe dare le dovute ma mai fornite spiegazioni. La sua passione per il cambiamento riguarda solo l'Italia e non l'Unione europea della quale siamo perfino i fondatori?

***

Siamo così al tema Renzi che direttamente riguarda noi, europei ed italiani.

Il nostro presidente del Consiglio ha fatto, con l'elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, un vero capolavoro politico, l'abbiamo scritto domenica scorsa e lo ripetiamo. Personalmente ho parecchie riserve su Renzi ma la verità va riconosciuta e sottolineata proprio da chi su altri temi ha manifestato e dovrà ancora manifestare ampi motivi di dissenso.

Si parla, a proposito del Pd renziano, di partito della Nazione. Esiste già oppure è un obiettivo per il quale Renzi lavora alacremente? E qual è il significato di un'immagine che prende quel nome come vessillo?

Ci sono due modi di intendere quel nome. Uno, indicato nei suoi scritti, è sostenuto da Alfredo Reichlin e significa un partito che ha capito quali sono i concreti interessi del nostro Paese e cerca di attuarli utilizzando gli insegnamenti della Storia e dell'esperienza. Pienamente accettabile.
L'altro modo di intendere quel nome è un partito che riscuote un tale consenso elettorale da essere di fatto un partito unico avendo ridotto gli altri a piccole formazioni di pura testimonianza.

Questo è il senso che Renzi ha dato a quel nome, naturalmente non escludendo affatto il primo significato ma subordinandolo al potere concreto e quasi esclusivo del partito della Nazione.

Per ora tuttavia quel partito non c'è: nell'attuale Parlamento, diretta espressione del popolo sovrano, siamo in presenza di una situazione tripolare. Fu eletto col "Porcellum" e il Pd lucrò il premio di maggioranza alla Camera, ma restarono tre grandi schieramenti: Pd, Pdl (i berlusconiani allora avevano il nome di Popolo della Libertà) e il Movimento 5 Stelle.

Tripolare. E tale durerà fino al 2018, stando all'impegno assunto e sempre ripetuto da Renzi nelle sue pubbliche esternazioni.

Un Parlamento tripolare non consente l'inverarsi del partito della Nazione, ma ne permette l'avvio, anche con le riforme della Costituzione e in particolare con quella che riguarda il Senato, sempre che arrivi in porto, visto l'ultimo voltafaccia di Berlusconi. L'ex Cavaliere, bruciato dall'elezione di Mattarella, ha improvvisamente scoperto che c'è una deriva autoritaria nelle riforme che aveva sostenuto fino a ieri. E che quindi il patto del Nazareno non c'è più: vedremo quanto a lungo manterrà questa posizione. L'uomo, si sa, non è famoso per la sua coerenza.
Ma vale comunque la pena di riprendere il tema del Senato, specie ora che spetterà al nuovo Capo dello Stato promulgare le leggi una volta che arrivino sul suo tavolo.

***

Quella legge di riforma prevede che il Senato (continuare a chiamarlo così mi sembra ridicolo) diventi Camera delle Regioni, ne sostenga gli interessi in Parlamento, sia il custode dei loro poteri amministrativi e legislativi, ne sorvegli la legalità dei comportamenti ed eventualmente ne punisca quelli ritenuti politicamente illegittimi.

Quanto al resto, il Senato previsto perderà quasi tutti i suoi poteri attuali salvo quelli che riguardano leggi costituzionali e trattati europei.

Sono favorevole a riservare il potere di fiducia soltanto alla Camera, in nessun Paese europeo di solida democrazia la cosiddetta Camera Alta detiene quel potere e ben venga dunque su questo punto il regime monocamerale. Ma proprio perché dare o togliere la fiducia non spetterà più ai senatori, possiamo e anzi dobbiamo lasciare intatti i loro poteri di controllo sull'Esecutivo e sulla pubblica amministrazione.

Il potere Legislativo ha un duplice ruolo: quello di approvare le leggi e quello di controllare il governo nei suoi atti esecutivi. Ridurre al monocamerale anche questi atti dell'Esecutivo ha il solo significato di accrescere la sua libertà di azione; la rapidità è un bene che l'esistenza di due Camere non ha mai danneggiato, come molti sostengono ma come i dati smentiscono. Quindi la legge di riforma può e deve su questo punto essere emendata.

Ancor più necessario -  perché può rischiare anche l’incostituzionalità -  è modificare il testo di legge per quanto riguarda l'elezione dei senatori. La riforma attualmente prevede che siano designati dai Consigli regionali. Qui c'è un'incoerenza di estrema gravità: un organo preposto alla vigilanza sulle Regioni, i cui membri sono eletti da chi dovrebbe essere da quell'organo controllato ed eventualmente sanzionato, anziché dal popolo sovrano. Per di più in un Paese dove una delle maggiori fonti di malgoverno e corruzione è presente proprio nei Consigli regionali. Mi sembra assolutamente necessario che sia il popolo ad eleggere direttamente i senatori.

Mi permetto di segnalare quest'aspetto della legge di riforma costituzionale affinché sia adeguatamente modificato. La forma attuale è un fallo e l'arbitro ha diritto e dovere di fischiare indicandone la punizione (in questo caso la modifica).

***

Post scriptum. In una recente intervista televisiva a Maria Latella, il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha preannunciato un suo disegno di legge che presenterà nei prossimi giorni. Riguarda l'obbligo del vincolo di mandato che attualmente è escluso da un articolo della Costituzione. Ora anche i Cinquestelle dicono la stessa cosa. Dunque Grillo e Salvini vogliono che un membro del Parlamento eletto su candidatura del partito cui aderisce non possa in alcun caso votare contro il suo partito del quale ha l'obbligo di eseguire pedissequamente gli ordini. Se la sua coscienza glielo impedisce, la sola via di fuga che può adottare sono le dimissioni dal Parlamento.

Se questa proposta venisse accolta, sarebbe sufficiente un numero di parlamentari estremamente limitato. Magari una cinquantina, che rappresentino proporzionalmente i consensi ottenuti dal partito cui appartengono. Per di più non ci sarebbe nemmeno bisogno di discussioni e basterebbe spingere dei bottoni per registrare il voto di quel gruppetto di persone.

Una proposta così può essere fatta soltanto da chi vuole instaurare per legge una dittatura. Oppure da un pazzo. Scelgano Salvini e Grillo in quale di questi due ruoli si ravvisino.

© Riproduzione riservata 08 febbraio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/02/08/news/tsipras_sogna_un_altra_europa_e_l_italia_cosa_fa_di_eugenio_scalfari-106786913/?ref=HRER2-1
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« Risposta #548 inserito:: Febbraio 18, 2015, 07:55:51 am »

Né Renzi né l'Europa né la Germania conoscono se stessi

Di EUGENIO SCALFARI
15 febbraio 2015
   
MATTEO Renzi è contento: malgrado l'assenza aventiniana d'una opposizione molto variegata, gli articoli della riforma costituzionale del Senato sono stati approvati a notte fonda tra venerdì e sabato, e soprattutto il Pd è rimasto compatto anche se il dissenso della sua ala sinistra è tuttora esistente. Lo sarà ancora di più quando tra alcune settimane sarà discussa in aula la quarta lettura della legge elettorale.

Ma dovrà fare i conti con un dissenso che, soprattutto sulla riscrittura della Carta, è diffuso tra i partiti e molto motivato: l'abolizione del Senato comporta un indebolimento del potere Legislativo e un rafforzamento dell'Esecutivo che può indurre a imboccare la strada d'un governo autoritario. Personalmente lo dico e lo scrivo da molto tempo; adesso lo dice anche Berlusconi che fino a ieri quella legge l'aveva approvata ma lui, lo sappiamo, cambia parere secondo le sue convenienze.
Ho ascoltato venerdì scorso, nella trasmissione televisiva guidata dalla Gruber, due colleghi politicamente esperti, Paolo Mieli e Giampaolo Pansa, che sostenevano entrambi questa tesi: Bettino Craxi e il suo partito socialista sostennero 35 anni fa quella che chiamavano "Grande Riforma" che assegnava appunto al Capo del governo tutti i poteri, come esistono da tempo in Germania con il Cancellierato e in Gran Bretagna con la supremazia del Premier. Ma la "Grande Riforma" craxiana non fece un solo passo avanti e non fu mai ripresa dai governi che gli succedettero, condizionati e taluni addirittura sconvolti da Tangentopoli. Adesso è finalmente arrivato Renzi che lotta efficacemente per il cambiamento, anche e soprattutto per quanto riguarda il potere Esecutivo.

Il cambiamento può essere positivo o negativo e a questo aspetto della questione bisogna dare molta attenzione. Questo rimpianto craxiano mi sembra significativo ed è un (pessimo) precedente per Renzi. Stupisce che il suo partito lo segua compattamente. La dissidenza di partito è motivata dal fatto che i parlamentari eletti dal popolo hanno ottenuto il consenso sulla base del programma del partito cui appartengono e quindi è loro compito di essere fedeli ad esso.

L'argomento è sostenibile ma il paragone è improprio, visto che i parlamentari del Pd che siedono in Parlamento hanno sostenuto nelle ultime elezioni il programma di Bersani e non quello di Renzi che ancora era nell'ombra. E poi: la Costituzione prescrive con apposito articolo che "ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione senza vincolo di mandato ". La Lega e il Movimento di Grillo vorrebbero abolirlo e sancire che il parlamentare in dissenso col proprio partito deve comunque votare come prescritto dagli organi deliberanti oppure dimettersi dal Parlamento.

Tutte le persone ragionevoli hanno giudicato la posizione dei leghisti e dei grillini come un incitamento alla dittatura nei partiti e quindi nel Paese, ma la riforma del Senato è un passo su quella strada. E chi ne dissente nel Pd dovrebbe votarla per disciplina?

Sul Corriere della Sera di ieri Antonio Polito nel fondo di prima pagina ha scritto commentando il voto notturno sulla legge elettorale in una seduta che Repubblica ha definito un "rodeo": "Questo Parlamento è il più disossato nella storia della Repubblica, in cui alcuni partiti hanno come obiettivo quello di spaccare gli altri mentre i partiti che vorrebbero unire sono spaccati " è un'immagine efficace ma non completa. Nella realtà tutti i partiti non sanno chi sono e procedono perché c'è un boss che li comanda. Da solo. Sicché la definizione più aderente la riservo ad una poesia di François Villon di cui riporto i pochi versi che ci riguardano: "So riconoscere il monaco dall'abito / So distinguere il servo dal padrone / So riconoscere il vino dalla botte / So distinguere un cavallo dal mulo / So vedere chi sta bene e chi sta male / So tutto ma non so chi sono io". Chi è a questo punto il Partito democratico? Sa tutto ma non sa chi è lui e non lo sappiamo neppure noi che lo osserviamo, così come non sappiamo chi sono i grillini e chi i berlusconiani.

* * *

Ma Renzi lui sa chi è lui? Bisognerebbe interrogarlo e magari vivergli accanto per sapere chi è veramente ed anche chi crede di essere. A vedere le cose da lontano è difficile farne un coerente ritratto. Berlusconi ha detto più volte che Renzi era il suo "figlio buono", di fatto il suo clone in bella copia, senza il difetto del bunga bunga (ma questo Berlusconi non l'ha ricordato).

C'è una parte di vero in questa adozione berlusconiana ma non coglie completamente il suo modo d'essere e il suo carattere. È certamente un carattere forte, dove narciso gioca la sua partita. Un narciso un po' provinciale che rasenta il bullo di quartiere. Però coraggioso, però intelligente, però volitivo. L'elezione di Mattarella fu un capolavoro e gli va riconosciuto. Ma proprio nella seduta di ieri notte Renzi ha detto ricattando i destinatari delle sue parole, sia esterni sia interni al Pd: "Se questa legge non sarà approvata andremo a nuove elezioni" dimenticando che lo scioglimento delle Camere non spetta a lui ma al Capo dello Stato. E qui si vede il narciso di provincia e il bullo di quartiere.

Ora Mattarella, su loro richiesta, riceverà i gruppi parlamentari dei partiti. Cercherà di pacificarli e far sì che le leggi di riforma elettorale e costituzionale siano approvate col più largo consenso o almeno senza le risse da rodeo. Poi darà il suo parere sul merito solo quando le leggi approvate andranno alla sua firma per la loro promulgazione.

Il Presidente ha appena lasciato dopo cinque anni la sua carica di giudice costituzionale ed ha quindi tutte le conoscenze per sapere se le leggi sono conformi oppure no. È un arbitro che sa vedere i falli e fischiarne la punizione. Speriamo vivamente che così si comporti, anzi ne siamo certi.

* * *

Il terribile guaio di questi tempi oscuri è che neppure l'Europa sa chi è lei e neppure la Germania lo sa. Sa vedere la mosca nel latte, come diceva Villon, ma non sa chi è. L'Europa dovrebbe mirare dritta ad essere uno Stato federale e la Germania dovrebbe spingerla in quella direzione sapendo che sarebbe lei ad esserne la guida più autorevole. Ma i governanti europei non cederanno la loro sovranità e la Germania preferisce arbitrare che scendere in campo da giocatrice. Ci fu un tempo in cui sperava e voleva arbitrare tra Ovest ed Est, ma ora che Putin rimpiange l'Unione Sovietica e il suo impero, la "Ostpolitik" tedesca è diventata impossibile tanto più con la moneta unica.

Europa e Germania non sanno chi sono perciò brancolano mentre l'emergenza incalza. Vi ricordate i tempi di Eltsin che imperava a Mosca in perenne stato di ubriachezza molesta?
Putin beve poco, nuota come Mao, è sobrio e atletico. Lui sa chi è. Anche al-Sisi, il presidente egiziano, sa chi è. Anche Erdogan. Anche il Califfo. Anche l'Arabia Saudita, la Cina, il Brasile, sanno chi sono. In India c'è molta incertezza. Ma chi non l'ha mai saputo è purtroppo la Libia, che Gheddafi teneva sotto il tallone. Adesso la Libia non esiste più. C'è una fazione che occupa la provincia di Tobruch, gli islamisti dominano a Bengasi e a Tripoli, il Califfato a Derna e a Sirte. Questa è la situazione sulla costa africana che ci fronteggia.
Il nostro ministro degli Esteri ha visto giusto: a questo punto ci vuole un intervento militare autorizzato dall'Onu che intervenga a Tripoli e in tutto il territorio per ragioni addirittura di ordine pubblico. Ma sarà data quell'autorizzazione? Da un Consiglio di sicurezza in cui siedono tra gli altri la Russia e la Cina? E l'Europa non potrebbe gestire la sua politica estera in quella direzione? Nella guerra contro Gheddafi la Germania si rifiutò di intervenire neanche attraverso la Nato.

Immagino che Renzi la pensi come il suo ministro degli Esteri e intervenga anche lui sulla stessa linea. Queste sono le belle battaglie che narciso dovrebbe combattere perché gli darebbero molta più soddisfazione delle miserie d'un Parlamento a se stesso sconosciuto.
© Riproduzione riservata 15 febbraio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/02/15/news/n_renzi_n_l_europa_n_la_germania_conoscono_se_stessi-107358474/?ref=HRER2-1
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« Risposta #549 inserito:: Febbraio 27, 2015, 04:43:41 pm »

La Libia, la Grecia e la rapsodia in blu di Matteo Renzi

di EUGENIO SCALFARI
22 febbraio 2015

Tripoli bel suol d'amore / sarai italiana al rombo del cannon": era il 1911 e l'Italia (governo Giolitti) conquistava lo "scatolone di sabbia" della Tripolitania, avendo mancato, preceduta dai francesi, di occupare la Tunisia allora molto più ambita. Mussolini e Pietro Nenni, da buoni socialisti quali erano, avevano cercato con tutti i mezzi di fermare la guerra, perfino facendo stendere i loro compagni sui binari dello snodo di Bologna per ostacolare i treni che portavano i soldati a Napoli e a Palermo per partire verso la Quarta Sponda, mentre Gabriele D'Annunzio celebrava l'impresa con le sue Canzoni d'Oltremare.

Tempi antichi, anzi antichissimi. La Libia  -  dove nel frattempo è stato scoperto il petrolio  -  non esiste più. Esistono governi che si odiano tra loro o fingono di ignorarsi: Tripoli, Tobruk con le bande di Bengasi e Misurata e circa duecento tribù della più varia estrazione e tre regioni geopolitiche: Cirenaica, Tripolitania e Fezzan. E poi il deserto e le sue oasi.

In aggiunta c'è anche una propaggine del Califfato, che non si sa bene a chi si riferisca perché i capi sono locali; hanno occupato Derna e Sirte. In questo "puzzle" si muovono liberamente spacciatori di uomini e di droghe, gli scafisti e gli schiavisti che conducono centinaia di migliaia di famiglie dall'Africa sub-equatoriale fino al mare e si dirigono verso l'Italia per poi, in grande maggioranza proseguire verso la Francia, la Germania, in Belgio insomma nell'Europa che offre più occasioni di lavoro. Ne muoiono a migliaia nel viaggio in mare ma il flusso non si arresta anzi crescerà sicuramente col passare del tempo.

Questa è la situazione dove l'Italia è tra i Paesi più minacciati, ma lo è anche l'Europa nel suo complesso. Perciò bisogna farvi fronte, bisogna indurre (costringere?) i governi libici ad una sorta di "union sacreé", bisogna prendere contatto con le principali tribù e arrivare ad un accordo.

Forse ci vorrà anche un'adeguata e non simbolica presenza di militari in funzione di "peacekeeping" o addirittura di "peace-enforcing" ma affinché siano adeguate al compito in un Paese che è sei volte l'Italia, gli esperti ne valutano la consistenza a novantamila uomini, più i necessari appoggi navali e soprattutto aerei. Pensare all'Egitto è inutile, non dispone di forze adeguate e comunque ha ben altri problemi da risolvere.

Chi deve fornire l'ombrello internazionale, sia per la mediazione politica sia per l'"enforcing" militare, sono (in teoria) l'Onu, l'Europa, la Nato.

Matteo Renzi, con la rapidità che gli è propria negli annunci, ha già rivendicato la guida italiana sia per l'aspetto politico sia per quello eventualmente militare. Del resto ricorre proprio oggi l'anniversario del suo insediamento a Palazzo Chigi un anno fa. La leadership anche sul caso libico sarebbe per lui (anche per noi italiani?) un vero e proprio festeggiamento.

****

Non so se Renzi conosca le canzoni di D'Annunzio, ma questa semmai sarebbe una lacuna trascurabile. Il vero guaio è che a questo fine le sedi decisionali sono fuori dalla sua portata. L'Onu non deciderà un bel niente, impedita come è dalla presenza della Russia e della Cina nel Consiglio di Sicurezza. È vero che il 2 marzo il nostro presidente del Consiglio andrà a Mosca per incontrare Putin. Sarà certamente accolto benissimo, una montagna di caviale e litri di vodka specialissima. Putin non si muove ma parla con tutti, dal presidente egiziano alla Angela Merkel e Hollande (lì però si parlava di Ucraina e il discorso è alquanto diverso).

A Renzi darà tutte le rassicurazioni: la Russia è contro il terrorismo e quindi non lo favorirà in nessun caso. Ma i terroristi libici hanno a che fare con il Califfato? Quello che è certo è che fornire truppe non è mai avvenuto in Africa e quindi è certo che truppe russe non ci saranno. Quanto al voto nel Consiglio dell'Onu, le varie nazioni che vi partecipano possono tutt'al più avallare un intervento solo se sarà stato deciso da altri enti internazionali ma non sotto la sua bandiera. Potrà nominare un moderatore, ma non sarà certo Putin a determinarne la scelta. Tantomeno Renzi. Saranno, ovviamente, gli Usa.

Il viaggio di Renzi a Mosca serve a metterlo in bella vista a Roma. Tornerà soddisfatto e ci racconterà di un pieno successo e questo è tutto. E l'Europa? Come sempre è divisa: la Francia vorrebbe una presenza militare, la Germania no. L'Italia, tutto sommato, neppure, sempre che non si riveli indispensabile. Insomma pensare ad un piano europeo per la Libia è escluso. Salvo la Mogherini, titolare della politica estera e della difesa dell'Ue. Via, come direbbe Enrico Mentana, questa è una mia battutaccia. Resta la Nato e questa sarebbe lo scudo più appropriato, ma anche qui sono gli Usa a decidere. Perciò, caro Renzi, rassegnati: sulla costa libica noi possiamo anzi dobbiamo occuparci solo degli sbarchi di immigranti sulla nostra costa ed anche questa non è una bazzecola. Il resto sarà deciso altrove. O forse  -  speriamo di no  -  da nessuno.

****

La querelle tra Grecia ed Europa invece è andata a buon fine o almeno la soluzione provvisoria c'è stata: Tsipras ha ottenuto che i governi europei gli prestino altri 7 miliardi. Ma ha accettato le riforme contenute nel memorandum europeo che richiamava gli impegni già presi dalla Troika col precedente governo. Ora dovrà convincere la piazza e non sarà un'impresa facile. I greci però che l'hanno appoggiato con stragrande maggioranza nel voto e in piazza, avevano anche manifestato la loro contrarietà ad uscire dall'euro. Su questi tue tasti contraddittori Tsipras giocherà la sua partita e probabilmente  -  si spera  -  la vincerà.

Non dimentichiamo che il suo vero interlocutore non è stato Schäuble che addirittura si è permesso di insultare il governo di Atene violando con ciò il prestigio dovuto alla sovranità dei governi nazionali, ma è stato Mario Draghi che aveva già deciso di proseguire per un mese il finanziamento delle banche greche aumentandone addirittura l'ammontare.

In realtà se c'è una persona e un'istituzione che sta mettendo al sicuro l'euro e si occupa anche di favorire la crescita e l'avvio dell'Europa verso un vero Stato continentale, questo è lui e la Bce. Anche l'Italia ha in Draghi il suo efficiente "testimonial". Se le nostre esportazioni hanno ripreso a correre non è un merito delle imprese italiane ma del cambio euro-dollaro che ormai è ad un passo dalla parità. Ne deriva la ripresa della domanda di beni e servizi italiani, mentre si riduce il prezzo del petrolio (ma lì Draghi non c'entra) che ci frutta un risparmio notevolissimo da impiegare nel modo migliore. Per esempio nell'abbattere interamente il cuneo fiscale. Tutti questi miglioramenti si sono prodotti al di fuori dal raggio d'azione del governo, come la ripresa dell'esportazione e la plusvalenza nell'importazione di materia prima energetica. Questi elementi rappresentano un preliminare che darà rilancio agli investimenti e quindi, quando gli impianti saranno tornati al loro tetto naturale, anche ad un aumento dell'occupazione. In tutto questo la definitiva attuazione del Jobs Act è un elemento molto positivo della politica economica renziana, anche se la fisionomia "classista" non sfugge a nessuno. Queste sono scelte politiche sulle quali i sindacati si sono già manifestati contro, ma dove la parola definitiva spetta al governo. Un punto tuttavia deve esser chiaro: il Jobs Act è teoricamente una buona legge ma produrrà i suoi effetti nella misura in cui riprenderanno gli investimenti e la madre di questa ripresa è stata appunto la Bce e lo sarà ancora di più quando avrà inizio ormai tra pochissimo tempo la "quantitative easing". Questo e solo questo renderà funzionante il Jobs Act, senza di che tutto rimane fermo e le imprese non assumono.

****

Sui dettagli, tutt'altro che trascurabili, del Jobs Act non mi diffondo. Ci sono altri servizi sul nostro giornale che fin da ieri aveva già compiuto un'attenta e oggettiva analisi della legge, i suoi pro e i suoi contro nonché i consensi e le critiche delle parti interessate. A me premeva sottolineare che quella legge produrrà effetti positivi solo quando le misure monetarie e creditizie delle Bce avranno dispiegato tutti i loro effetti; in parte sono già in atto e col passare del tempo lo saranno ancora di più.

Mi resta ancora un punto da esaminare che non ha nulla a che fare con quanto fin qui è stata materia di riflessione: l'andamento nel mondo del concetto e della prassi della democrazia. C'è un sondaggio internazionale che ne parla ed è assai istruttivo e al tempo stesso molto preoccupante.

La democrazia partecipata, cioè col consenso del popolo e l'esercizio dei suoi diritti, è in forte declino. Questo fenomeno varia da paese a paese sia nelle forme sia nelle date in cui quel fenomeno ebbe inizio, ma il processo di decadimento è generale in tutti i continenti che compongono il nostro pianeta. Per noi il decadimento cominciò una trentina d'anni fa ed è andato aumentando nel ventennio berlusconiano ma, continua ad aumentare sempre di più. Il fenomeno si manifesta soprattutto in Occidente dove le democrazie partecipate sono nate e si sono sviluppate. Il sondaggio accenna anche alle cause che fanno da sottofondo al fenomeno ma in questo caso non si tratta più di sondaggio bensì di interpretazione dei sondaggisti. La causa si chiama indifferenza, soprattutto da parte dei giovani. O addirittura lo si può chiamare nichilismo. I giovani non si interessano alla politica né alla storia e al lascito di esperienze che il passato consegna al presente e si disinteressano anche del futuro.

Ovviamente non tutti i giovani sono indifferenti e nichilisti e non tutti gli indifferenti e nichilisti sono giovani, ma le dimensioni del fenomeno sono quelle già dette. Attenzione: non sono dei bamboccioni che vivono nelle braccia protettive di mamma e papà; sono giovani fattivi, arditi, creativi. Ma la democrazia partecipata non rientra nei loro interessi. A questo si deve aggiungere che alcuni (molti) governi approfittano di quest'indifferenza e addirittura la anticipano sottraendo diritti politici al tessuto costituzionale sicché, quand'anche la maggioranza dei giovani cambiasse atteggiamento, i diritti concernenti la democrazia partecipata non ci sarebbero più o sarebbero stati fortemente ridotti Consegno ai nostri lettori queste considerazioni. Se mi leggono questo è un segno che vedranno questo fenomeno con analoghe preoccupazioni. Quei diritti mi riguardano anche personalmente perché, pur essendo vecchio, ne usufruisco e vedendoli ridotti o aboliti anche io protesto e me ne dolgo.

© Riproduzione riservata 22 febbraio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/02/22/news/la_libia_la_grecia_e_la_rapsodia_in_blu_di_matteo_renzi-107894789/?ref=HRER2-1
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« Risposta #550 inserito:: Marzo 07, 2015, 04:20:06 pm »

Perché è Draghi il motore della crescita europea

Di EUGENIO SCALFARI
01 marzo 2015
   
È DIFFICILE stabilire qual è il fatto più importante della settimana che termina oggi. Ce ne sono stati molti, interni e internazionali, di analogo peso, interconnessi tra loro; alcuni erano da tempo in gestazione e tutti continueranno a svolgersi in futuro. Presentano aspetti positivi e negativi secondo il punto di vista di chi è chiamato a raccontarli, approfondirne il significato, dare il proprio giudizio. Eccone l'elenco:

1. I dati macroeconomici e l'inizio dell'intervento monetario della Bce, già previsto da tempo ma operante fin da domani per l'ammontare di 600 milioni al mese per un tempo di almeno un anno e mezzo se non di più.

2. La legge di riforma della giustizia civile e le polemiche che ne sono derivate.

3. La manifestazione della Lega a Roma e il tentativo di Salvini di proporsi come il vero oppositore del governo e di Renzi, diffondendo il suo movimento anche al Centro e al Sud.

4. La riforma in preparazione sulla scuola.

5. La riforma in preparazione sulla Rai

6. La nascita ormai avvenuta del partito della Nazione renziano; un grande centro come mai è esistito in nessun Paese di solida democrazia dove si confrontano una destra conservatrice e una sinistra riformatrice, con al centro un eventuale partito di modeste proporzioni che vota ora per l'uno ora per l'altro dei partiti maggiori secondo il risultato che porteranno davanti agli elettori.

7. La emergente indifferenza dei giovani rispetto alla politica.

8. Il disagio crescente all'interno del Pd. La sinistra dei dissidenti accresce le sue critiche nei confronti dell'impianto generale del renzismo senza però puntare su un leader nuovo che li possa rappresentare anche in Europa.

9. La crisi libica e le sue ripercussioni sull'Europa e l'Italia.

10. La crisi ucraina che continua sotto una provvisoria cenere di tregua.

Come si vede l'elenco è assai lungo e scegliere il tema dominante e pressoché impossibile. Comunque, dovendo fare quella scelta dopo averli tutti qui indicati, credo che possiamo iniziare dall'economia che comprende la situazione italiana ma anche quella dell'Europa nel suo complesso con ripercussioni politiche della massima importanza.

***

Su Mario Draghi esistono giudizi complessivamente positivi che però differiscono sui tratti caratteriali che lo distinguono. Alcuni lo vedono come un "homo oeconomicus", altri come economista, certo, ma anche politico, anzi soprattutto politico perché mette l'economia al servizio del bene comune. Credo che questo secondo giudizio sia quello giusto. Del resto lo storicismo, cioè il frutto maturo dell'Illuminismo, identifica economia e politica; l'economia ha infatti l'etica come cintura di sicurezza o, se volete, l'amore per se stesso (economia) e quello per gli altri (etica). La politica li condiziona tutti e due e la dinamica fa sì che a volte predomini l'uno e a volte l'altro senza però che l'aspetto più debole scompaia del tutto.

Draghi è, secondo me, il tipico esempio di chi mette gli strumenti dell'economia che la Bce possiede, al servizio della politica e usa il mercato non solo come stimolo alla crescita ma come sviluppo delle istituzioni europee verso l'obiettivo d'uno Stato federale.

Da domani avrà inizio l'intervento della Bce e delle Banche centrali nazionali sul mercato dei titoli pubblici. L'operazione è attesa già da due mesi. È stata deliberata definitivamente un mese fa e domani comincia. Gli effetti sul mercato sono stati registrati da tempo ma giovedì e venerdì scorsi hanno compiuto ancora un balzo: il prezzo dei titoli è aumentato al massimo facendo diminuire lo spread rispetto ai Bund tedeschi a 100 punti-base e praticamente allineando il tasso di cambio tra l'euro e il dollaro alla parità con vantaggi evidenti sulle esportazioni.

Bisogna sottolineare ancora un aspetto di questa operazione: il grosso degli acquisti sarà compiuto dalle Banche centrali nazionali (l'80 per cento del totale) e il 20 direttamente dalla Bce. Le conseguenze politiche che quel 20 eserciterà sono la proprietà europea di quei titoli perché stanno nel portafoglio della Bce, istituzione europea per eccellenza del cui capitale sono azionisti tutti gli Stati membri dell'Unione.
Il significato è evidente: un quinto dei debiti nazionali diventa debito europeo.

Il giornale "Il Foglio" di giovedì scorso, in un articolo di Aresu e Garnero, ha paragonato Draghi ad Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori dell'indipendenza dell'America e ministro del Tesoro nel governo di George Washington. Una delle operazioni di Hamilton fu di considerare i debiti degli Stati dell'Unione come debiti federali. Ed è in questa stessa direzione che sta operando Draghi. Quel 20 per cento porta inevitabilmente, specie attraverso l'unione bancaria europea, alla nascita per ora parziale ma certamente evolutiva, dell'assunzione dei debiti nazionali in debito sovrano europeo con annessa garanzia europea dei depositi bancari, della vigilanza europea sulle banche e, di fatto e di diritto, alla cessione di sovranità fiscale e del bilancio unico dell'Unione monetaria e politica. Alcune di queste misure sono già in atto altre saranno l'evoluzione necessaria della costituzione dello Stato federale.

Il vantaggio per il governo italiano ammonterà a due/tre miliardi di minori uscite per gli oneri che il nostro Tesoro sopporta per pagare gli interessi sul debito pubblico. Più o meno altrettanto ci verranno dal minor prezzo del petrolio. Renzi ha piena ragione di rallegrarsi per quanto sta avvenendo, di una ancor leggerissima crescita del Pil e dello spazio che questi risultati, destinati ad aumentare col tempo, possono esercitare sull'occupazione e sullo stesso Pil. Qui però la responsabilità è sua e del suo governo. Si trova nelle mani un beneficio che gli è stato procurato da Draghi. Ora sta a lui trasferirlo sull'occupazione. Riuscirà a farlo? E lo può fare senza un accordo con le organizzazioni sindacali che rappresentano i diritti dei lavoratori? Di tutti i lavoratori, quelli a tempo indeterminato e quelli precari?

***

Certamente Renzi vuole raggiungere l'obiettivo della crescita sociale oltre quella economica che Draghi sta realizzando. Ma con le rappresentanze sindacali deve parlare. Finora ha detto che le ascolterà ma comunque andrà avanti di testa propria e questo è un errore.
Non dico che sia un errore tecnico ma politico. Avere i sindacati sul piede di guerra significa alienarsi almeno dodici milioni di cittadini elettori, se non di più, specie in una fase di forti sacrifici. Si sente parlare come notevoli risultati dell'assunzione di mille operai in un'azienda che sembrava decotta e infine si è ripresa per un accordo incentivato dal ministro del Lavoro e di altri cinquemila nell'industria siderurgica. Quando la disoccupazione è alle cifre in cui è, questi sono risultati equivalenti ad una cucchiaiata presa dall'acqua di mare con l'obiettivo di fare diminuire l'altezza degli oceani. Ci vuole ben altro, ci vogliono leggi sul lavoro che creino nuova occupazione e che evitino di stimolare le assunzioni concedendo la libertà di licenziamento. Bisogna abolire totalmente il cuneo fiscale e predisporre un salario minimo garantito per tutte le persone in età di lavoro ma disoccupate.

Questi sono i principi di un accordo con le organizzazioni sindacali. E nel frattempo bisogna operare in Europa con due obiettivi: generalizzare la politica di crescita economica, battersi in sede politica per gli stessi obiettivi che Draghi persegue con gli strumenti economici dei quali dispone.
George Washington appoggiò Hamilton fino al momento in cui il ministro del Tesoro cadde morto per un duello alla pistola con un avversario politico. Allora le cose andavano così. Oggi per fortuna non è più così, ma bisogna evitare quel bullismo di quartiere che è molto diffuso. Speriamo su questo punto di essere ascoltati.

***

Dovrei dire ora che il Salvini leghista si pone come oppositore numero uno di Renzi. Se lo scordi e si guardi semmai dal Tosi sindaco di Verona, il solo avversario al suo livello ma assai più valido di lui nell'impostare una buona politica della Lega Nord. A Roma al comizio di ieri il pubblico che ascoltava Salvini in piazza del Popolo è stato valutato a quindicimila persone. Composte in gran parte da quelle arrivate coi pullman e i treni speciali dal Nord. Infatti metà di piazza del Popolo era vuota.

Dovrei anche dire che la legge di riforma della giustizia, preparata dal ministro Andrea Orlando, è decisamente buona. Consente ai condannati da una sentenza giudicata, cioè dopo i tre ordini di giurisdizione, di ricorrere contro lo Stato attraverso un processo ordinario. Lo Stato avrà un potere di rivalsa contro quel giudice che ha commesso l'errore ma soltanto se ci sarà stata "negligenza inescusabile" e comunque nei limiti di metà dello stipendio di quel magistrato colpevole. Altrimenti la multa inflitta resterà sulle spalle del Tesoro.

Francamente non si comprende il perché delle critiche da parte della magistratura che invece l'aveva appoggiata per timore che in caso di errore la rivalsa avvenisse direttamente a carico del giudice colpevole. Questo rischio è stato scongiurato, la libertà di interpretazione delle leggi è stata ribadita. Allora perché protestano? Dovrebbero semmai chiedere maggiori risorse economiche per rendere più efficaci i servizi, questo sì. Ma la legge soddisfa tutti e conquista maggiori diritti contro sentenze comprovate come basate su un errore di fondo.

Dovrei anche affrontare il tema del crescente disagio della minoranza del Pd nei confronti del loro segretario e capo del governo. Questo mi sembra un tema che va esaminato sia pure con tacitiana brevità perché lo spazio è tiranno.

***

Si stanno formando alcune correnti renziane dentro il Pd. È strano: renziani che militano nel partito di cui Renzi è il segretario si associano in correnti.

I dissidenti, cioè non renziani, hanno invece diversa natura. Sono, come già scrissi ai tempi dell'elezione di Mattarella al Quirinale, "separati in casa". Bersani dopo molte esitazioni ha scelto questo "status". Non prelude affatto ad una scissione perché la casa di quel partito liquido l'hanno costruita loro. Ma non se ne sentono più partecipi. Le ragioni sono molte, alcune forse faziose ma altre pienamente condivisibili.

I "separati in casa" però non hanno una leadership che, quando la fine della legislatura lo renderà possibile, si confronti con Renzi alle primarie e sia in grado di batterlo. Nel frattempo dovrebbero costruire una piattaforma programmatica presentando disegni di legge e sostenendo leggi di iniziativa popolare, usando quella libertà dai vincoli di mandato che è garantita dalla Costituzione ma restando però in quei limiti che non consentano provvedimenti di espulsione disciplinare.

Manca insomma un leader che abbia doti da leader. Alcuni ce ne sono tra i dissidenti, altri potranno emergere. Per guidare un Pd di sinistra democratica e sperando anche che nasca una destra democratica. Soprattutto puntando su una nuova Europa anche attraverso il Partito socialista europeo.

Questo è lo stato dei fatti. Quanto alla crisi libica, a quella greca e a quella ucraina, c'è la Mogherini che se ne può occupare e Dio l'accompagni.

© Riproduzione riservata 01 marzo 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/03/01/news/perch_draghi_il_motore_della_crescita_europea-108440662/?ref=HRER2-1
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« Risposta #551 inserito:: Marzo 08, 2015, 10:50:18 pm »

I benefici che Draghi procurerà all'Italia e a Renzi

Domani la Bce comincerà a comprare titoli e obbligazioni pubbliche nell'Eurozona. Al governo spetterà di trasformare questo beneficio in una forte ripresa di investimenti
Di EUGENIO SCALFARI
08 marzo 2015
   
IL NOSTRO Lucio Caracciolo, direttore del prestigioso Limes e nostro collaboratore, cita una parola molto efficace: democratura, che nasce dalla fusione tra democrazia e dittatura e con essa definisce la Russia di Putin: c'è il demos, cioè il popolo e c'è Putin che comanda da solo. Il Parlamento, cioè la Duma, non conta niente, si limita a ratificare. Neppure il governo conta, serve solo a trasmettere alle province dell'Impero gli ordini del dittatore e a farli eseguire dalla burocrazia. Alcuni ministri invece, insieme a Putin, al capo dei Servizi di sicurezza e qualche grande manager economico, costituiscono l'oligarchia, il gruppo che, guidato da Putin, amministra l'Impero.

Questa democratura esiste ed è sempre esistita in tutti gli Imperi, nei quali bisogna amministrare una grande quantità di diverse etnie, diversi linguaggi, diverse culture ed economie. Nel presente di oggi lo troviamo in Cina, in Giappone, in Usa. In Europa no perché l'Europa non è uno Stato. I vari statarelli conservano ancora una democrazia più o meno solida. Ma la tentazione verso la democratura in alcuni di essi è abbastanza forte. Diciamo che la democrazia è difficile da conservare negli Imperi e negli statarelli la tentazione esiste ma di solito non si realizza. Per fortuna, perché ove mai si verificasse diventerebbe una tirannide vera e propria.

***
Matteo Renzi, con quella mobilità e quell'intelligenza tattica che lo distinguono è andato nei giorni scorsi prima a Kiev e il giorno dopo a Mosca. Ovviamente ha recitato due diverse parti in commedia: con Poroshenko ha promesso che avrebbe sostenuto l'autonomia sovrana dell'Ucraina nel suo incontro del giorno successivo. A Putin ha detto che le sanzioni dovrebbero essere abolite da entrambe le parti in causa (Russia e alleanza euroamericana) e che bisognava pacificare gli animi e i cannoni. Ha accennato ad una soluzione del tipo Alto Adige per le province russofone dell'Ucraina e poi ha cambiato argomento chiedendo a Putin di sostenere nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu una missione navale che controllasse l'emigrazione verso la costa europea del Mediterraneo mentre la stessa Onu avrebbe dovuto nominare un negoziatore molto autorevole e possibilmente italiano che realizzasse la pacificazione tra le tribù della Libia.

Putin ovviamente ha dato le più ampie rassicurazioni per quanto riguardava la Russia nel Consiglio di Sicurezza. Poi il discorso si è spostato sui rapporti economici italo-russi e lì c'era una nostra delegazione di imprese e i suoi interlocutori russi che hanno per una giornata intera studiato gli incentivi affinché la collaborazione economica fosse ampliata e rafforzata. Insomma un incontro positivo, almeno a parole. I fatti dovrebbero vedersi presto perché il tempo non è affatto disponibile.

***

Poi il nostro presidente del Consiglio è tornato a Roma e la sua prima uscita è stata quella di avvertire i dissidenti del Pd che la legge elettorale non sarebbe stata modificata neppure di una virgola e così pure la riforma del Senato. E guai se qualche parlamentare del Pd non osserverà la disciplina di partito. Non si può dire che affiori in queste parole la tentazione verso la democratura, ma insomma qualche passo in quella direzione si sta compiendo. Probabilmente avviene in modo inconscio ed è quindi l'inconscio che gioca la sua partita, ma in politica esso può fare a volte danni irreparabili.

***

Domani la Bce comincerà a comprare titoli e obbligazioni pubbliche nei vari Paesi dell'Eurozona e soprattutto in Italia ed in Spagna. Qualche critico nei confronti di Mario Draghi ha osservato che il suo è un intervento tardivo, ma forse dimentica che analogo intervento in tema di liquidità fu compiuto nel 2012 per un importo totale di mille miliardi di finanziamento in gran parte destinato alle banche ordinarie dell'Eurozona. Questa volta l'intervento avviene sul mercato secondario e riguarda soprattutto titoli dei debiti sovrani dei vari Paesi. Alla domanda rivolta a Draghi da un giornalista tedesco che gli ha chiesto se il 20 per cento di questi titoli che saranno acquistati direttamente dalla Bce sarebbe stato trasformato in bond dell'Unione europea, Draghi ha risposto che riteneva questa operazione altamente improbabile. Certamente sarà così, il che non toglie che quei titoli si troveranno nel portafoglio della Bce. Ce ne sono sicuramente già molti in quel portafoglio e il nuovo lotto si aggirerà sui 240 miliardi di euro, cifra non certo trascurabile. Non si trasformeranno in bond europei ma stanno nella cassa-titoli di un'istituzione europea della quale sono azionisti i Paesi dell'Eurozona. Se non è zuppa è pan bagnato.

La nostra economia ed il nostro governo trarranno molti benefici effetti dal quantitative easing della Bce: un forte incentivo alle esportazioni, una liquidità del sistema bancario destinata a finanziare le imprese, una discesa dei tassi di interesse delle banche ai privati e infine la diminuzione degli oneri che il Tesoro deve pagare per l'emissione di nuovi titoli del debito pubblico. Si aggiunga a tutto ciò anche l'acquisto diretto della Bce di obbligazioni emesse da imprese pubbliche e private con tassi di interesse in discesa per finanziare una ripresa di investimenti.

Questo vasto programma di interventi avrà soprattutto il risultato di modificare verso l'ottimismo le aspettative e quindi di fare aumentare investimenti e consumi. Questo è il regalo che Draghi farà all'Europa e in particolare all'Italia, alle imprese e ai lavoratori. È auspicabile che Renzi dica un grazie collettivo alla Bce e alla Banca d'Italia che comprerà l'80 per cento della liquidità messa in campo dal sistema Bce. Al nostro governo spetterà di trasformare questo beneficio in una forte ripresa di interventi pubblici che provochino l'aumento delle scorte, degli investimenti e quindi dell'occupazione, giovanile e nel Sud in particolare.

***

Ma Renzi non riceverà soltanto i benefici che gli provengono dalla Bce. Ce n'è un altro che riguarda la persona stessa del nostro presidente del Consiglio: l'Europa non vuole a nessun patto una crisi politica in Italia che produca la caduta del governo attuale. Una crisi del genere in un Paese dove il debito pubblico è uno dei più grandi del mondo, riporterebbe le aspettative dall'ottimismo al pessimismo e sconvolgerebbe i mercati vanificando in gran parte gli interventi della Bce.
Quindi Renzi e il suo governo sono inamovibili. Per lui è una polizza d'assicurazione fantastica; almeno fino al 2016 è assicurata la sua inamovibilità. Del resto non ci sono alternative nella politica italiana in generale ed anche dentro il Pd. Forse nel Pd del 2016 sarà emersa la figura di un altro leader che possa costruire un partito di sinistra in luogo del partitone che Renzi ha messo al centro della politica italiana. E forse si starà profilando una nuova destra che non sia quel nanerottolo guidato da Alfano.

Ma da qui ad allora la tentazione della democratura si farà sempre più forte ed è questo che si deve evitare. Alla Germania, alla Francia, alla Spagna ben poco importa, ma a noi italiani, o almeno a quelli consapevoli e motivati alla difesa dei diritti che abbiamo e del dovere di difendere la democrazia, importa moltissimo. La scelta spetta a Renzi e all'oligarchia che gli sta accanto. Non può continuare a spogliare il potere Legislativo e avviarsi verso un Esecutivo accentratore, dove non contano neppure i ministri ma piuttosto lo staff di Palazzo Chigi. I ministri ormai contano molto poco, le leggi si preparano tutte alla presidenza del Consiglio e poi vanno in commissione e in aula e lì si debbono votare per disciplina. È giusto se non sono passi ulteriori verso la democratura. Altrimenti vanno fermati nell'interesse generale del Paese.

Nel frattempo la Ue ha deciso di inviare in Iran un rappresentante al massimo livello per discutere con le Autorità iraniane i gravi problemi esistenti in Iraq e in Siria a causa delle stragi operate dal Califfato. Spettava dunque alla Mogherini andare a Teheran con quella missione ma l'alto rappresentante della politica estera europea ha ceduto il suo posto alla signora Catherine Ashton che l'aveva preceduta in quella carica da lei ora occupata ma è rimasta per decisione della Mogherini sua consulente particolare. A Teheran dunque sarà la signora Ashton ad andare perché la Mogherini così ha deciso. Che saggezza, che spirito di squadra. Dove la si trova un'altra così?

© Riproduzione riservata 08 marzo 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/03/08/news/i_benefici_che_draghi_procurera_all_italia_e_a_renzi-109028243/?ref=HRER2-1
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« Risposta #552 inserito:: Marzo 16, 2015, 11:58:07 pm »

Quel che Francesco può dire all'Europa dei non credenti

Di EUGENIO SCALFARI
15 marzo 2015
   
"Dobbiamo evitare che i buoni si perdano e dobbiamo fare tutto ciò che è possibile per salvare i perduti".

La misericordia cui papa Francesco dedica il prossimo Giubileo ha questo obiettivo, il figliol prodigo della parabola che il padre accoglie come la festa della vita, il perdono tra uomini e la perdonanza infinita di Dio verso le sue creature. E il pentimento che è la condizione affinché la misericordia discenda su quell'anima e la illumini con la sua luce.

Papa Bergoglio non a caso ha preso il nome di Francesco, del tutto inconsueto nella Chiesa di Roma: il santo di Assisi vedeva e amava le creature di Dio, tutte le creature di Dio perché tutte portano dentro di loro una scintilla di divinità; il buon pastore è quella scintilla che deve scoprire cancellando con il suo amore le scorie che la vita ha accumulato su di essa relegandola nel profondo e soffocandone la luce.

Resta tuttavia il tema del peccato e del pentimento. E se il pentimento non viene? Se la scintilla si è spenta o non è mai esistita? Papa Francesco non ha mai pensato che quella scintilla possa spegnersi o addirittura che alcune nature possano esserne state private fin dalla nascita, perciò la cura delle anime non deve mai arrestarsi né essere interrotta e questo è il compito della Chiesa missionaria. Un giorno, in uno dei nostri incontri, mi parlò di quella missione che riguardava anche i non credenti. "La Chiesa missionaria  -  mi disse  -  non fa proselitismo, cerca nelle persone di suscitare la ricerca del bene nella loro anima".

Santità  -  gli risposi  -  io non credo che esista l'anima". "Lei all'anima non ci crede, ma ce l'ha".

Questa è la fede che lo sostiene e che ne illumina il cammino, l'amore del prossimo è la passione che lo sospinge.

Ricordo anche d'avergli detto che secondo me non ci sarebbe stato nessun pontefice come lui e la risposta fu che è il Signore a conoscere il futuro e la sua infinita misericordia.

Ripensando la storia della Chiesa cattolica ci sono soprattutto due tra i suoi predecessori che della misericordia hanno fatto il principale tema del loro pontificato: Lambertini nel Settecento e Roncalli mezzo secolo fa. Quasi tutti gli altri, dal Concilio di Nicea in poi, hanno tenuto insieme la predicazione evangelica e la gestione del potere temporale, dando la prevalenza all'una o all'altra secondo l'epoca in cui vissero e il carattere della loro personalità.

Francesco ha anche detto, nell'intervista ad un giornale messicano diffusa proprio ieri, d'avere la sensazione che il suo pontificato sarà breve, quattro o cinque anni e su questa frase si è concentrata l'attenzione dei giornali: forse sta male? Forse pensa di dimettersi da un compito così gravoso?

Lui ha smentito sia l'una che l'altra ipotesi. Del resto un anno fa, tornando da un viaggio in Corea, aveva già detto la stessa frase. È possibile che faccia presente a chi lo ascolta e anche a se stesso che la sua età anagrafica si chiama vecchiaia e i vecchi sono alla vigilia della scomparsa. Lui non teme la morte che è soltanto un passaggio verso la vera vita dell'aldilà. Teme la sofferenza, questo sì, e l'ha detto più volte, ma la morte no. La morte è una festa e come tale va affrontata da chi ha fede nel Padre che ti aspetta nell'alto dei cieli.

E per chi la fede non ce l'ha? La risposta è che se ha amato gli altri almeno come se stesso (possibilmente un po' più di se stesso) il Padre lo accoglierà. La fede aiuta ma non è quello l'elemento di chi giudica, è la vita. Il peccato fa parte della vita, il pentimento ne fa anch'esso parte. Il rimorso, il senso della colpa e il desiderio del riscatto, l'abbandono dell'egoismo.

Chi ha avuto il dono di conoscere papa Francesco sa che l'egoismo è il nemico più pericoloso per la nostra specie. L'animale è egoista perché è preda soltanto dei propri istinti, il principale dei quali è quello della sopravvivenza, la propria. Ma l'uomo è animato anche dalla socievolezza e quindi sente l'amore verso gli altri, verso la sopravvivenza della specie cui appartiene. Se l'egoismo soverchia e soffoca l'amore per gli altri, offusca la scintilla divina che è dentro di lui e si autocondanna.

Che cosa accade a quell'anima spenta? Sarà punita? E come?

La riposta di Francesco è netta e chiara: non c'è punizione ma l'annullamento di quell'anima. Tutte le altre partecipano alla beatitudine di vivere in presenza del Padre. Le anime annullate non fanno parte di quel convito, con la morte del corpo il loro percorso è finito e questa è la motivazione della Chiesa missionaria: salvare i perduti. Ed è anche la ragione per cui Francesco è gesuita fino in fondo.

La Compagnia fondata da Loyola insegnò ed insegna ai suoi adepti che la missione ha come premessa quella di entrare in sintonia con gli altri, capirne la lunghezza d'onda senza di che il dialogo sarebbe impossibile. Perciò la Chiesa missionaria deve aggiornarsi secondo il passare del tempo e la diversità del luogo.

Quando finalmente il dialogo diventa possibile tra persone diverse, di diverse culture, diverse civiltà ed anche diverse religioni, ecco che allora la Chiesa missionaria può stimolare la vocazione al bene e limitare l'amore per sé.

Questo insegnamento di Francesco ha molto senso anche per chi non crede perché tocca un aspetto profondamente umano indipendentemente dalla fede in Dio e in Cristo suo Figlio. È un insegnamento che sottolinea la differenza tra l'uomo e l'animale da cui proviene ed a una mente in grado di pensare se stessa ed autogiudicarsi tenendo per la briglia il proprio narciso e sollevando la testa a rimirar le stelle.

* * *

Ora Francesco deve ancora affrontare problemi molto ardui, finora appena accennati.

Il primo di essi che ancora nessuno si è posto e che però è di palese evidenza riguarda i presbiteri cioè i sacerdoti che amministrano i sacramenti ed hanno il potere di assolvere o punire quelli che giudicano peccatori.

I presbiteri, cioè i preti e la gerarchia che tutti li comprende, esistono soltanto nella Chiesa cattolica e hanno divieto di sposarsi.

In nessun'altra religione esistono preti e celibato e in nessun'altra religione la dottrina è trasformata in codice. Gli ebrei hanno le loro Scritture e i loro precetti, ma i rabbini sono soltanto maestri, non hanno alcun sacramento né obblighi di celibato. Spiegano e interpretano le Scritture, quello è il loro compito non più di quello.

I musulmani hanno anch'essi le loro Scritture e la loro dottrina ma di sacerdoti non c'è traccia. Attenzione però: le varie sette musulmane hanno maestri che interpretano il Corano, ma anche tribunali che indicano il nemico da abbattere perché infedele. Potenzialmente sono teocrazie, a volte in modo diretto come in Iran e a volte indirettamente, sicché la tentazione al fondamentalismo è forte e spesso nefasta.

E così, sia pure essendo cristiani, avviene in tutte le varie confessioni protestanti dove non esistono preti, ma pastori.

I pastori somigliano in qualche modo ai rabbini, sono maestri, hanno famiglia, amministrano quei sacramenti che le varie confessioni hanno conservato, ma il contatto tra l'uomo e Dio non è obbligatoriamente mediato dai vescovi con cura di anime e comunque dai preti. È un contatto diretto. Questa fu la grande rivoluzione di Lutero: il credente legge le Scritture, la Bibbia, i Vangeli e la fede gli consente il contatto diretto con Dio.

Allora la domanda è questa: riuscirà la Chiesa di Roma a conservare l'Ordine ecclesiastico con i suoi doveri i suoi diritti quasi castali? Il problema è tanto più attuale in quanto alcune confessioni non cattoliche si stanno avvicinando alla Chiesa di Roma e possono anche decidere di unificarsi con essa. È già accaduto per alcuni anglicani può accadere per gli ortodossi. Ma i pastori se decidono di farsi cattolici portano con loro la famiglia che hanno legittimamente costituito, come del resto avviene già da secoli con la Chiesa orientale che è sempre stata cattolica ma senza l'obbligo del celibato.

E poi c'è l'altro grande tema della famiglia cui papa Francesco ha dedicato gran parte del Sinodo che avrà nei prossimi mesi la sua conclusione.

Infine c'è il tema del Concilio Vaticano II: il contatto con la cultura moderna che ha le sue radici nell'Illuminismo.

Quel movimento intellettuale che ebbe il suo maggiore sviluppo nell'Inghilterra e nella Francia del Settecento ed ebbe in Diderot, in Voltaire, in Hume, in Kant i suoi massimi rappresentanti, non credeva nella verità assoluta ma in quella relativa, la quale esclude l'esistenza di Dio oppure l'ammette come motore della creazione della vita che poi si svolge attraverso un'evoluzione autonoma e dettata da autonome leggi.

Il Dio dei "teisti" non aveva alcun attributo che somigliasse al Dio cristiano: non era misericordioso né vendicativo, né generoso, non interveniva nella storia e nel destino, non si poneva il problema del male e del bene. Era un motore, una forza cosmogonica che aveva acceso la luce della vita in alcuni luoghi dell'universo e poi si era ritirato, addormentato o in altre creazioni vitali indaffarato.

L'Europa ha avuto l'Illuminismo come base della modernità. Il tema del Vaticano II che sta molto a cuore di papa Francesco è di capire la lunghezza d'onda con cui parlare con questa Europa (e America del Nord) fortemente decristianizzata e diventata quindi terra di missione. È molto probabile che il Giubileo voluto da Francesco sia proprio l'inizio dell'azione missionaria, con tutte le sue conseguenze non solo oltremondane ma anche terribilmente attuali nella marea di terrorismo, guerre e tensioni locali, crescente violenza, famiglie sconquassate e figli disperati e insomma del più grave dei peccati che è quello della diseguaglianza, della povertà ignorata, della supremazia del potere e della guerra sull'amore e sulla pace; il tema della misericordia insomma sia quello più adatto non solo religiosamente ma anche socialmente ed economicamente a recuperare l'amore, la pace e la speranza rispetto al potere, alla guerra e alla disperazione.

Viva molti anni papa Francesco.

© Riproduzione riservata 15 marzo 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/03/15/news/quel_che_francesco_puo_dire_all_europa_dei_non_credenti-109542750/?ref=HRER2-1
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« Risposta #553 inserito:: Marzo 17, 2015, 12:12:35 am »

Il Papa: "Come Gesù userò il bastone contro i preti pedofili"
Colloquio con il Pontefice: "La pedofilia è una lebbra che c'è nella Chiesa e colpisce anche i vescovi e i cardinali". "Alcuni sacerdoti sorvolano sul fenomeno mafioso: la denuncia pubblica è rara"

Di EUGENIO SCALFARI
13 luglio 2014
   
Sono le 5 del pomeriggio di giovedì 10 luglio ed è la terza volta che incontro Papa Francesco per conversare con lui. Di che cosa? Del suo pontificato, iniziato da poco più di un anno e che in così breve tempo ha già cominciato a rivoluzionare la Chiesa; dei rapporti tra i fedeli e il Papa che viene dall'altra parte del mondo; del Concilio Vaticano II concluso 50 anni fa solo parzialmente attuato nelle sue conclusioni; del mondo moderno e la tradizione cristiana e soprattutto della figura di Gesù di Nazareth. Infine della nostra vita, dei suoi affanni e delle sue gioie, delle sue sfide e del suo destino, di ciò che ci aspetta in uno sperato aldilà o del nulla che la morte porta con sé.

Questi nostri incontri li ha voluti Papa Francesco perché, tra le tante persone di ogni condizione sociale, di ogni fede, d'ogni età che incontra nel suo quotidiano apostolato, desiderava anche scambiare idee e sentimenti con un non credente. Ed io tale sono; un non credente che ama la figura umana di Gesù, la sua predicazione, la sua leggenda, il mito che egli rappresenta agli occhi di chi gli riconosce un'umanità di eccezionale spessore, ma nessuna divinità.

Il Papa ritiene che un colloquio con un non credente siffatto sia reciprocamente stimolante e perciò vuole continuarlo; lo dico perché è lui che me l'ha detto. Il fatto che io sia anche giornalista non lo interessa affatto, potrei essere ingegnere, maestro elementare, operaio. Gli interessa parlare con chi non crede ma vorrebbe che l'amore del prossimo professato duemila anni fa dal figlio di Maria e di Giuseppe fosse il principale contenuto della nostra specie, mentre purtroppo ciò accade molto di rado, soverchiato dagli egoismi, da quelle che Francesco chiama "cupidigia di potere e desiderio di possesso". L'ha definito in una nostra precedente conversazione "il vero peccato del mondo del quale tutti siamo affetti" e rappresenta l'altra forma della nostra umanità ed è la dinamica tra questi due sentimenti a costruire nel bene e nel male la storia del mondo. È presente in tutti e del resto, nella tradizione cristiana, Lucifero era l'angelo prediletto da Dio, portatore di luce fino a quando non si ribellò al suo Signore tentato di prenderne il posto e il suo Dio lo precipitò nelle tenebre e nel fuoco dei dannati.

Di queste cose parliamo, ma anche degli interventi del Papa nelle strutture della Chiesa, delle avversità che incontra. Debbo dire che oltre all'estremo interesse di queste conversazioni, in me è nato un sentimento di affettuosa amicizia che non modifica in nulla il mio modo di pensare ma di sentire, quello sì. Non so se sia ricambiato, ma la spontaneità di questo assai strano successore di Pietro mi fa pensare di sì.

Ora lo sto aspettando da qualche minuto nella piccola stanza al pianoterra di Santa Marta dove il Papa riceve gli amici e i collaboratori. Lui arriva puntualissimo senza nessuno che l'accompagni. Sa che ho avuto nei giorni scorsi qualche problema di salute e infatti mi chiede subito notizie in proposito. Mi mette la mano sulla testa, una sorta di benedizione, e poi mi abbraccia. Chiude la porta sistema la sua sedia di fronte alla mia e cominciamo.
                           
                                                           ***
Pedofilia e mafia sono i due temi sui quali Francesco è intervenuto nei giorni scorsi e che hanno sollevato un'ondata di sentimenti e anche di polemiche fuori e dentro la Chiesa. Il Papa è sensibilissimo sia all'uno che all'altro argomento e ne aveva già parlato in varie occasioni, ma non li aveva ancora presi così di petto soprattutto sui punti riguardanti il comportamento d'una parte del clero.

"La corruzione di un fanciullo" dice "è quanto di più terribile e immondo si possa immaginare specialmente se, come risulta dai dati che ho potuto direttamente esaminare, gran parte di questi fatti abominevoli avvengono all'interno delle famiglie o comunque d'una comunità di antiche amicizie. La famiglia dovrebbe essere il sacrario dove il bambino e poi il ragazzo e l'adolescente vengono amorevolmente educati al bene, incoraggiati nella crescita stimolata a costruire la propria personalità e a incontrarsi con quella degli altri suoi coetanei. Giocare insieme, studiare insieme, conoscere il mondo e la vita insieme. Questo con i coetanei, ma con i parenti che li hanno messi al mondo o visti entrare nel mondo il rapporto è come quello di coltivare un fiore, un'aiuola di fiori, custodendola dal maltempo, disinfestandola dai parassiti, raccontandogli le favole della vita e, mentre il tempo passa, la sua realtà. Questa è o dovrebbe essere l'educazione che la scuola completa e la religione colloca sul piano più alto del pensare e del credere al sentimento divino che si affaccia alle nostre anime. Spesso si trasforma in fede, ma comunque lascia un seme che in qualche modo feconda quell'anima e la rivolge verso il bene".

Mentre parla e dice queste verità il Papa mi si avvicina ancora di più. Parla con me, ma è come riflettesse con se stesso disegnando il quadro della sua speranza che coincide con quella di tutte le persone di buona volontà. Probabilmente  -  dico io  -  quella è gran parte di quanto avviene. Lui mi guarda con occhi diversi, improvvisamente diventati duri e tristi. "No, purtroppo non è così. L'educazione come noi l'intendiamo sembra quasi aver disertato le famiglie. Ciascuno è preso dalle proprie personali incombenze, spesso per assicurare alla famiglia un tenore di vita sopportabile, talvolta per perseguire un proprio personale successo, altre volte per amicizie e amori alternativi. L'educazione come compito principale verso i figli sembra fuggito via dalle case. Questo fenomeno è una gravissima omissione ma non siamo ancora nel male assoluto. Non soltanto la mancata educazione ma la corruzione, il vizio, le pratiche turpi imposte al bambino e poi praticate e aggiornate sempre più gravemente man mano che egli cresce e diventa ragazzo e poi adolescente. Questa situazione è frequente nelle famiglie, praticata da parenti, nonni, zii, amici di famiglia. Spesso gli altri membri della famiglia ne sono consapevoli ma non intervengono, irretiti da interessi o da altre forme di corruzione".

A Lei, Santità, risulta che il fenomeno sia frequente e diffuso?
"Purtroppo lo è e si accompagna ad altri vizi come la diffusione delle droghe".

E la Chiesa? Che cosa fa in tutto questo la Chiesa?
"La Chiesa lotta perché il vizio sia debellato e l'educazione recuperata. Ma anche noi abbiamo questa lebbra in casa".

Un fenomeno molto diffuso?
"Molti miei collaboratori che lottano con me mi rassicurano con dati attendibili che valutano la pedofilia dentro la Chiesa al livello del due per cento. Questo dato dovrebbe tranquillizzarmi ma debbo dirle che non mi tranquillizza affatto. Lo reputo anzi gravissimo. Il due per cento di pedofili sono sacerdoti e perfino vescovi e cardinali. E altri, ancor più numerosi, sanno ma tacciono, puniscono ma senza dirne il motivo. Io trovo questo stato di cose insostenibile ed è mia intenzione affrontarlo con la severità che richiede.

Ricordo al Papa che nel nostro precedente colloquio lui mi disse che Gesù era l'esempio della dolcezza e della mitezza ma a volte prendeva il bastone per calarlo sulle spalle dei manigoldi che insozzavano moralmente il Tempio. "Vedo che ricorda molto bene le mie parole. Citavo dei passi dei Vangeli di Marco e di Matteo. Gesù amava tutti, perfino i peccatori che voleva redimere dispensando il perdono e la misericordia, ma quando usava il bastone lo impugnava per scacciare il demonio che si era impadronito di quell'anima".

Le anime  -  anche questo lei me l'ha detto nel nostro precedente incontro  -  possono pentirsi dopo una vita di peccati anche nell'ultimo momento della loro esistenza e la misericordia sarà con loro.
"È vero, questa è la nostra dottrina e questa è la via che "Cristo ci ha indicato".

Ma può darsi il caso che qualche pentimento dell'ultimo minuto di vita sia interessato. Magari inconsapevolmente, ma interessato a garantirsi un possibile aldilà. In quel caso la misericordia rischia di finire in una trappola.
"Noi non giudichiamo ma il Signore sa e giudica. La sua misericordia è infinita ma non cadrà mai in trappola. Se il pentimento non è autentico la misericordia non può esercitare il suo ruolo di redenzione".

Lei, Santo Padre, ha tuttavia ricordato più volte che Dio ci ha dotato di libero arbitrio. Sa bene che se scegliamo il male la nostra religione non esercita misericordia nei nostri confronti. Ma c'è un punto che mi preme di sottolineare: la nostra coscienza è libera e autonoma. Può in perfetta buonafede fare del male convinta però che da quel male nascerà un bene. Qual è, di fronte a casi del genere, che sono molto frequenti, l'atteggiamento dei cristiani?
"La coscienza è libera. Se sceglie il male perché è sicura che da esso deriverà un bene dall'alto dei cieli queste intenzioni e le loro conseguenze saranno valutate. Noi non possiamo dire di più perché non sappiamo di più. La legge del Signore è il Signore a stabilirla e non le creature. Noi sappiamo soltanto perché è Cristo ad avercelo detto che il Padre conosce le creature che ha creato e nulla per lui è misterioso. Del resto il libro di Giobbe esamina a fondo questo tema. Si ricorda che ne parlammo? Bisognerebbe esaminare a fondo i libri sapienzali della Bibbia e il Vangelo quando parla di Giuda Iscariota. Sono temi di fondo della nostra teologia". E anche della cultura moderna che voi volete comprendere a fondo e con la quale volete confrontarvi. "È vero è un punto capitale del Vaticano II e dovremo al più presto affrontarlo".

Santità, c'è ancora da parlare del tema della mafia. Lei ha tempo?
"Siamo qui per questo".

                                                           ***

"Non conosco a fondo il problema delle mafie, so purtroppo quello che fanno, i delitti che vengono commessi, gli interessi enormi che le mafie amministrano. Ma mi sfugge il modo di pensare dei mafiosi, i capi, i gregari. In Argentina ci sono come dovunque i delinquenti, i ladri, gli assassini, ma non le mafie. È questo aspetto che vorrei esaminare e lo farò leggendo i tanti libri che sono stati scritti in proposito e le tante testimonianze. Lei è di origine calabrese, forse può aiutarmi a capire".

Il poco che posso dirle è questo: la mafia  -  sia calabrese sia siciliana sia la camorra napoletana  -  non sono accolite sbandate di delinquenti ma sono organizzazioni che hanno leggi proprie, propri codici di comportamento, propri canoni. Stati nello Stato. Non le sembri paradossale se le dico che hanno una propria etica. E non le sembri abnorme se aggiungo che hanno un proprio Dio. Esiste un Dio mafioso.
"Capisco quello che sta dicendo: è un fatto che la maggior parte delle donne legate alla mafia da vincoli di parentela, le moglie, le figlie, le sorelle, frequentano assiduamente le chiese dei loro paesi dove il sindaco e altre autorità locale sono spesso mafiose. Quelle donne pensano che Dio perdoni le orribili malefatte dei loro congiunti?".

Santità, gli stessi congiunti spesso frequentano le chiese, le messe, le nozze, i funerali. Non credo si confessino ma spesso si comunicano e battezzano i nuovi nati. Questo è il fenomeno.
"Quello che lei dice è chiaro e del resto non mancano libri, inchieste, documentazioni. Debbo aggiungere che alcuni sacerdoti tendono a sorvolare sul fenomeno mafioso. Naturalmente condannano i singoli delitti, onorano le vittime, aiutano come possono le loro famiglie, ma la denuncia pubblica e costante delle mafie è rara. Il primo grande Papa che la fece proprio parlando in quelle terre fu Wojtyla. Debbo dire che il suo discorso fu applaudito da una folla immensa".

Lei pensa che in quella folla che applaudiva non ci fossero mafiosi? Per quanto ne so ce n'erano molti. Il mafioso, lo ripeto, applica un suo codice e una sua etica: i traditori vanno uccisi, i disobbedienti vanno puniti, a volte l'esempio viene dato con l'omicidio di bambini o di donne. Ma questi per il mafioso non sono peccati, sono le loro leggi. Dio non c'entra, i santi protettori tantomeno. Ha visto la processione di Oppido Mamertina?
"Erano migliaia gli intervenuti. Poi la statua della Madonna delle Grazie si è fermata davanti alla finestra del boss che è in custodia per ergastolo. Appunto, tutto questo sta cambiando e cambierà. La nostra denuncia delle mafia non sarà fatta una volta tanto ma sarà costante. Pedofilia, mafia: la Chiesa, il popolo di Dio, i sacerdoti, le Comunità, avranno tra gli altri compiti queste due principalissime questioni".

È passata un'ora e mi alzo. Il Papa mi abbraccia e mi augura di risanare al più presto. Ma io gli faccio ancora una domanda: Lei, Santità, sta lavorando assiduamente per integrare la cattolicità con gli ortodossi, con gli anglicani... Mi interrompe continuando: "Con i valdesi che trovo religiosi di prim'ordine, con i Pentecostali e naturalmente con i nostri fratelli ebrei".

Ebbene, molti di questi sacerdoti o pastori sono regolarmente sposati. Quanto crescerà col tempo quel problema nella Chiesa di Roma?
"Forse lei non sa che il celibato fu stabilito nel X secolo, cioè 900 anni dopo la morte di nostro Signore. La Chiesa cattolica orientale ha facoltà fin d'ora che i suoi presbiteri si sposino. Il problema certamente esiste ma non è di grande entità. Ci vuole tempo ma le soluzioni ci sono e le troverò.

Ormai siamo fuori dal portone di Santa Marta. Ci abbracciamo di nuovo. Confesso che mi sono commosso. Francesco mi ha accarezzato la guancia e l'auto è partita.

© Riproduzione riservata 13 luglio 2014

Da - http://www.repubblica.it/cultura/2014/07/13/news/il_papa_come_ges_user_il_bastone_contro_i_preti_pedofili-91416624/?ref=HRER3-1
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« Risposta #554 inserito:: Marzo 23, 2015, 11:18:04 am »

Come battere la corruzione e come costruire la nuova Europa

Di EUGENIO SCALFARI
22 marzo 2015
   
LA CORRUZIONE. Sì, la corruzione. Esiste dovunque in tutti i Paesi del mondo ma nel nostro più che altrove perché il nostro è un Paese strano e si fa governare da una altrettanto strana classe dirigente che, per pigra indifferenza, rinuncia a controllare.

Questa rinuncia di controllo ha come risultato una dilagante corruzione in alto e in basso della società; la si può contare a centinaia di milioni ed anche a qualche decina di migliaia, vi fanno comparsa i capi ma anche i loro luogotenenti, i loro aiutanti, i loro lacché. Le cifre lo dimostrano e resta un terribile amaro in bocca a leggerle: nell'elenco dei Paesi "virtuosi" noi siamo al numero 69 della graduatoria mondiale e all'ultimo posto in quella europea perché in quest'ultimo anno siamo stati superati perfino dalla Bulgaria e dalla Grecia. Quanto alle condanne per corruzione, secondo i dati dell'Alto Commissariato contro questo malanno nazionale (sciolto nel 2008 ma poi ripristinato da Renzi), dal 1996 al 2006 le condanne sono passate da 1159 l'anno a 186 e quelle per concussione da 555 a 53. Queste cifre spaventano e tanto per ricordarlo, nel '96 governava Prodi e nel 2006 Berlusconi. Le leggi ad personam avevano fatto il loro effetto.

L'attenzione del popolo sovrano (anche se tanto sovrano non sembra essere) si risveglia transitoriamente quando è insidiato da sacrifici necessari ma dolorosi. Questo è un fenomeno naturale che sempre accade. "Non c'è attenzione che quando si ha fame/ non c'è guardiano attento se non dorme/ non c'è tranquillità senza paura /non c'è una fede senza infedeltà". Così scriveva seicento anni fa il poeta maledetto François Villon.

Purtroppo il popolo (sovrano) presto si riaddormenta e il Cavaliere nero di quel momento gli rimonta in groppa e lo conduce a colpi di sproni e di briglia dove a lui conviene portarlo. Non tutti i popoli si svegliano così poco ma il nostro purtroppo è dormiglione.

***
Il fattaccio Lupi rende attuale queste riflessioni, ma non è di quello che voglio parlare. Cerco di capire dove si annida il serpente della corruzione, sempre cercato e mai trovato.

Il governo attualmente in carica e la ministra della Pubblica Amministrazione e della Semplificazione Marianna Madia ritengono che quel serpente abbia fatto il nido nella burocrazia d'alto bordo e probabilmente è così, anche se poi esso penetra anche nella classe politica e lì le sue vittime non mancano.

Per scovarlo e combatterlo il governo intende far ruotare i burocrati affinché non abbiano il tempo di costruirsi il nido (o il feudo che dir si voglia). Possono restare ai loro posti non più di sei anni ed anche meno se sopraggiunge prima il limite d'età.

In apparenza qualche cosa di buono c'è, ma in realtà è una proposta molto discutibile. Chi assicura la continuità e la tutela degli interessi dello Stato? La classe politica? In una democrazia parlamentare le maggioranze politiche si alternano con frequenza. La continuità si realizza di più in quella che può definirsi democratura o governo autoritario; ma in quel caso il popolo sovrano perde anche l'apparenza della sua sovranità e diventa plebe.

Il rimedio contro il serpente della corruzione- concussione è probabilmente un altro; ne parlò Weber in un suo libro intitolato Economia e società e mezzo secolo prima di lui ne avevano scritto Marco Minghetti, Silvio Spaventa e Vilfredo Pareto.

Minghetti ne scrisse più volte e soprattutto nel suo libro su "La politica e la pubblica amministrazione". La tesi è la seguente: lo Stato che tutti ci rappresenta deve soddisfare interessi generali di lungo termine, la sua struttura va spesso aggiornata, ma nel quadro di strategie che richiedono il tempo di una generazione e talvolta anche di più. L'applicazione e la salvaguardia di quegli interessi e la strategia che deve garantirli non può che essere affidata ai "grand commis" cioè ai servitori dello Stato il cui complesso è chiamato Pubblica amministrazione. La classe politica fornisce una tonalità più aggiornata e motivata da interessi attuali, con una disponibilità di tempo più ristretta. La Pubblica amministrazione deve naturalmente tenerne conto, ma sempre nel quadro generale che spetta a lei di presidiare.

Questa fu la tesi di Minghetti, fatta propria da Pareto e da Weber. Spaventa naturalmente questa posizione la condivideva ma si preoccupava di creare un tribunale fatto su misura per evitare che il serpente della corruzione ed anche quello di violare l'interesse legittimo dei cittadini inquinasse l'amministrazione. A questo fine creò quel tribunale affidandolo al Consiglio di Stato che fino a quel momento era chiamato soltanto a dare pareri sulle leggi in gestazione. La scelta giurisdizionale fu un fatto nuovo e quasi rivoluzionario ed infatti svolse un lavoro egregio per difendere gli interessi legittimi dei cittadini e per impedire che lo Stato e la Pubblica amministrazione deviassero dalla giusta via per colpa di qualche suo membro infedele.

Ma col passare del tempo purtroppo quello che si inquinò fu proprio il Consiglio di Stato. Si creò un legame incestuoso con la politica: quasi tutti i capi di gabinetto e degli uffici legislativi dei vari ministeri ed enti pubblici furono reclutati tra i consiglieri di Stato mentre da parte sua il governo spesso nominava consiglieri di Stato persone che non ne avevano i titoli necessari. L'effetto fu che gran parte delle leggi venissero scritte dai capi di gabinetto o degli uffici legislativi e fatti approvare dai colleghi per fornire al governo le leggi da attuare.

Il Consiglio di Stato si mescolò con il potere esecutivo anziché controllarlo, con la conseguenza di inquinare la burocrazia ed esserne a sua volta inquinato. La conclusione fu che tutti facevano tutto. Questo sistema, come suggerisco già da molti anni, va profondamente riformato, bisognerebbe ritornare allo schema di Silvio Spaventa e di Minghetti. Ma questo suggerimento non è stato accolto, il disegno di legge di Marianna Madia ne è un esempio eloquente.

***

C'è un altro tema, forse ancor più importante di quello che fin qui è stato messo sotto osservazione. Anch'esso è avvenuto nella settimana appena trascorsa e riguarda l'Europa (e quindi anche l'Italia).

Tre giorni fa è stata convocata una riunione dei ventotto Paesi membri dell’Unione. I temi all’ordine del giorno erano molti, ma quasi tutti di scarso rilievo. Furono affrontati, discussi e abbastanza approfonditi. A quel punto i membri che non appartenevano all’Eurozona se ne andarono e i diciannove Paesi che condividono la stessa moneta affrontarono il caso greco. Prima però il presidente del Consiglio europeo propose e tutti accettarono la nomina di un comitato ristretto che si incontrasse con il premier greco che già attendeva in un’altra sala. Il comitato ristretto fu nominato e di esso fanno parte il presidente del Consiglio europeo, la cancelliera Angela Merkel, il presidente francese François Hollande, il presidente della Bce Mario Draghi, il presidente dell’Eurogruppo e il presidente della Commissione Juncker.L'Europa con un improvviso salto nella procedura ha dunque eletto un direttorio che resterà in carica in permanenza fino a quando il caso greco non sarà interamente risolto e anche dopo, provocando però un palese malcontento in alcuni stati che pensavano di farne parte e ne sono invece esclusi. Il più irritato è il nostro Renzi, che mira ad avere un forte peso sulla politica economica europea. Quel peso non c'è, anche perché è Mario Draghi a tenere i cordoni della borsa ed è Draghi che, attraverso lo strumento monetario, è in grado di indicare le riforme da portare avanti, la politica del debito pubblico di vari Paesi e la flessibilità che l'Europa concede a certe condizioni agli stati che la richiedono.

Il caso greco si avvia verso una soluzione di compromesso ma comunque tale da salvare quel paese sia dal default sia dall'uscita dall'euro.

Il direttorio dei sette è un passo avanti di grandissima importanza, è un salto verso gli Stati Uniti d'Europa. La Merkel evidentemente ha reso esecutiva una intenzione che già era nel suo pensiero ma finora rinviata. Ora deve aver capito che quella è una via obbligata in una società globale dove solo gli stati continentali hanno un peso; gli altri sono del tutto marginali.

Qualche settimana fa suggerii al nostro presidente del Consiglio di spingere la Merkel verso questa soluzione, ma quel suggerimento non venne ascoltato: i capinazione non gradiscono che si formi un potere europeo che declassi la loro autorità nel Paese che rappresentano. Purtroppo è un grave errore ma volendo si potrebbe porvi rimedio e quella sì, sarebbe un'apertura al futuro. Dubito molto che avvenga.

© Riproduzione riservata 22 marzo 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/03/22/news/come_battere_la_corruzione_e_come_costruire_la_nuova_europa-110173099/?ref=HRER2-1
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