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Autore Discussione: Renato Mannheimer Veltroni al 33%: piace la scelta solitaria  (Letto 4745 volte)
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« inserito:: Ottobre 29, 2007, 06:40:56 pm »

sondaggi

Delusi dal governo, spinta alle elezioni

Il 40 % degli italiani vuole il voto anticipato, il 16% chiede un nuovo esecutivo

DI RENATO MANNHEIMER


Gli italiani vivono le alterne vicissitudini del governo con un mix di incredulità, sfiducia e, al tempo stesso, partecipazione e interesse. Il sentimento prevalente è naturalmente quello di una crescente perplessità verso il succedersi di dispute non sempre comprensibili. Si coglie nella pubblica opinione l'impressione diffusa che si tratti di «beghe di palazzo», estranee alla vita dei cittadini «normali».

Ciò porta a una delusione per l'incapacità attribuita alla classe politica di rispondere efficacemente ai bisogni espressi dagli elettori: è un atteggiamento rilevato già nella fase finale del governo Berlusconi e presente in misura simile oggi. Acuito però ora dal fatto che, sul piano personale, si rilevano, dopo molti mesi di pessimismo prevalente, dei segnali positivi: l'ottimismo verso il proprio futuro si è in qualche misura accresciuto, specie per ciò che riguarda le prospettive di crescita e di benessere. Sulla spinta della contraddizione tra la condizione — o anche solo la speranza — personale e l'immagine della cosa pubblica, si è venuto accentuando negli ultimi mesi l'interesse verso la politica e le sue vicende. Manifestatosi sia nelle dichiarazioni nei sondaggi (il 41 per cento afferma di seguire «molto» o «abbastanza» gli avvenimenti politici), sia nella partecipazione a questa o a quella manifestazione.

C'è, insomma, sempre più presente, il desiderio di risolvere la crisi politica attuale, in certi casi anche con il proprio impegno e contributo. Questo insieme di sentimenti porta larga parte della popolazione a desiderare nuove elezioni. Il 40 per cento sostiene al riguardo che «Prodi dovrebbe dimettersi e si dovrebbe andare al voto». Aggiungendo a costoro quel 16 per cento che afferma che occorre «cambiare il governo, sia pure senza nuove elezioni », si ottiene, anche da questi dati, la misura del dissenso verso l'esecutivo. C'è però una percentuale di poco superiore al 30% che desidera che «il governo Prodi continui»: si tratta di una quota che corrisponde per numerosità a chi dà oggi un giudizio positivo sull'operato dell'esecutivo. Ovviamente chiede che si vada da subito alle urne la grande maggioranza degli elettori del centrodestra: il 75 per cento di costoro (e, in particolare, l'82 per cento dei votanti per Forza Italia) è di questa opinione. Ma lo è anche più di un terzo di chi oggi si dichiara indeciso su cosa votare.

Ciò che è più significativo, però, è che all'interno del centrosinistra solo due elettori su tre chiedono di mantenere il governo Prodi. E che auspica il ritorno alle urne il 12 per cento dei votanti di centrosini-stra, con un'accentuazione tra la ex Rosa nel Pugno e l'Italia dei Valori di Di Pietro. L'aspetto paradossale e contraddittorio della situazione sta nel fatto che, proprio mentre la vita del governo sembra divenire sempre più travagliata e, come si è visto, si amplia la quota di chi chiede nuove elezioni, i consensi per l'esecutivo, pur restando minoritari, si accrescono lievemente ma in modo regolare. E, specialmente, si allarga progressivamente, anche sull'onda della formazione del partito democratico (che è oggi, virtualmente, la più grande forza politica del Paese), la platea dei votanti potenziali per la coalizione di maggioranza. Forse, anche questo trend di opinione pubblica positivo per il centrosinistra, in corso già da qualche settimana, costituisce uno dei motivi che spingono il presidente del Consiglio a «tenere duro» il più lungo possibile.


29 ottobre 2007

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 30, 2008, 11:02:16 pm »

Il sondaggio

Se il Pd corre da solo «insidia» la Cdl

La scelta autonoma vale il 5-7% di voti in più e può mutare gli equilibri alle urne

 
Il Partito democratico sembra costituire, almeno in nuce, uno dei più rilevanti elementi di novità delle prossime (eventuali) elezioni. Paragonabile, forse, in termini di possibile rimescolamento del mercato elettorale attuale, al ruolo che esercitò Berlusconi nel 1994. Per comprenderne le potenzialità, è utile ricapitolare brevemente la situazione del momento.

Il quadro attuale
Il Pd — e il centrosinistra nel suo complesso — si muovono in una condizione di accentuata difficoltà. Per almeno due motivi: a) la disistima verso il Governo Prodi, la cui immagine negativa ricade inevitabilmente sull'insieme dei partiti di maggioranza. L'opinione che l'esecutivo abbia disatteso le aspettative che aveva, a torto o ragione, creato è assai diffusa e si è accresciuta col tempo. Oggi, al termine dell'esperienza del Professore, più di un italiano su tre (era meno di uno su cinque solo otto mesi fa) ritiene che Prodi abbia operato molto male. E un altro terzo di elettorato è comunque del parere che il Governo abbia agito in modo «deludente». Nel complesso, più del 70% esprime un atteggiamento di insoddisfazione nei confronti dell'esecutivo. È un'opinione ovviamente più presente tra l'elettorato del centrodestra, ma assai frequente anche tra i votanti per il centrosinistra e per lo stesso Pd (ove lo scontento raggiunge comunque quasi il 30%). b) la conseguente perdita relativa di consensi per le forze di centrosinistra, rispetto alle precedenti elezioni. Nel 2006 esse ottennero nel complesso il 49,8%. Oggi sembrerebbero attestarsi attorno al 44%. In particolare, sembra soffrire proprio il Pd, stimato al massimo al 29% (ma alcuni sondaggi lo valutano al 24%), a fronte del 31,3% ottenuto in occasione delle elezioni come Ulivo (Ds e Margherita). Viceversa, come si sa, il centrodestra risulta in vantaggio in tutti i sondaggi: secondo alcuni istituti, esso si colloca complessivamente attorno al 52%, secondo altri raggiunge il 55-56%. In particolare, Forza Italia appare la formazione più "in forma": il partito di Berlusconi è stimato attorno al 28-29%, a fronte del 23,7% ottenuto nel 2006.

La mobilità potenziale
Come in ogni elezione, tuttavia, questo scenario è passibile di mutamenti, anche significativi: l'indecisione sul da farsi è ancora oggi relativamente diffusa tra gli elettori. Così come è, di conseguenza, assai presente la mobilità potenziale: quasi metà dell'elettorato dichiara l'intenzione di mutare il proprio voto rispetto al 2006. Beninteso, tra costoro, la maggior parte afferma di volere optare per un partito diverso da allora, ma appartenente alla stessa area politica, pur essendo ancora indecisa sulla scelta. Un'altra porzione, anch'essa piuttosto consistente (più del 10%) si confessa perplessa se astenersi o meno. In più, una percentuale analoga — quasi il 10% — esprime oggi l'intenzione di mutare schieramento: si tratta prevalentemente di giovani, residenti in piccole- medie città, specie al sud, perlopiù provenienti dal centrosinistra e orientati al centrodestra.

Il possibile ruolo innovativo
Nel complesso, si respira nell'elettorato un'aria di forte insoddisfazione sulla situazione attuale e sulle scelte politiche operate sino a questo momento: di qui il diffuso desiderio di novità, sia sul piano delle proposte, sia su quello delle formazioni politiche in campo, sia, specialmente, su quello dei leader. Da questo punto di vista, secondo molti osservatori, il Pd e Veltroni potrebbero assumere un ruolo innovatore e attrarre di conseguenza una quota consistente di consensi, provenienti dagli indecisi e anche da aree lontane al posizionamento attuale del Partito. Diversi dati suggeriscono la plausibilità di queste ipotesi. Da un verso, il leader del Pd, Veltroni è, da sempre, tra i personaggi più popolari. Secondo le ultime rilevazioni, egli si trova, alla pari con Fini, ai vertici della classifica della simpatia da parte dell'elettorato. Ciò renderebbe possibile il manifestarsi di un vero e proprio «effetto Veltroni», volto ad attirare consensi. Ma l'elemento di maggiore potenzialità per il Pd sembrerebbe stare nel fatto che esso abbia deciso di "correre" da solo, senza allearsi strutturalmente alle altre forze di centrosinistra, come accadde nel 2006. Ciò sembrerebbe permettere al partito di staccarsi dal vincolo programmatico esercitato dalla forze più radicali e di attrarre, di conseguenza, più consensi dal centro e dagli astenuti/ indecisi. Occorre dire che la decisione di presentarsi autonomamente appare assai condivisa: quasi l'80% dell'elettorato attuale del Partito (e più del 70% di quello del complesso del centrosinistra) dichiara di approvarla. Anche se, per la verità, la gran parte vorrebbe che il Pd «corresse» alleandosi anche con altre forze, a patto che queste aderiscano inequivocabilmente al programma del Partito stesso.

 Le potenzialità del Pd
Secondo le stime più accreditate, la decisione del Pd di «correre» da solo e una campagna di comunicazione che sottolineasse il carattere innovativo e le potenzialità di questo intendimento, potrebbero garantire al partito di Veltroni vantaggi assai consistenti. Confrontando le intenzioni di voto espresse nelle due ipotesi — vale a dire, il Pd coalizzato con gli altri partiti del centrosinistra e il Pd «da solo» — si rileva oggi nei sondaggi un incremento di consensi dell'ordine del 5-7% nel caso di una scesa in campo autonoma. La differenza è costituita perlopiù da elettori che, di fronte alla scelta tra i due schieramenti tradizionali (vale a dire, il complesso del centrosinistra e il complesso del centrodestra), si dichiarano indecisi. Ma anche da votanti attuali per il centrosinistra, per il centro tout-court o tentati dall'astensione. Va da sé che la conquista di questa quota di cittadini comporterebbe un vero e proprio rivolgimento della situazione attuale, con un mutamento significativo degli equilibri tra le coalizioni. Vale la pena, però, di ribadire nuovamente come la campagna elettorale possa mutare, anche radicalmente, il quadro delineato sin qui. Molti elettori, infatti, decidono il loro voto — o cambiano opinione — all'ultimo momento, sulla base degli stimoli ricevuti. Al riguardo, tutti ricordano come alcune improvvide dichiarazioni di Prodi alla vigilia del voto del 2006 contribuirono a vanificare buona parte del vantaggio che il centrosinistra aveva accumulato negli anni precedenti.

Renato Mannheimer
30 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Febbraio 10, 2008, 08:02:35 pm »

L'osservatorio

Grande coalizione Sì da un elettore su tre

Un’alleanza Pd-Forza Italia convince il 45% degli elettori della ex Cdl

Via libera dal 35% di quelli di centrosinistra


Il successo del centrodestra alle prossime elezioni viene dato oggi per scontato. Lo prevede anche la maggior parte degli elettori: tre italiani su quattro sono del parere che dalle urne emergerà una netta prevalenza per il centrodestra. Com’è ovvio, questa opinione è ancora più frequente nell’elettorato della ex-Cdl: tra costoro, è quasi il 100% a ritenere scontata la vittoria. Ma è significativo che anche la maggioranza, 80%, degli elettori che si collocano al centro tout-court sia dello stesso parere. Ed è ancor più indicativo il fatto che ben il 60% dei votanti per il centrosinistra preveda comunque la sconfitta di quest’ultimo.

In realtà, benché probabile, l’esito delle prossime consultazioni è tutt’altro che scontato, specie perché gli indecisi sono ancora tanti.
Molto dipende da ciò che le diverse forze faranno e diranno in campagna elettorale e dalle diverse aggregazioni, in termini di coalizioni o di altro tipo di alleanze, con cui si schiereranno in campo.

Ma, al di là del risultato, ci si interroga già sul dopo. Al riguardo, alcuni hanno sostenuto che, finito il periodo elettorale, le principali forze politiche dovranno in una certa misura abbandonare le ostilità e, nell’interesse prioritario del Paese, mettere in cantiere alcune, importanti, grandi riforme, tra cui quella elettorale. In un modo o nell’altro, insomma, si dovrebbe dare vita ad una sorta di "grande coalizione", sul modello di quella tedesca.

Ma cosa pensano i cittadini di questa prospettiva politica? L’area di approvazione della "grande coalizione" e, in particolare, dell’alleanza tra Veltroni e Berlusconi in vista della rimozione di almeno alcuni degli ostacoli ad un miglior svolgimento della vita democratica del Paese, è molto significativa. È d’accordo con l’idea di "grande coalizione" più di un terzo (37%) dell’elettorato.

Un elemento rilevante sta nella collocazione politica di costoro. Che è trasversale, nel senso che i sostenitori della "grande coalizione" si trovano in entrambi i poli. Ma l’approvazione è più accentuata tra i votanti del centrodestra, in particolare tra quelli del Pdl.

Nel complesso, il 45%, vale a dire quasi la metà, degli elettori della ex-Cdl, si dichiara favorevole ad un’alleanza futura col Pd (a fronte, comunque, del 35% tra i votanti per il centrosinistra).

Insomma, l’ipotesi di "grande coalizione" appare minoritaria ma molto estesa. Anche perché è possibile che i risultati elettorali la rendano inevitabile.

Renato Mannheimer
10 febbraio 2008

da corriere.it
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Utente non iscritto
« Risposta #3 inserito:: Febbraio 13, 2008, 07:11:00 pm »

Alla Lega il 5% delle intenzioni di voto.

Sinistra-L'Arcobaleno all'8,5%, Di Pietro al 4,5

Pd-Pdl: il 12% è indeciso tra i due

Il nuovo partito di centrodestra al 40%, Udc al 6.

Veltroni al 33%: piace la scelta solitaria


Anche indipendentemente dal loro (probabile) risultato, queste elezioni sembrerebbero rivestire un carattere storico e costituire un significativo momento di svolta nell'evoluzione del sistema politico del nostro Paese. La prospettiva elettorale ha infatti stimolato molte radicali trasformazioni nell'assetto dei partiti e nel-l'offerta politica in generale. Parrebbe essere in corso un passaggio dal pluripartitismo estremo che ha connotato gli ultimi anni a una struttura più semplice, in cui agisce un numero minore di partiti, ma ove il ruolo principale è ricoperto da due sole grandi forze che tendono a catalizzare gran parte dei consensi. Un passo importante in questa direzione è stato compiuto a suo tempo con la costituzione del Partito democratico. Ma ancora più rilevante è stata la decisione del suo leader, Veltroni, di «correre da solo».

Una presa di posizione coraggiosa, forse perdente nel breve periodo, ma portatrice di una riformulazione delle alleanze e, specialmente, della costituzione di un nuovo polo di aggregazione nel centrosinistra. La reazione di Berlusconi e del centrodestra è stata altrettanto significativa. È vero che, come ritengono due terzi dell'elettorato di centrosinistra (ma solo un terzo di quello di centrodestra), il Popolo delle libertà può rivelarsi tra qualche mese un mero espediente elettorale, finalizzato esclusivamente a godere dei vantaggi offerti dalla legge in vigore (premio di maggioranza alla coalizione che ottiene più voti). Ma è vero anche che potrebbe accadere il contrario e verificarsi nel centrodestra quanto sembrerebbe essere in corso da tempo nel centrosinistra: vale a dire la formazione di una vera e propria nuova forza politica. Sarebbe una sorta di anticipazione degli effetti del referendum. Non a caso, l'elettorato premia questi nuovi grandi partiti o, quantomeno, non li punisce com'è successo spesso in passato nei casi di aggregazione tra forze politiche diverse.

Com'era stato rilevato qualche giorno fa, il Pd ottiene più voti correndo da solo che restando in una coalizione di centrosinistra rivelatasi troppo ampia. I nuovi consensi provengono in egual misura da elettori della sinistra estrema che si spostano e da altri che si sentono di centro ed erano orientati all'astensione o a scelte diverse. Viceversa, per ora, il Pdl non parrebbe fortemente avvantaggiato rispetto al risultato teoricamente ottenuto dai partiti che hanno contribuito a formarlo: esso però sembrerebbe consolidare la sopravvalutazione dei consensi per An di solito rilevabile nei sondaggi: il temuto «effetto simbolo» che, secondo alcuni, avrebbe dovuto trattenere gli elettori di Fini, parrebbe non manifestarsi.

Insomma, molti cittadini si trovano, talvolta senza saperlo, a concordare con l'opinione di Berlusconi, secondo la quale un voto esterno alle due maggiori forze politiche, Pd e Pdl, è «inutile»: tanto che, nel complesso, questi due partiti vengono oggi indicati per il voto da più del 70% dell'elettorato. Questa impressione si rafforza ulteriormente osservando i dati sull'ampiezza del voto potenziale, costituito da chi dichiara la disponibilità a prendere in considerazione un partito, pur senza avere ancora deciso definitivamente se votarlo o meno. Sia per il Pd, sia per il Pdl i valori registrati sono molto elevati, tali da coprire quasi l'intero mercato elettorale: nell'insieme i due partiti coinvolgono potenzialmente circa il 90%.

In più, l'esistenza di una relativamente ampia (12%) area di sovrapposizione tra i due elettorati potenziali mostra che una quota di persone si dichiara disponibile, per ora, a prendere in considerazione entrambi i partiti. È un altro segnale della già nota elevata fluidità che caratterizza in questi giorni lo scenario politico ed elettorale del nostro Paese, accentuata dalla rapidità e dalla intensità delle trasformazioni in atto. E costituisce un ulteriore indicatore della possibilità che all'ultimo minuto, a effetto della campagna elettorale, l'esito previsto sin qui venga ridimensionato o, al contrario, rafforzato. Tutto dipende da ciò che i leader faranno e, specialmente, diranno nelle prossime settimane.

Renato Mannheimer
13 febbraio 2008

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