SCIENZA E FILOSOFIA
La radici micenee dei greci
Di Guido Barbujani
01 settembre 2017
Misteri scientifici da indagare ce ne sono tanti, ma non si può certo dire che la Grecia è misteriosa. Dai tempi di Heinrich Schliemann e Arthur Evans riconosciamo nella civiltà minoica dell’isola di Creta (fra il 2000 e il 1450 a.C.) e in quella micenea della Grecia continentale (fra il 1600 e il 1000 a.C.) i fondamenti della nostra civiltà. È da lì, da Creta, che provengono i primi testi scritti europei, e sulla Grecia storici e archeologi hanno lavorato tanto, e spesso benissimo. Omero; Atene, Sparta e Tebe; Platone e Aristotele; Maratona, le Termopili, Salamina e Mantinea; Eschilo, Sofocle, Euripide, Tucidide, Erodoto e Senofonte: cos’altro ci sarebbe, da sapere? Be’, parecchio, in realtà. Per esempio: chi erano i greci antichi? Da dove venivano? E siamo sicuri che siano loro gli antenati dei greci di adesso? Hanno cercato risposte nel DNA, con seguito di polemiche su cui torneremo, Johannes Krause del Marx Planck di Jena e un genetista di Seattle, George Stamatoyannopoulos, il cui cognome basta a spiegare perché si sia tanto appassionato alla faccenda (
http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature23310.html).
Nel 2015 un gruppo di Harvard aveva dimostrato che Luca Cavalli-Sforza, tanto per cambiare, aveva visto giusto: il DNA dei greci neolitici assomiglia a quello dei primi agricoltori anatolici, gli iniziatori della rivoluzione neolitica. Dunque, l’agricoltura è arrivata in Europa da sudest (questo ce lo dicono i reperti archeologici), e in Grecia ci è arrivata per migrazione (e questo ce lo dice il DNA). Poi, con le civiltà minoica e micenea, si passa dall’età della pietra a quella del bronzo, e dunque ci sono due possibilità: o le novità tecnologiche le ha portate un’altra migrazione (e allora minoici e micenei non assomiglieranno ai greci neolitici), oppure si sono sviluppate localmente (e allora troveremo molto DNA in comune fra minoici, micenei e neolitici). Naturalmente questi sono due estremi, fra cui si possono immaginare tante sfumature. Ma formulare le ipotesi in questa forma aiuta a capirsi.
Krause e i suoi hanno confrontato i DNA di greci neolitici, cretesi minoici e postminoici, e micenei. Hanno trovato che non sono identici, ma si assomigliano molto: hanno in comune tre quarti delle varianti del loro DNA (cioè tre quarti di quell’uno per mille del DNA in cui ci sono differenze fra noi umani). Questo fa pensare che il passaggio dall’età della pietra a quella del bronzo non sia stato accompagnato, in Grecia, da profondi cambiamenti demografici, e quindi da grandi movimenti migratori. È interessante il confronto fra minoici e micenei, questi ultimi subentrati a Creta con il declino della civiltà minoica. Quel quarto di varianti del DNA che i due gruppi non condividono assomiglia, a Creta, a quello di popolazioni asiatiche, del Caucaso e dell’Iran; viceversa, a Micene si trova una componente tipica del nordest europeo. Dunque, sembra che minoici e micenei abbiano avuto gli stessi antenati nel neolitico, ma poi abbiano ricevuto migranti di origini diverse, diventando così a loro volta un po’ diversi.
Altro dato interessante: i greci attuali sono più vicini ai micenei, di cui quindi sembrano discendenti più o meno diretti. Non è un risultato banale: nell’Ottocento uno storico austriaco (e un po’ nostro compatriota, di Bressanone), Jakob Phillip Fallmerayer, sosteneva che i discendenti degli antichi greci non ci sono più, si sono estinti nel medioevo: Krause, quindi, ha provato che si sbagliava. Insomma, lo studio del DNA dimostra come da millenni in Grecia si conservi la traccia di una continuità genealogica, ma anche come poi sia arrivata tanta gente diversa, e non la stessa in tutti i posti.
C’è motivo di credere che lo stesso valga per tante altre popolazioni. Anche chi ha vissuto per generazioni in condizioni di relativo isolamento, per esempio perché stava su un’isola, non è rimasto immune da fenomeni di immigrazione, magari minuscoli, ma frequenti. In questo modo, di regola le popolazioni umane sono diventate un mosaico genetico: con un po’ di fortuna, possiamo ancora riconoscere le tessere portate da tanti antenati differenti.
Dicevamo che il lavoro di Krause e collaboratori ha suscitato polemiche. Solo in Italia, a dire il vero; ma parliamone. «I risultati confermano quel che si sapeva già», dichiara ai giornali un filologo classico, Lorenzo Perilli. E come faceva? Cosa ne sapeva delle somiglianze e delle differenze fra minoici e micenei, prima di leggere lo studio di Krause? Mistero. Ma i suoi pregiudizi sono condivisi da altri colleghi. «Nel Mediterraneo, in epoca paleolitica, ci sono stati spostamenti enormi di popolazioni. È successo di tutto, e penso che le informazioni che ci arrivano dalla genetica siano irrilevanti» sentenzia bellicosamente un etruscologo famoso, Mario Torelli. Boh. Proprio perché può essere successo di tutto, proprio perché la gente migra, ma le fonti storiche non ci dicono (e non possono dirci) in quanti si sono spostati e se hanno lasciato qualche discendente, sembrerebbe utile servirsi anche (anche!) dei metodi e dei dati della genetica. No?
Senza dubbio, anche dopo questa bella analisi genetica, restano tante domande inevase sull’origine della civiltà minoica. Non c’è da preoccuparsi: nessuno in possesso delle proprie facoltà mentali proporrebbe mai di rimpiazzare lo studio della storia con quello del DNA. Tantissime questioni fondamentali, dalle origini della lingua e della scrittura di questi popoli, alle cause del loro successo e del loro declino, possono essere affrontate solo con i metodi dell’archeologia e della ricerca storica. C’è, insomma, lavoro per tutti. Detto questo, se gli anestesisti avessero avuto la stessa apertura mentale di questi accademici nostrani, saremmo ancora al sorso di whisky e al laccio di cuoio da stringere fra i denti, come nei film di cowboy. Gli studiosi del mondo antico avranno maggiori soddisfazioni quando, anche in Italia, capiranno che il progresso tecnologico non è un babau da esorcizzare.
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