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Autore Discussione: Emanuele MACALUSO.  (Letto 4374 volte)
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« inserito:: Luglio 28, 2016, 06:20:31 pm »

Io dico ai “vecchi Ds”: avete voluto la bicicletta? Pedalate!   
È inutile che vi lamentiate, questo è il Pd guidato da Renzi

Emanuele Macaluso

Nel dibattito e nella rissa politica che caratterizza la vicenda del Pd, soprattutto da quando Matteo Renzi ha vinto le cosiddette primarie ed è stato nominato prima segretario del partito e successivamente presidente del Consiglio, la cosa che mi sorprende e anche mi indigna è che un pezzo del Pd – che sta all’opposizione e che proviene dai Ds – considera lo stesso Renzi un estraneo, uno che ha una cultura, un comportamento e obiettivi che nulla hanno a che fare non solo con la sinistra o il centrosinistra ma addirittura con la democrazia dato che mostrerebbe tendenze autoritarie.

Io, invece, penso che Renzi non sia un intruso ma un prodotto del Pd, un frutto della fusione a freddo tra Ds e Margherita, con tutto ciò che avevano dentro. Renzi è un giovane delle organizzazioni cattoliche toscane, della Dc, confluito con tanti altri prima nella Margherita e poi nel Pd. E nel Pd si è fatto avanti usando il modo d’essere di questo partito, senza storia, senza una sua autonoma cultura politica, senza regole per l’accesso agli incarichi se non con le cosiddette primarie. In questo quadro, Renzi si collocò alla presidenza della Provincia di Firenze e capì che quel partito era scalabile. Le primarie per il sindaco di Firenze le vinse anche perché si opponeva non ad uno ma a due candidati ex Ds, ex Pci. E le vinse ottenendo consensi anche tra vecchi militanti della sinistra in cerca della “novità”.

Per dare senso e prospettiva nazionale alle scalate Renzi inventò e costruì un centro di iniziativa politica autonomo, la Leopolda, chiamando a discutere su vari temi soprattutto persone non iscritte e anche lontane dal Pd dando l’impressione che animava un confronto largo, mettendo finalmente in campo idee e programmi che il Pd non possedeva.

Renzi vinse le primarie per la segreteria nazionale, dopo averle perse in precedenza con Bersani. E le vinse anche perché il Pd non era stato costruito come partito ma come insieme di cordate e di gruppi attorno a persone in un aggregato senza identità. Le elezioni politiche del 2013, che si svolsero con il “porcellum”, diedero un premio enorme al Pd di Bersani e Letta alla Camera ma il risultato rivelò una debolezza organica del Pd.

Come sono andati i fatti dopo è noto: il flop di Bersani candidato presidente nel penoso incontro con i “grillini”, l’incarico a Letta per formare un governo di larghe intese con Forza Italia. Le altrettanto penose votazioni per l’elezione del presidente della Repubblica, franchi tiratori per affossare prima Marini e franchi tiratori per affossare dopo Prodi, furono un segnale decisivo su come stavano effettivamente le cose: Pd, Forza Italia e altri gruppi chiesero a Napolitano, con insistenza, la sua ricandidatura come atto necessario a colmare l’incapacità dei gruppi parlamentari di eleggere un presidente.

Perché stupirsi che, in questo clima di débâcle della vecchia guardia, Renzi continui la sua scalata e vinca le primarie? Con cinismo scalzò Letta da palazzo Chigi, grazie al consenso dei gruppi parlamentari che lo proposero al capo dello Stato come il solo candidabile a presidente del Consiglio. Napolitano non poté che prendere atto della decisione dei gruppi parlamentari del partito di maggioranza. E dove erano i notabili ex Ds ora Pd? Renzi è il “nuovismo”, invocato da tanti; Renzi è il giovane che rottama il vecchio; Renzi esprime il “vero” Pd. Questo si disse. E come prova del nove vennero indicate le elezioni europee dove il Pd superò il 40%. Tutti con Renzi.

Ora invece ci sono intoppi, problemi e difficoltà. E i notabili, gli oppositori dimenticano che questo Pd è il “loro” Pd, quello che hanno voluto come salvezza del centrosinistra. È inutile lamentarsi, signori, questo è il “vostro” Pd: avete voluto la bicicletta con due ruote sgonfie, come erano Ds e Margherita, piuttosto che capire perché le ruote fossero sgonfie e darsi da fare per metterle a posto. Bene: avete voluto la bici? Pedalate!

(da Facebook)

Da - http://www.unita.tv/opinioni/io-dico-ai-vecchi-ds-avete-voluto-la-bicicletta-pedalate/
« Ultima modifica: Gennaio 12, 2017, 12:39:53 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:34:06 am »

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Emanuele Macaluso   @emmaincorsivo
· 8 dicembre 2016

La direzione di Giuliano è quella giusta
Sinistra   
Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia lascia la sede del Pd al termine dell'incontro con il presidente del Consiglio Matteo Renzi, 02 dicembre 2015. Roma. ANSA/ANGELO CARCONI   

Conosco bene Giuliano, e so che è una persona coerente con le sue idee

Conosco bene Giuliano, e so che è una persona coerente con le sue idee, in rapporto alle situazioni che il contesto politico propone. Pisapia ha fatto bene il sindaco di Milano, con una coalizione di centrosinistra che, non solo lui, aveva chiamato “arancione”. Quando è scaduto il suo mandato ha detto che non si sarebbe ricandidato e successivamente, quando Sala ha vinto le primarie, battendo di misura la vice sindaco Balzani, che Pisapia sosteneva, ha subito detto che avrebbe appoggiato Sala e lo ha fatto con determinazione.

Sala era il candidato del Pd. E al referendum ha fatto la campagna per il Sì. Oggi cosa propone Giuliano, dopo il terremoto referendario? Radunare tutte le persone e i gruppi che non si riconoscono nel Pd, che hanno votato per il Sì o per il No, ma vogliono costruire un soggetto di sinistra, disposto ad allearsi con il Pd di Renzi, al quale chiede se anche lui pensa a una ricomposizione del centrosinistra, e quindi ad alleanze coerenti, che non sono certo quelle che il Pd ha dovuto stabilire con il centrodestra di Alfano e Verdini.

È chiaro anche, dice Giuliano, che la sinistra a cui pensa non è quella che considera il Pd di Renzi un partito di destra, con cui si può solo confliggere e non allearsi, come fanno i residuati di Sel e la cosiddetta Sinistra italiana. Insomma, senza Pd non c’è centrosinistra, e a me pare che abbia ragione.

Bersani e Speranza, invece, continuano ad operare come se l’alternativa a Renzi siano loro, e non capiscono ancora che ormai sono più minoranza di prima, senza una prospettiva se non quella di mugugnare. Ancora una volta si dimostra che Cuperlo aveva ragione. Io penso che Giuliano abbia storia e autorevolezza per muovere la situazione nella direzione da lui stesso indicata. E intanto anche lui dice che occorre una nuova legge elettorale e il tempo necessario perché il parlamento adempia ad obblighi come la legge di stabilità. In questo, d’accordo con quel che chiede Mattarella. Vedremo cosa pensa per il futuro il suo attuale segretario Renzi. E vedremo cosa si muove nel Pd.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-direzione-di-giuliano/
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 12, 2017, 12:39:35 pm »

Opinioni
Emanuele Macaluso - @emmaincorsivo
· 10 gennaio 2017

Il ruolo del sindacato e quella polemica aspra ma utile
La compagna Susanna poteva evitare di farsi fotografare con un grande cartello del No

Sabato scorso, Sergio Staino ha criticato duramente Susanna Camusso, dicendole che aveva tradito la storia del sindacato, per come l’avevano scritta Lama e Trentin, dato che il suo impegno fondamentale aveva assunto un carattere essenzialmente politico, contro i governi del Pd.

La replica della Cgil è firmata da tutti i dirigenti dei sindacati di categoria, i quali rivendicano l’iniziativa della confederazione volta a firmare accordi rilevanti e a fare proposte che coinvolgono il mondo del lavoro, così come è nella tradizione di Di Vittorio, Lama e Trentin. Vorrei dire qualcosa su un tema che mi ha sempre molto coinvolto, ne ho scritto spesso anche sulla mia pagina Facebook, e su cui ho partecipato a dibattiti che si sono svolti tra i dirigenti dei sindacati.

La prima cosa che vorrei dire è che tutti coloro che sono impegnati a sostenere la democrazia e il mondo del lavoro tengano sempre presente che siamo di fronte a una crisi della rappresentanza: i partiti secondo sondaggi credibili sono al 6% del gradimento e la di fiducia nel sindacato è ora caduta al 18% (nel 1997 era al 59%, la Cgil è all’8%), mentre più alta è la percentuale sull’importanza che ha il sindacato nella società di oggi (il 49% degli intervistati). La polemica, come dicevo, è aspra ma io la considero utile perché finalmente si discute su cose fondamentali, non solo per la sinistra ma, ripeto, per la democrazia. Sinteticamente dirò quel che penso. Staino avrebbe dovuto parlare anche delle responsabilità pesanti di Renzi e del suo governo che hanno negato un ruolo al sindacato con l’argomento che era finita l’era della concertazione, e si promuoveva il primato della politica.

I fatti gli hanno dato torto: gli ultimi accordi positivi, tra i quali quello sulla contrattazione, hanno un segno, e cioè l’unità sindacale e la mediazione governativa. Se per la riforma del cosiddetto Jobs Act si fosse seguito lo stesso criterio, cioè discutere, trattare, riunire il sindacato, e poi decidere, avremmo avuto risultati a mio avviso diversi. Ricordiamoci che l’ultimo difficile accordo firmato da Trentin con il governo Amato provocò proteste e contestazioni, ma Bruno ritenne necessario firmare anche con una sua profonda amarezza. E il governo fece la sua parte.

Nella risposta della Cgil, tra alcuni silenzi, è completamente taciuto il fatto rilevante che la confederazione è stata impegnata a “difendere la Costituzione” con gli argomenti politici sostenuti dai comitati del No, quando la riforma non toccava nessuno dei diritti che la Costituzione sancisce per il mondo del lavoro. La compagna Susanna poteva evitare di farsi fotografare con un grande cartello del No e poteva lasciare liberi gli iscritti di votare come credevano su una riforma discutibile quanto si vuole, ma che riguardava la seconda parte della Costituzione, cioè la funzionalità del sistema istituzionale.

Il fatto che democraticamente ha vinto il No non cancella l’errore. E la polemica fatta dalla Cgil su questo terreno continua. Infine, vorrei ancora ribadire che dato che nell’epoca in cui viviamo il sindacato non ha più un retroterra politico come in passato, è necessario lavorare per l’unità sindacale, per dare ruolo e forza al mondo del lavoro. Questa indicazione vale non solo per la Cgil, ma soprattutto per la Cisl e la Uil. I successi veri del sindacato sono solo quelli unitari, le firme separate hanno solo provocato disagi del mondo del lavoro. Se il sindacato si unisce finisce anche una falsa e pericolosa concorrenzialità tra le sigle. Si andrà avanti sull’unità e anche sull’unificazione sindacale? Ho dubbi, ma finché vivo su questo nodo non mollerò.

Da Facebook

Da - http://www.unita.tv/opinioni/il-ruolo-del-sindacato-e-quella-polemica-aspra-ma-utile/
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« Risposta #3 inserito:: Febbraio 26, 2017, 12:29:51 am »

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Francesco Cundari   

@peraltro
· 17 febbraio 2017

Macaluso: “Certo che serve il congresso ma nello statuto non c’è”

Veca ha ragione, ma forse non conosce le regole dei democratici. Se non si vogliono cambiare, si faccia almeno la conferenza programmatica

«Salvatore Veca dice una cosa saggia e giusta: con il referendum si è chiuso un ciclo e ora il Partito democratico deve darsi una nuova linea e un nuovo profilo, affinché la gente possa capire cos’è oggi il Pd, dunque è necessario fare subito un congresso, mentre per le elezioni si può arrivare alla scadenza naturale».

Emanuele Macaluso riassume così il senso dell’intervista a Salvatore Veca pubblicata ieri dall’Unità e si dice subito «molto d’accordo con lui, dal punto di vista dell’impostazione del problema».

Mi pare di capire che da un altro punto di vista, invece, non è d’accordo. Sbaglio?
«Il fatto è che Veca forse non ha presente lo statuto del Pd. Quello che il Pd chiama congresso non è un congresso. Lui parla di dibattito, confronto di idee, quasi di una rifondazione, ma questo con lo statuto del Pd non si può fare».

Perché no?
«Perché lo statuto del Pd non prevede un congresso. Prevede che chi si vuole candidare presenta una mozione che viene discussa nei circoli, dove si vota, e quelli che superano una certa soglia sono candidati alle primarie. Dopodiché si fanno le primarie, cui partecipano tutti, dove possono votare anche gli iscritti di altri partiti. E allora il dibattito non esiste».

Come non esiste, e quello che ha appena descritto cos’è?
«Esiste nei circoli, dove fanno questa scelta, ma poi un congresso con i delegati, con duecento, trecento o cinquecento persone che discutono e si confrontano, non c’è. Come fai a fare sintesi e a darti una linea comune se non c’è un consesso che lo fa? C’è uno sminuzzamento del dibattito. I circoli sono centinaia: chi può seguire tutti i circoli? Non ha senso. Un congresso vero, come si fa in tutto il mondo, in tutti i partiti europei, in Germania come in Francia, Spagna o Inghilterra, non c’è».

Anche in Francia fanno le primarie.
«Certo, per le cariche istituzionali, e a quelle sono favorevole. Magari si potrebbero regolare meglio, meglio ancora se con una legge, ma non per il partito. In tutta Europa per il partito si fanno i congressi, dove cento persone in due o tre giorni votano le mozioni, si confrontano, fanno la sintesi e alla fine la minoranza deve accettare la disciplina democratica e rispettare la maggioranza».

Le regole del Pd sono le stesse da sempre. Così è stato eletto anche Pier Luigi Bersani.
«È evidente. Queste regole non le ha inventate Renzi. Non c’è dubbio. Le hanno inventate quando hanno inventato il Pd».

Ma se è così, non le sembra un po’ tardi per cambiarle?
«Se non si vuole cambiare tutto questo, allora ha ragione Andrea Orlando. Per raccogliere l’invito di Veca a fare subito un congresso come si fa in tutti i partiti democratici, siccome nel Pd non c’è un congresso vero ma c’è quel tipo di congresso che ho descritto, allora l’idea di una conferenza programmatica può servire a dare al Pd, come dice lo stesso Veca, un asse politico-culturale. Perché il programma deve essere sostenuto e sorretto da certi valori, da certe scelte sociali, culturali, politiche che danno un senso di cosa è il Pd».

Ma se si fa la conferenza programmatica prima, come si fa a evitare il congresso sulle persone poi? Una volta che siano tutti d’accordo sul programma, che resta da scegliere?

«Io non credo che siano tutti d’accordo, perché tra le cose che dice la minoranza e quelle che dice Renzi sul welfare, o tra quel che dice Orlando e quel che dice Emiliano sulla giustizia, non mi pare ci sia grande accordo. Per questo la conferenza programmatica può essere utile: quel punto chi ha votato un testo nella conferenza programmatica si presenta con quello al congresso, e così gli altri. Questa linea, tutto sommato, disarmerebbe anche coloro che minacciano la scissione».

A questo proposito, pezzi molto consistenti della minoranza sembrano vicinissimi alla rottura. Come giudica la loro posizione?
«Debbo dire che il comportamento di questa minoranza e questa stessa minaccia li considero una cosa insensata, irresponsabile e in alcuni atteggiamenti anche ridicola. Quando vedo oggi sui giornali, assieme a Enrico Rossi, che vuole il socialismo, il magistrato che è ancora magistrato, in aspettativa, Michele Emiliano, di cui non si capisce quale sia la storia politica, se non quella di avere fatto la scalata al partito pugliese… io non capisco Rossi e anche Roberto Speranza cosa hanno a che spartire con Emiliano. Sono cose, per la mia mentalità, inquietanti. Fanno una somma di tutto, perché il problema è levare Renzi, punto e basta. Ecco, questo modo di ragionare, che non considero nemmeno ragionare, io lo condanno».

A sinistra del Pd si muove anche Giuliano Pisapia. Cosa pensa della sua iniziativa?
«Penso che sia molto importante, perché cerca di radunare tutte le forze che sono di sinistra ma non si riconoscono nel Pd e però, siccome vuole rifare il centrosinistra, ritiene essenziale il rapporto col Pd. Quindi mi pare anche contro quelli, compresa la cosiddetta minoranza, che vogliono solo contrapporsi al Pd e a Renzi. Certo un nuovo centrosinistra senza il Pd non si può fare. Quanto a quei pezzetti della sinistra fuori da tutto, sono solo, appunto, pezzetti di propaganda, senza progetto politico, schegge che parlano senza concludere niente. Mi stupisce invece che alla direzione del Pd, a parte Delrio in un breve passaggio, nessuno abbia parlato di Pisapia. Né Renzi né la minoranza, forse perché ne diffidano. Del resto, non è l’unico tema ignorato dalla direzione».

A cosa si riferisce?
«Anzitutto a cos’è oggi il Pd nel territorio, come si dice ora. Cos’è il Pd nelle città, nei quartieri, nei paesi grandi e piccoli. Che tipo di personale politico ha. Questo Pd, così com’è, con questi notabili, questo personale, è in grado poi di realizzare una politica di riforme? La mia impressione è che questo personale in gran parte sia distratto da altre cose, cioè dalla preoccupazione di farsi eleggere nei consigli comunali, regionali e così via. Questo Pd è uno strumento adeguato agli obiettivi che i dirigenti si prefiggono? Di questo problema non mi pare si preoccupino né Renzi né la minoranza».

Da - http://www.unita.tv/opinioni/macaluso-certo-che-serve-il-congresso-ma-nello-statuto-non-ce/
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« Risposta #4 inserito:: Giugno 03, 2017, 11:23:09 am »

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Emanuele Macaluso   
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· 3 giugno 2017

Chi fece la Repubblica

La parata, come sempre è un bel momento. Ma i giornali non ricordano i protagonisti di allora

Ogni anno, anche quest’anno, il 2 giugno, com’è giusto che sia, si celebra la festa della Repubblica con parate militari e civili. Oggi (ieri, ndr), come sempre, la parata è stata trasmessa in tv ed è stato un bel momento. I giornali si occupano di altro. Ma non si ricordano mai i protagonisti grazie ai quali oggi l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Alla vigilia del 2 giugno 1946, quando si svolse il referendum per decidere tra monarchia e repubblica, nulla era scontato. Le forze reazionarie e conservatrici fecero blocco attorno alla monarchia soprattutto nelle città del Mezzogiorno. Alla vigilia del voto a Palermo, nella grande piazza dove c’era il palazzo reale, oggi sede del parlamento regionale, il Re di maggio, Umberto II, si affacciò da un grande balcone insieme a generali, aristocratici e vecchi parlamentari per annunciare al popolo che la monarchia avrebbe vinto. Anche il cardinale benedisse la folla e nei quartieri popolari si distribuì pasta e pane. Eppure la Repubblica vinse, grazie ad un eccezionale lavoro politico ed organizzativo delle forze democratiche repubblicane. Ecco perché bisogna ricordare Pietro Nenni e il PSI ancora unito, che fu anche il primo partito della sinistra. E bisogna ricordare Palmiro Togliatti e il P ci: grazie alla “svolta di Salerno” e la costituzione di governi unitari fu possibile, in una situazione confusa e difficile, assicurare lo sbocco politico con l’elezione referendaria e la nascita della Costituente. I due partiti –PSI e PCI – uniti nel patto di unità d’azione erano presenti e attivi in tutti i Comuni, piccoli e grandi, dove c’erano un campanile ed un prete e, spesso, un maresciallo dei carabinieri che organizzavano il popolo per sostenere la monarchia. Bisogna anche ricordare Ferruccio Parri e il Partito d’A z i o n e, Randolfo Pacciardi e il piccolo partito repubblicano, il partito Democrazia del Lavoro di Bonomi, Ruini e Molè e un pezzo, ma solo un pezzo, della Dc di Alcide De Gasperi. Ho colto questa occasione nel ricordare fatti e persone e protagonisti della Repubblica anche perché la pubblicistica politica e alcuni storici dànno solo alla DC e a De Gasperi (il quale presiedette i governi anche dopo la nascita della Repubblica fatta da altri) la rinascita dell’Italia. Eh, no, cari signori, i partiti repubblicani, la sinistra e i loro dirigenti, prima e dopo la nascita della Repubblica, sono stati i grandi protagonisti della rinascita italiana. È bene ricordarlo, proprio oggi, nel giorno della Festa.

Da Facebook 2 giugno 2017

Da - http://www.unita.tv/opinioni/chi-fece-la-repubblica/
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