Così BEPPE GRILLO lascerà il Movimento 5 Stelle ...

<< < (2/3) > >>

Arlecchino:
Cinquestelle tentati dalla “Cosa rossa” di Grasso: “Pronti a un’intesa dopo il voto”
I grillini cercano sponde in caso di incarico di governo. Ma non chiudono alla Lega
Di Maio ieri ha lanciato la nuova campagna «Rally per l’Italia» con tanto di grafica
Pubblicato il 05/12/2017

ILARIO LOMBARDO
ROMA

«Guardiamo con attenzione a Pietro Grasso. Se i sondaggi si dimostreranno più generosi con lui, si potrebbe aprire un bel ragionamento». È domenica sera. Gli smartphone di molti 5 Stelle si illuminano di messaggi WhatsApp. Luigi Di Maio è in contatto continuo con diversi parlamentari e altri fedelissimi. Grasso potrebbe essere l’uomo che il candidato premier del M5S stava aspettando. 

La premessa alle reazioni grilline all’incoronazione dell’ex pm antimafia leader della sinistra anti-Pd è una questione di numeri. Il M5S cerca un partner che abbia in dote un numero a due cifre alle elezioni. «Se Grasso lo raggiunge è possibile un’intesa». Nel vocabolario dei 5 Stelle il termine alleanze non deve esistere. Preferiscono parlare di «convergenze programmatiche». Ma per arrivarci bisogna realizzare un capolavoro non politico ma di aritmetica. I 5 Stelle sono diventati grandi appassionati di sondaggi. A oggi le proiezioni dicono 170 deputati. Loro credono di poter arrivare a 200. Calcolano che se andasse molto bene potrebbero arrivare al 35%. A quel punto la strada verso il Quirinale, per ottenere l’incarico, potrebbe essere spianata. Potrebbe. Serve appunto un altro consistente numero di seggi per la maggioranza. C’è un presupposto, però, che deve realizzarsi. E se lo stanno ripetendo ogni giorno: «Il Pd e Forza Italia insieme non devono raggiungere il 50%». 
 
Ma - si chiederanno in tanti - nel M5S non stavano guardando a un’alleanza anti-establishment con Matteo Salvini? È così. Serve entrare nei meccanismi del pensiero politico grillino per capire le loro ambizioni. Il Movimento si sta strutturando come partito omnibus e il ventaglio di proposte sviluppate va da quelle che si sposano con i canoni della destra ad altre più di sinistra. In tal senso il viaggio in Usa di Di Maio è stato uno spartiacque. Fonti americane confermano che molto di quanto sostenuto dal grillino a Washington non è piaciuto, soprattutto sulla politica estera. Una frase, però, li ha soddisfatti. Quando Di Maio ha detto che si prenderà «la responsabilità di non lasciare il Paese nel caos». Una garanzia di stabilità che Di Maio vuole ribadire agli Usa.
 
C’è un metodo infatti nell’evoluzione delle sue dichiarazioni. La proposta fiscale ispirata a Donald Trump serve a persuadere il mondo produttivo del Nord, a corteggiare la piccola e media impresa. È uno sguardo a destra, per soffiare voti a Lega e Forza Italia. Poi però Di Maio ha parlato di sostegno alle famiglie, sul modello di welfare di Emmanuel Macron che non dispiace ai centristi. Infine, e qui vanno cercate le tracce di uno spostamento verso sinistra, ha ripreso a insistere su articolo 18, smantellamento di Jobs Act e Buona Scuola. Sono punti su cui la convergenza con Grasso sarebbe facile. Anche il tempismo del convegno di ieri sulle Ong non è un caso. La strategia che stanno delineando segue uno schema e si ispira a quanto avvenne 5 anni fa, a parti invertite. «Quando Bersani ci convocò per sondare le nostre intenzioni. Disse che non voleva fare alleanze ma c’era la possibilità di convergere su alcune proposte. La differenza è che ora siamo noi al centro». La parola è calzante: il M5S sta al centro, pronto a spostarsi a destra se la Lega si slegherà da Berlusconi. O ancora più facilmente a sinistra se Grasso avrà un exploit e, dicono, «svuoterà il Pd di Renzi». Si dirà: puro cinismo. Ma loro preferiscono definirla «malleabilità», o «realismo post-ideologico». Certo, la nuova fisiognomica del M5S molto deve alla spruzzata di moderatismo che ha dato Di Maio. E che permette al M5S di avere più libertà di movimento. Reddito di cittadinanza, lavoro, abolizione dei privilegi ai parlamentari, temi della giustizia: sono i nodi che potrebbero sciogliere attorno al tavolo con Grasso. «Ma senza scambi di poltrone e a condizione che il governo sia a guida Di Maio». In cambio, il M5S garantirà un esecutivo «con gente di alto profilo», si parla di «dirigenti pubblici» come ministri a cui «nessuno direbbe di no». 
 
Ai parlamentari è piaciuta la fotografia del teatro che acclamava Grasso, con il palco lasciato libero dai leader storici. Anche perché Beppe Grillo su questo ha frenato un po’ gli entusiasmi: «Va bene tutto ma non voglio che parliamo con mostri da prima Repubblica come D’Alema». Sono diversi i senatori che vedono bene un matrimonio d’interesse con Grasso. Vito Crimi, ma anche Paola Taverna, non proprio una signora che diresti rossa di cuore, o Maurizio Buccarella. Con Grasso, un magistrato stimato per la lotta alla mafia, ci sono stati scontri in aula, a volte feroci e irridenti, come all’approvazione del Rosatellum. Ma in questi anni più volte i grillini si sono confrontati con lui, gli hanno esposto le loro frustrazioni per la «violazione del Parlamento» e «l’abuso dei decreti leggi», e dietro la terzietà istituzionale, mantenuta fino all’ultimo, hanno intravisto che il presidente del Senato su molte cose la pensava come loro: riforme costituzionali, leggi elettorali, anticorruzione. I 5 Stelle farebbero leva su questo pacchetto per superare eventuali ostacoli a un’intesa. E se sull’immigrazione gli orizzonti sembrano distanti, c’è sempre il metodo Di Maio: rendersi malleabili, pronti ad aggiustare la rotta per non dire di aver cambiato idea. 
 
Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/12/05/italia/politica/cinquestelle-tentati-dalla-cosa-rossa-di-grasso-pronti-a-unintesa-dopo-il-voto-wENXLQPRN1a2r9HyhHOl0H/pagina.html

Arlecchino:
Di Maio: “C’è una guerra sociale in corso, solo l’Europa può salvarci”

Il candidato premier M5S: «Mettiamo il Parlamento al centro dell’Ue. Il referendum sull’euro? Una pistola che resta sul tavolo»

Pubblicato il 07/12/2017 - Ultima modifica il 07/12/2017 alle ore 18:21

ILARIO LOMBARDO, MARCO ZATTERIN
ROMA

Si dice che l’Europa sia il motivo per cui non scoppiano guerre, ma io una guerra in corso la vedo, è una guerra sociale alimentata da disparità e povertà». Il tono della voce di Luigi Di Maio si fa serio e preoccupato, almeno sino a che cala la soluzione che non ti aspetti. «Non dico che l’Ue ne sia la causa principale - spiega il leader M5S -, ma sono certo che possa essere lo strumento per risolverla». Niente paura, è il messaggio: la situazione è seria, ma l’Europa ci può salvare. 
 
Montecitorio, secondo piano. Di Maio siede al tavolo di lavoro del suo studio di vicepresidente della Camera. Ambiente sobrio, il giusto disordine. Una scatola di mentine quasi vuota. Quadri d’epoca, un Financial Times incorniciato. L’aspirante premier parla di Europa. Quella che nel 2014 i grillini «volevano aprire come una scatola di tonno» e che oggi gli pare una via di uscita, per quanto da ridisegnare e non poco.

Onorevole, ma la «sua» Europa è un veicolo o un fine? 
«Certamente un veicolo. Serve per portare i popoli europei verso una qualità di vita e di benessere maggiore».
 
In che modo? 
«La priorità è la creazione di un Welfare fondato su una maggiore solidarietà e una lotta alle diseguaglianze. Non significa criminalizzare chi si arricchisce, ma consentire a milioni di poveri di reinserirsi nella società».
 
Una soluzione «europea»? 
«Sì, perché negli ultimi anni molte cose sono cambiate. Guardiamo la Germania che non riesce a formare un governo, la Francia di Macron che ha disintegrato i vecchi partiti. Il panorama mutato suggerisce una grande opportunità per l’Italia. E non solo perché siamo abituati a non avere governi super-stabili e siamo più bravi a gestire le crisi».
 
Come spiega questa debolezza generalizzata? 
«Sono state rimandate alcune grandi questioni europee. Così si è arrivati alla Brexit. La parola d’ordine di un governo M5S deve essere “dialogo con gli altri Paesi in una condizione favorevole per l’Italia” che, di nuovo, può rivendicare la posizione di seconda potenza manifatturiera, Paese fondatore e alla pari con gli altri. Mi spiego? Chi ci incitava ad assicurare la stabilità oggi è più instabile di noi».
 
M5S è dunque un partito per l’Europa? 
«Noi vogliamo restare e senza ultimatum. Ma occorre intervenire su alcune questioni, a partire dal governo dell’Ue».
 
Come si cambia? 
«Una proposta centrale è l’eliminazione dello sbilanciamento istituzionale. Oggi il Consiglio Ue è gestito dai governi che decidono all’unanimità sulle materie di maggior interesse per i cittadini, come il fisco. La nostra proposta trasferisce i maggiori poteri al parlamento europeo, che rappresenta i cittadini e va più legittimato di governi che sono sempre più di minoranza. Parlamento e Commissione devono avere potere di iniziativa legislativa. Bisogna rendere più efficace l’azione».
 
E interventi pratici a vantaggio dell’Italia? 
«Comincerei dai parametri per le banche e l’accesso al credito, che vanno scritti pensando che il nostro è un sistema al 95% di piccole imprese. Non possiamo accettare che si agisca come dicono i tedeschi e i francesi che hanno un sistema imprenditoriale differente. E questo vale anche per agroalimentare e pesca: basta con accordi che ci penalizzano e creano concorrenza sleale. Il mercato unico è una grande occasione se protetto e controllato negli accessi».
 
Tedeschi e francesi si fanno ascoltare più di noi. 
«Il Bundenstag ha quasi 80 rappresentati a Bruxelles. La Camera italiana ne ha uno. Vorrei uno Stato che con tutte le sue istituzioni faccia il lobbista dei cittadini italiani». 
 
Come pensate di cavarvela con l’asse franco-tedesco? 
«La riforma del governo dell’Ue con i maggiori poteri al parlamento farà sì che l’asse sarà fra le forze politiche e non fra i paesi. È la grande occasione per far valere la forza dell’Italia».
 
Fate spesso riferimento al «nuovo» Macron. Potreste creare un qualcosa in Europa assieme a lui dopo l’alleanza con Farage? 
«Ci siamo confrontati sull’immigrazione, gli abbiamo detto che non si può essere europeisti con le frontiere degli altri. Ci sono invece punti di contatto sulla riforma francese del Welfare. Noi vogliamo portare in Italia le buone pratiche degli altri, qualunque sia il governo che le origina».
 
Da Tsipras a Farage a Trump e ora anche a Macron, siete una forza «on demand»? 
«Mi piace. Questo è proprio il punto. Le soluzioni efficaci non hanno nazionalità o colore politico. Non si parla più di destra o sinistra, di capitalismo o socialismo».
 
Però l’idea di una intesa a sinistra dopo il voto di primavera piace ai parlamentari M5S più dell’asse con la Lega. 
«Per ora non parliamo con nessuno. A noi interessa precisare il metodo. Ma se riceveremo l’incarico, i parlamentari di tutti i partiti saranno messi davanti a una scelta: darci la fiducia, o andarsene a casa e si rivota».
 
Potreste allearvi con Macron dopo le europee del 2019? 
«Dovremmo trovarci un gruppo. Ma non ci sono contatti con Macron né guardiamo a populisti, estremisti xenofobi o movimenti che ricordano la vecchia sinistra europea».
 
Ammetterà che la vostra posizione sull’Europa si è evoluta. 
«Non è cambiata la nostra linea, ma le condizioni in seno all’Ue. Non ci sono più governi monolitici che ci schiacciavano, i grandi sono ridimensionati. L’Italia può farsi valere».
 
Minacciando il referendum sull’euro, per quanto consultivo? 
«La consideriamo una extrema ratio. Mentre vedo ampi margini di contrattazione su deficit per favorire la crescita». 
 
M5S ha detto che vorrebbe politiche espansive alla Trump. Coi nostri numeri, è difficile senza violare le regole Ue. 
«Non voglio violarle. Voglio ricontrattarle, come di fatto hanno fatto Francia e Spagna. Investono nella famiglia perché hanno sforato il tetto del 3% per il deficit. Noi non metteremo tasse sulla casa o patrimoniali».
 
Torniamo al referendum. La vostra credibilità a Bruxelles sarà sempre limitata se tenete questa pistola sul tavolo. 
«Questo è chiaro. Ma l’obiettivo non è rendere felici gli altri. E’ fare in modo che nell’ambito dell’Ue gli interessi dei diversi Paesi si ritrovino allo stesso tavolo. E’ un peso contrattuale».
 
Piazza vuota, salta l’agorà 5 Stelle? Di Maio: “Non è vero, modalità cambiate”
 
 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/12/07/italia/politica/di-maio-c-una-guerra-sociale-in-corso-solo-leuropa-pu-salvarci-KrosEDOBBMgxCyJBEZNeSL/pagina.html

Arlecchino:
ANTICIPAZIONE

Così Beppe Grillo lascerà il Movimento 5 Stelle
Il comico fa i bagagli: sta per riprendersi il dominio del blog, che andrà in mano a una srl.
Le scelte di Luigi Di Maio «gli stanno strette» e «non è mai scattato l'innamoramento» con Casaleggio jr.

Lo anticipa L'Espresso in edicola da domenica 14 gennaio

DI GIOVANNI TIZIAN E SUSANNA TURCO
11 gennaio 2018

Sarà una scissione invisibile, ed è già cominciata. Beppe Grillo, il Movimento delle origini, la visione di Casaleggio senior di qua. Luigi Di Maio, Casaleggio junior e le nuove regole di là. Magari si trasformerà in una guerra, ora ha la forma di una marea: più che un'esplosione, è un discreto ritirarsi. Lo ha già fatto Alessandro Di Battista annunciando di non candidarsi.

Il prossimo sarà Beppe Grillo, come racconta l'Espresso in edicola domenica 14 gennaio, con un ampio servizio dal titolo: “Grillo non abita più qui”. È questo che dice chi al comico genovese è vicino davvero. Lo fanno trapelare anche a Milano, dalla Casaleggio Associati, dopo che le nuove regole hanno previsto per la prima volta che il Garante, cioè Grillo stesso, possa dare addio al Movimento.

La discreta ritirata doveva effettuarsi già un mese fa, ora si parla di gennaio ma i più dicono che sarà prudente spostarla a dopo le elezioni. Dopo averci pensato per mesi, il comico genovese ha infatti chiesto di riavere indietro la proprietà del blog, che ora è formalmente in mano a un militante di fiducia e sostanzialmente gestito dalla Casaleggio. Il dominio, secondo i piani, dopo lo switch off dovrà finire in mano a una srl unipersonale, cioè a socio unico. Insomma Grillo fa i bagagli.

Il M5S è un esperimento creato in laboratorio
Già negli anni Novanta Gianroberto Casaleggio testava come manipolare il consenso con un team ristretto della sua azienda informatica. Dalla nascita del blog al primo Vaffa day. Sino alla normalizzazione dell'èra Di Maio
La versione più benevola del racconto sostiene che voglia tornare a fare il comico impegnato, l’attivista, il giramondo alla scoperta di tecnologie destinate a cambiare il futuro del pianeta; secondo un’altra, meno benevola - non a caso proveniente dall’area della Casaleggio - è stufo di beghe, polemiche, lotte fratricide e soprattutto querele.

Il vero motivo è nascosto nelle pieghe. Chi conosce bene il comico sa infatti che alcune scelte del nuovo leader Luigi Di Maio «gli vanno un po’ strette» (a esser gentili), mentre con Davide Casaleggio «non c’è mai stato l’innamoramento» che invece era scattato con il padre Gianroberto. Per lui, ormai, più che una passione, l'M5S è diventato l'assolvimento di un patto d'amicizia con il guru della Casaleggio.

Il presente gli sta stretto. È per questo che nell'illustrare come sarà il futuro, si usa come esempio proprio Di Maio: «Tutto quello che riguarda il partito sarà sul sito a Cinque stelle, mentre beppegrillo.it tornerà ad essere un laboratorio di idee che guarda fuori dal perimetro del partito. Il video di Luigi, che oggi va sul blog, domani andrà sul sito dei Cinque stelle». Insomma Di Maio finirà da un’altra parte. È questo il punto finale di una strategia che il front man storico dei grillini ha perseguito negli ultimi mesi, facendo «in modo che l’attività del Movimento fosse via via più slegata dalla sua figura». E quindi più autonoma, a partire dagli argomenti del blog.

E non è l'unica spina per il Movimento 5 Stelle, giunto ormai alla versione 3.0. Come racconta all'Espresso l'avvocato Lorenzo Borré, nel delineare uno scenario di un Movimento che si sdoppia: «Adesso i vertici hanno fatto una scissione dall'alto, creando una nuova Associazione. Ma la prima non è estinta, conta ancora degli iscritti: quindi al momento ci sono due Movimenti». Che potrebbero finire in lotta fra loro.

© Riproduzione riservata 11 gennaio 2018

Da - http://espresso.repubblica.it/palazzo/2018/01/11/news/cosi-beppe-grillo-lascera-il-movimento-cinque-stelle-1.316960?ref=RHPPLF-BH-I0-C4-P3-S1.4-T1

Arlecchino:
"Il programma del M5s è un plagio".
Wikipedia e Repubblica tra le fonti non citate
Lo afferma Il Post, dopo aver analizzato i 20 punti del documento di sintesi presentato ufficialmente. Ben 11 trarrebbero interi paragrafi e parti da studi scientifici, articoli, documenti prodotti dal Parlamento e persino interventi di esponenti di partiti avversari

07 febbraio 2018

ROMA - Se a Sanremo la caccia al plagio è ormai divertissement da assuefatti, quanto affermato da Il Post dovrebbe invece, condizionale obbligatorio, scuotere gli italiani e con essi la campagna elettorale che porta al voto del 4 marzo, ben più dei dubbi sull'opportunità di tenere in gara al Festival l'accoppiata Fabrizio Moro-Ermal Meta. Perché Il Post ha fatto le pulci al programma del Movimento 5 Stelle, la forza politica che della propria presunta purezza e onestà ha fatto la bandiera, scoprendo che in realtà si tratta di un puzzle di idee e contributi altrui. Ovvero, tutto tranne che il frutto di quello sforzo collettivo dal basso che avrebbe portato a un programma elettorale "scritto ed elaborato dagli attivisti tramite la cosiddetta piattaforma Rousseau”, il sito controllato da Davide Casaleggio su cui si svolgono le votazioni interne al partito.

Secondo Il Post, invece, un'attenta analisi di quel programma rivelerebbe che "molte sue parti, in alcuni casi intere pagine, sono state copiate da altri documenti di tutt’altra natura, senza alcuna indicazione della loro provenienza. Tra le fonti ricopiate ci sono studi scientifici, articoli di giornale, pagine di Wikipedia, oltre a numerosi dossier e documenti prodotti dal Parlamento, in alcuni casi scritti da esponenti di partiti avversari del Movimento 5 Stelle".

Il programma del M5s è composto di 20 punti tematici. Secondo Il Post, ben 11 conterrebbero tracce spurie di ben diversa provenienza rispetto a un sincero brainstorming della base. Il punto sullo "Sviluppo economico" ospiterebbe, ad esempio, una decina di paragrafi "copiati senza che sia specificata la provenienza". Ci sono stralci "di un’interrogazione parlamentare fatta nel 2012 dal senatore Pd Giorgio Roilo, di uno studio IEFE Bocconi e di un articolo del 2010 scritto dall’economista Jean-Paul Fitoussi, le cui parole sono riprodotte come se fossero idee del M5S. C’è anche un’intera intervista di Carlo Sibilia all’attivista svedese Helena Norberg-Hodge, senza che però i nomi di Sibilia e Norberg-Hodge vengano segnalati da nessuna parte".

"Il plagio più esteso - segnala ancora Il Post - si trova nel capitolo 'Ambiente'": due intere pagine copiate da un dossier di Legambiente e "quasi 300 parole copiate senza citazione da un articolo di Repubblica, eliminando i virgolettati e facendo così apparire le parole degli esperti intervistati dal giornale come idee e proposte del Movimento 5 Stelle". Ci sarebbero ricopiature provenienti da documenti parlamentari, risoluzioni, dossier e altre relazioni anche nei capitoli “Agricoltura”, “Immigrazione”, “Telecomunicazioni”, “Giustizia”, “Sicurezza”, “Beni culturali”, “Trasporti”, “Turismo”. Mentre "diverse definizioni - rileva ancora Il Post - sono copiate da manuali di diritto o direttamente da Wikipedia".

Curioso, poi, notare come "quando manca meno di un mese alle elezioni, alcuni capitoli del programma, come quello “Immigrazione” e quello “Giustizia”, sono ancora indicati come “parziali”, anche se ormai votati dagli iscritti, pubblicati online e usati per produrre" il documento in 20 punti "presentato ufficialmente e che Luigi Di Maio descrive da giorni come il programma del partito".

"Non è facile" ammette Il Post, "risalire a chi abbia commesso i plagi". Il deputato pentastellato Manlio Di Stefano ha spiegato al Post "che non c’è un vero e proprio autore per ogni capitolo, ma soltanto dei responsabili che si sono occupati di mettere insieme i testi usciti dalle votazioni sul sistema operativo Rousseau, quelli prodotti da esperti e quelli prodotti dagli stessi parlamentari e dai loro staff". L'analisi si conclude ricordando come non sia di certo la prima volta: le “Linee Programmatiche” per il Comune di Roma, presentate dalla sindaca Virginia Raggi poche settimane dopo l’elezione, "risultarono in parte sottratte ad altri documenti, tra cui una relazione dei Verdi (allora alleati del Pd)".

© Riproduzione riservata 07 febbraio 2018

Da - http://www.repubblica.it/politica/2018/02/07/news/il_post_programma_m5s_e_plagio_copiato_da_wikipedia_e_articolo_repubblica-188260094/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T2

Arlecchino:
Cosa dice Beppe Grillo di Lega e M5s insieme al governo

L'intesa con Matteo Salvini sembra funzionare. Ma che succede se si parla di andare a Palazzo Chigi?

Di BRUNO ALBERTI 26 marzo 2018, 07:30

A giudicare dalle parole di Beppe Grillo ("Salvini è uno che quando dice una cosa la mantiene, il che è una cosa rara") quella tra M5s e Lega è una 'intesa amichevole' che funziona a gonfie vele. Fino, però, a quando si tocca il nodo Palazzo Chigi, a quanto pare.

Sì, perché, galateo a parte, è la sostanza a segnare due pretese speculari. Tutti e due i movimenti, infatti, rivendicano a sé la guida del governo. Comincia Salvini - via social network e con la premessa "nel rispetto di tutti" - segnalando che "il prossimo premier non potrà che essere indicato dal centrodestra, la coalizione che ha preso più voti e che anche ieri ha dimostrato compattezza, intelligenza e rispetto degli elettori".

E, visto che in fasi come queste, anche nella Terza Repubblica, le parole della politica vanno sempre passate al microscopio, sarà anche il caso di annotare che il leader leghista parla di premier "indicato dal" e non, più seccamente, "del" centrodestra.

Il programma di Salvini (se va al governo)
Intanto, Salvini accenna anche una sintesi del programma di governo, così articolato: via legge Fornero e spesometro, giù tasse e accise, taglio di sprechi e spese inutili, riforma della scuola e della giustizia, legittima difesa, revisione dei trattati europei, rilancio dell'agricoltura e della pesca italiane, Ministero per i disabili, pace fiscale fra cittadini ed Equitalia, autonomia e federalismo, espulsione dei clandestini e controllo dei confini".

M5s non resta a guardare
Non che dalle parti di M5s ci si limiti a festeggiare l'elezione di Roberto Fico alla guida della Camera. Uno che ci ha appena messo piede, e che soprattutto figura nella possibile squadra di governo M5s, alla casella Mise, insomma Lorenzo Fioramonti, spiega che "preso dall'ansia di fare qualcosa di utile" dentro un "surreale Montecitorio" ha già organizzato "una serie di incontri paralleli con tecnici, esperti di sviluppo, attivisti della società civile e colleghi parlamentari".

Grillo, si diceva allora. Riprende la giornata da dove aveva terminato la precedente. Esce dall'hotel Forum e davanti ai giornalisti che ne attendono la partenza dalla Capitale tesse le lodi di Luigi Di Maio e di Roberto Fico, proprio come aveva fatto con chi ne aveva atteso il ritorno nella tardissima serata di sabato, dopo il suo spettacolo teatrale. Solo che stavolta Grillo aggiunge anche il viatico per il capo politico M5s a Palazzo Chigi. "Fico è una persona straordinaria, lo sapete. Lo conosciamo tutti", dice. E ora, dopo lui alla guida della Camera, Di Maio al governo? "Ma certo", risponde il garante M5s che poi si divincola dalla ressa di telecamere.

La scena si sposta con Grillo, ormai in auto, precisare con la prudenza del politico di lungo corso che "non lo so quanto al governo, sarà il Presidente della Repubblica che darà l'incarico". Tutto il resto, nomi, formule, alleanze, "sono illazioni che fate voi. Qui dobbiamo cambiare il Paese, e lo stiamo cambiando". Di Maio? "Ma lasciatelo lavorare bene, in pace, tranquillo". Perché, fatte salve le prerogative del Colle, "certo che decide Di Maio. Scherzate? E' uno statista", certifica il cofondatore M5s. "Ho visto un'Aula con una brezza diversa. Se ne stanno rendendo conto adesso. Non riescono a capire... Vedere queste facce bianche che guardavano 300 persone mai viste...", sintetizza il garante M5s che tiene a correggere le coordinate ideali che gli osservatori assegnano al Movimento: "Non siamo contro il sistema, è il sistema che ha finito da solo. Noi abbiamo dato solo una piccola spinta".

Per il futuro, guarda avanti. Molto avanti. "Adesso c'é da fare un progetto di 30, 40, 50 anni", spiega vagheggiando il cambiamento dell'assetto urbano del Paese. E allora, sta a Di Maio - è lui, peraltro, a dire per primo che "Salvini ha dimostrato di essere una persona che sa mantenere la parola data" - chiarire che "abbiamo sempre detto che la partita sulle presidenze è slegata da quella del governo" e rivendicare che "da oggi chi vuole lavorare per i cittadini sa che esiste una forza affidabile e seria che dialoga con tutti e si muove compatta per il bene del Paese". L'elezione di Fico è "il primo passo per realizzare il cambiamento che i cittadini ci hanno chiesto con il voto del 4 marzo". E dunque "ora ci rimettiamo al lavoro per concludere l'opera".

Da - https://www.agi.it/politica/beppe_grillo_m5s_governo_lega-3683475/news/2018-03-26/


Navigazione

[0] Indice dei messaggi

[#] Pagina successiva

[*] Pagina precedente