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Autore Discussione: LE RADICI DEL NORDEST  (Letto 50083 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Gennaio 24, 2015, 11:38:53 am »

L’UOMO E LA COMPAGNA ERANO FINITI IN CARCERE E AVEVANO AFFIDATO LA PICCOLA A UNA DONNA CHE ORA LA RIVUOLE
Dal Brasile all’Italia: «Mi sono ripreso mia figlia analfabeta e poverissima»
Il racconto choc di un imprenditore vicentino che otto anni fa aveva lasciato la sua bambina ai bordi della giungla: «Ho dovuto farlo, con 2000 euro l’ho portata a casa»

di Andrea Pasqualetto, inviato a Vicenza

Non è facile per Paolo C. confessare che quel Pablo Milano Escarfulleri finito nelle galere brasiliane con l’infamia della droga, in realtà, era lui. Non è facile riconoscere di aver usato un nome falso per paura, per vergogna, per continuare ad avere una vita senza macchie almeno in Italia. Ma soprattutto non è facile raccontare la storia dei suoi bambini, Isa e Pietro (nomi di fantasia), lasciati nelle mani di due diverse famiglie durante la lunga carcerazione. Due figli che un bel giorno, scontata la pena, decise di riprendersi per averli in Italia. Non è facile perché in questi paesi del Vicentino, il sinistro Pablo è l’insospettabile imprenditore delle cornici Paolo C., patron di un’azienda con trenta dipendenti, amicissimo del sindaco e proprietario di una bella villa «con cinque bagni», come lui stesso sottolinea pensando alla favela di Isa.

La denuncia
Può sembrare un dottor Jekyll e mister Hyde, due vite, due anime. Non è così. A vederlo nello studio del suo avvocato, emozionato e confidenziale al limite dell’ingenuità, il quarantaquattrenne Paolo C. ha l’aria dell’uomo semplice. Come se fosse protagonista di una vicenda che lo supera. Vicenda che gli è esplosa addosso in questi giorni perché Oltreoceano il caso di Isa è diventato mediatico. E si scopre oggi che quando nel 2013 Paolo C. si riprese la bambina, la madre affidataria, Tarcilia Goncalina de Siqueira, lo denunciò alle autorità carioca per sottrazione di minore. «Un uomo è entrato in casa chiedendo un bicchier d’acqua, poi ha preso la bambina per un braccio e se l’è portata via. Sono certa che i rapitori sono i genitori naturali, quel Pablo Escarfulleri», disse allora la signora Tarcilia. Scattarono subito le indagini della polizia federale brasiliana. Qualche giorno fa, la svolta. Annunciata dal responsabile della Direzione contro la Criminalità organizzata, Flavio Henrique Stringuetta: «Abbiamo trovato la bambina, è in provincia di Vicenza». Bufera su Paolo C. Il quale ha chiamato subito il suo avvocato, Paolo Salandin, volendo chiarire la questione. Eccolo qui, dunque, a cercare di dipanare l’intricata matassa.

I guai in Brasile
«Tutto è cominciato nel 2004, quando, fuori del matrimonio, è nata qui in Italia mia figlia. La madre è Isabel, una dominicana. Io ero sposato con un’italiana e non potevo riconoscerla. Con Isabel siamo andati allora in Brasile, dove avevo un’azienda di cornici… Due anni dopo, nel 2006, io ho avuto un guaio con la giustizia brasiliana». Non vuole dire che si trattava di droga. «Pensavo di risolverlo in breve tempo e invece mi sono fatto più di tre anni». La bambina sarebbe rimasta con la madre se non fosse stata arrestata anche lei per lo stesso fatto, sette mesi dopo. E dunque Isa è rimasta senza genitori.

L’affido
«Quando io ero dentro, all’inizio, Isabel si era sistemata a casa di Tarcilia con la bambina. Conoscevamo quella famiglia perché la figlia di Tarcilia, Danielle, era stata la babysitter di Isa. Io facevo mandare dai miei parenti 200 euro al mese alla famiglia per il suo mantenimento. Duecento euro, in quel posto del Mato Grosso sono lo stipendio di un mese. Ora, io dico che loro sono stati gentili ad allevare Isa ma si tenga anche conto che non c’è stata alcuna adozione. Era solo in affido temporaneo, giusto il tempo di uscire dal carcere. Non capisco cosa sia passato per la testa di Tarcilia poi, che non voleva più ridarcela». Tarcilia urla al sequestro. Chi era quell’uomo che è andato a prenderla? «Non saprei. So solo che mia moglie, uscita anche lei di galera dopo tre anni, è andata a Santo Domingo. Da lì ha cercato più volte di portare a casa Isa. Ma né io né lei potevamo più rientrare in Brasile. E così ha chiesto a qualche amico se gli faceva questo piacere».

Il pagamento
Il piacere di rapirla? «Ma che rapimento e rapimento. Mia figlia non viveva nemmeno con Tarcilia ma con sua figlia Milca che aveva altri cinque bambini. E Milca era favorevole a consegnarcela. Le abbiamo dato 2000 dollari e qualche amico è andato a prenderla. Cioè, se c’è un sequestro in questa storia non è il nostro ma il loro». Paolo C. non dice tutto, però. Perché in Brasile, nel frattempo, è nato anche il piccolo Pietro, sempre figlio loro. «Sì – sospira – è successo poco dopo l’incarcerazione di Isabel». Storia analoga. Il bimbo, ancora in fasce, viene dato in affido temporaneo a un’altra famiglia. «Ma con loro ci sono stati meno problemi. L’abbiamo ripreso punto e basta». Oggi Pietro ha otto anni, Isa dieci. «Lei era praticamente analfabeta, aveva i pidocchi, camminava scalza. Ha vissuto per anni in quella baracca. Adesso vuole stare con noi, è chiaro. Qui ha tutto. L’ho iscritta a scuola e anche Pietro. E c’è anche un terzo fratellino che ha meno di un anno. Io e Isabel ci siamo sposati. Insomma, siamo una famiglia unita. Abbiamo festeggiato tutti insieme il Natale a Santo Domingo dove è stato battezzato il piccolino. Ma questa storia ci ha sconvolto».

A Santo Domingo
I tre figli e la moglie sono rimasti a Santo Domingo. «Gliel’ho consigliato io – spiega l’avvocato Salandin –. Perché non vorrei che qui in Italia ci fossero sorprese per i figli, che hanno già patito abbastanza». E così, mentre la polizia brasiliana gli sta dando la caccia, Paolo C. allarga le braccia e scuote la testa: «Io penso che i miei figli stiano meglio qui da me che in quel posto». Ma in quel posto c’è la signora Tarsilia che non si dà pace: «Io capisco l’affetto per nostra figlia ma non erano questi gli accordi». Alla fine, stanno male un po’ tutti. Tarsilia che ha visto sparire Isa, Paolo C. che deve nascondere i figli, la mamma che non può tornare in Italia. E i bambini, che hanno già vissuto due mondi e una tempesta di affetti.
24 gennaio 2015 | 07:56
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« Risposta #31 inserito:: Marzo 09, 2015, 05:09:27 pm »

IL BENZINAIO DI NANTO

Stacchio: «Volevano candidarmi Rifiuto, non sono un predicatore»
«Prego per il bandito che ho ucciso. La politica? Ho già la mia vita»
Stacchio, dalle code in auto a Salvini


NANTO (Vicenza) «Sono sereno».
Come fa?
«La mia serenità è la coscienza pulita, la solidarietà che ricevo dalla gente è la mia forza. Ho avuto una vita meravigliosa, una famiglia stupenda e tante gioie. E poi prego». Per chi prega? «Anche per quel povero bandito. E prego perché i suoi complici capiscano che non possono andare in giro a spaventare le persone e che il denaro non li renderà mai felici».

La stessa divisa dell’Agip, lo stesso berretto di lana calato sulla fronte e le auto che si fermano a fare rifornimento. A Nanto, in apparenza, è rimasto tutto come quel 3 febbraio, quando una banda di nomadi ha tentato l’assalto alla vicina gioielleria di Roberto Zancan e lui, il benzinaio Graziano Stacchio, ha aperto il fuoco per farli fuggire e difendere la commessa barricata nel negozio. In realtà nulla è più lo stesso. Lo si capisce dai due poliziotti di scorta e dalle frasi degli automobilisti di passaggio. «Hai fatto bene», «Sto dalla tua parte». Qualcuno allunga un’offerta - «Per aiutarti a sostenere le spese legali» - visto che ora è indagato con l’accusa di eccesso colposo di legittima di difesa. E che l’aria sia cambiata, lo si intuisce anche dai giornali che raccontano dei residenti di un quartiere di Oderzo, nel Trevigiano, che hanno sparato ai ladri al grido di «facciamo come Stacchio» e riportano le frasi di Joe Formaggio, il sindaco di Albettone, che anche ieri ha tuonato: «Quelli che vanno in giro per le case a rubare e a picchiare donne di 90 anni per portare via le fedi, vanno ammazzati, basta con questo buonismo». Ma il benzinaio la pensa diversamente. «Non voglio il Far West, prima di imbracciare il fucile bisogna pensarci dieci volte. Non si spara alle persone: la vita è sacra».

Lei però l’ha fatto.
«E non penso che riuscirei a farlo un’altra volta. Ma in quel momento c’era una ragazza in pericolo e io ho agito di impulso, il cuore mi scoppiava. Dovevo fare una scelta: scappare o reagire. Sono rimasto. Quelli erano banditi armati di kalashnikov. I ladri, invece, sono un’altra cosa: se nessuno è in pericolo di vita, la cosa giusta da fare è chiamare le forze dell’ordine. Se invece ci si limita a sparare un colpo in aria per impaurire i criminali, bè, allora è diverso…».

Domani, sabato, a Venezia ci sarà la manifestazione organizzata da Lega Nord e Fratelli d’Italia. L’hanno invitata. Ci andrà?
«No-no-no-no». (Si ritrae di un passo e incrocia le mani al pezzo, quasi volesse difendersi da qualcosa)

Non le piace la politica?
«Al contrario, confido molto nei politici: solo loro possono cambiare questo paese, garantendo alle forze dell’ordine il sostegno di cui hanno bisogno. La sicurezza non è né di Destra né di Sinistra, è un tema su cui tutti i partiti dovrebbero riflettere, invece di continuare a scaricarsi le colpe l’uno addosso all’altro. Anche se, a dirla tutta, c’è una cosa che non mi so spiegare...».

Cosa?
(Rimane in silenzio. Poi risponde, lentamente, pesando ogni singola parola) «Qui sono venuti i leader di molti partiti, Matteo Salvini, Giorgia Meloni, il candidato alle regionali del Movimento 5 Stelle... Ma nessuno di centrosinistra si è fatto sentire».

Le dispiace?
«Non è che ci sia rimasto male, solo non ho capito perché non abbiano preso posizione su quanto è accaduto qui a Nanto. Serve un impegno da parte di tutti i partiti per sostenere maggiormente quei poliziotti e carabinieri che tutte le mattina si svegliano e si mettono in strada per difenderci. La nostra Italia ha bisogno di tre cose: istruzione, sanità e sicurezza».

Sembra un programma elettorale. Qualcuno le ha chiesto di candidarsi alle prossime elezioni regionali?
«Sì, ma non mi chieda di che partito».

Accetterà l’offerta?
«Ho detto di no: voglio rimanere fuori dalla politica. A 65 anni ho già la mia vita e il mio lavoro. Non voglio mettermi a fare il predicatore, non sarebbe giusto. E non mi va neppure di indirizzare, con la mia presenza in qualche lista elettorale, la scelta delle tante persone che in questi giorni mi sono state vicine».

Nei giorni scorsi qualcuno ha fatto recapitare dei proiettili indirizzati a lei e al gioielliere. Ha paura?
«Ho la mia teoria su quelle minacce: siamo in campagna elettorale».
Quindi non crede sia una vendetta dei nomadi?
«Nei campi nomadi ci sono anche buone persone, in mezzo a qualche “pazzerello”, ma hanno una coscienza pure loro: sanno che non volevo la morte di quel ragazzo».

06 marzo 2015
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Andrea Priante

Da - http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2015/6-marzo-2015/stacchio-volevano-candidarmi-rifiuto-non-sono-predicatore-2301071588996.shtml
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« Risposta #32 inserito:: Aprile 16, 2015, 04:20:46 pm »

Pop. Vicenza stringe su Veneto Banca

Di Katy Mandurino
12 aprile 2015

Banca Popolare di Vicenza si prepara alla trasformazione in spa e contestualmente alla fusione con Veneto Banca. Sono questi gli obiettivi che nel prossimo mese si è posto il cda dell’istituto vicentino il quale, ieri in assemblea, davanti a 4.403 soci – ma ne erano rappresentati 6.449 -, ha chiesto e ottenuto, nonostante le contestazioni, l’approvazione del bilancio 2014, chiuso con un rosso di 758 milioni di euro, e l’approvazione del ridimensionamento del prezzo delle azioni da 62,5 a 48 euro, con una svalutazione del 23,2% (che ha portato il rapporto tra valore e patrimonio a 1,2).

La strada obbligata e già tracciata della trasformazione in società per azioni corre parallelamente (e, nella mente dei vertici della banca, conseguentemente) alla definizione di un partner che possa aumentare e consolidare le dimensioni patrimoniali della banca. Da qui il palese “appello” di ieri del presidente Gianni Zonin a Veneto Banca: «Auspico che gli amici di Montebelluna – ha detto alla platea dei soci – raccolgano il nostro invito affinché possiamo fare assieme una grande banca del Veneto, continuando ad operare con azioni sul territorio nonostante la trasformazione in Spa». Nei giorni scorsi Mediobanca, Advisor incaricato di sondare il terreno nel panorama delle popolari, aveva stilato un elenco di quattro nomi possibili. Tra questi (cioè Veneto Banca, Carige, Creval e Popolare di Sondrio), l’istituto di Montebelluna è quello che più di altri permetterebbe il mantenimento della centralità del territorio. «Se ci aggreghiamo – ha aggiunto Zonin –, facciamo una cosa straordinaria, mettiamo in sicurezza i nostri istituti e li rendiamo meno scalabili, restiamo sul territorio e diventiamo la quinta o sesta banca d’Italia».

La fusione con Veneto Banca prima della trasformazione in spa (o contestualmente ad essa) renderebbe più agevole il passaggio del gruppo in società per azioni, gruppo che a questo punto sarebbe più consolidato e già definito. E che potrebbe fare un ulteriore aumento di capitale. «Con una trasformazione in spa – ha spiegato il dg e consigliere delegato Samuele Sorato - è abbastanza inevitabile che ci siano nuovi investitori e, anche se non deciso dalla banca, ci potrebbero essere manifestazioni di interesse per rafforzare il capitale. E un aumento sarebbe la strada migliore». Anche per affrontare eventuali valutazioni della Bce sulle dimensioni (sufficienti?) della nuova società che si verrà a creare.

Società che, però, non avrà come presidente Gianni Zonin: «Quando la banca diventerà una spa io non sarò più il presidente di questo istituto – l’annuncio -. Ritengo che la trasformazione in società per azioni non sia cosa da festeggiare perché si perde la mutualità. Nel 1996 ho accettato di fare il presidente di un istituto popolare, ora un’epoca è finita. Ma auspico che con questa trasformazione la banca possa raggiungere dimensioni europee».

Sarà, dunque, un nuovo presidente a prendere entro l’anno le redini della Popolare di Vicenza e a ereditare i frutti di una politica prudenziale negli accantonamenti e nella valutazione degli attivi, che ha portato nel 2014 le rettifiche di valore complessive a 1,521 miliardi di euro, mentre gli avviamenti sono stati rettificati del 65%, per circa 600 milioni di euro, e ad affrontare il piano industriale triennale 2017-19, «che - ha spiegato Sorato - permetterà alla banca di avere un Cet 1 oltre il 13% e un target per l’utile fissato ad oltre 300 milioni di euro, con un Roe pari alll’8% a fine 2019».

Resta un problema da risolvere: quello della liquidabilità delle azioni. Non sono stati pochi in assemblea gli interventi dei soci azionisti a contestazione non solo della svalutazione delle azioni ma anche dell’impossibilità incontrata nelle filiali di poter vendere, da un anno e mezzo a questa parte, le azioni detenute. «Tutto il mio patrimonio è bloccato», ha detto Annarita Toniollo. «Più di un anno fa ho chiesto il rientro dei miei investimenti senza ricevere nessuna risposta», ha aggiunto Francesco Bagatella; «Ho messo in vendita le azioni, ho avuto la sicurezza di essere liquidato in seguito ad un investimento immobiliare e la banca mi ha fatto un fido, su cui però devo pagare gli interessi», è il caso di Gianfranco Bertollo. «Dal mese di maggio abbiamo pensato di affidare ad un operatore terzo specializzato, ovvero l’Istituto centrale delle banche popolari, lo scambio delle nostre azioni - ha spiegato il direttore generale Sorato -, su una piattaforma di negoziazione dove si svolgeranno aste mensili con una oscillazione del 5% (cumulabile nelle aste fino al 20%)». Una specie di Borsino telematico. Preludio, probabilmente una volta spa, alla Borsa vera e propria.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2015-04-12/pop-vicenza-stringe-veneto-banca-081351.shtml?uuid=ABXoVHOD&cmpid=nl_7%2Boggi_sole24ore_com
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« Risposta #33 inserito:: Maggio 19, 2015, 09:38:12 am »

Regionali Veneto, gaffe e professionisti della Carega: è la patria del trasformismo
Politica
Razzisti, indipendentisti incalliti ovunque, fascisti di ritorno, omofobi in ordine sparso: le liste venete sono un caleidoscopio di facce da bar sport, infarcite di ex e new entry a caccia di promozione.
Tra i quasi 1100 nomi chi voleva usare i mitra con i migranti, l'assessore che "saluta romano" e perfino la cugina di Putin


Di Alessandro Madron | 17 maggio 2015

Gaffeur, trasformisti, vip e amici degli amici. Tra razzisti, indipendentisti incalliti, fascisti di ritorno, omofobi in ordine sparso e professionisti della Carega, in Veneto le liste sono un caleidoscopio di facce da bar sport, infarcite di “ex” in cerca di conferme e new entry a caccia di promozioni. Così scorrere l’elenco dei quasi 1100 nomi dei candidati, divisi in 19 liste, può diventare un’impresa tragicomica.

Tosi e il corso popolare con chi vuole i mitra con i migranti
Il candidato di rottura Flavio Tosi, il sindaco di Verona che si è ribellato a Salvini proponendosi a capo di una coalizione di 6 liste (venetiste ma di osservanza costituzionale, di destra ma moderate), ha imbarcato una marea di suoi fedelissimi. Sindaci, assessori, presidenti di provincia, consiglieri e addirittura un paio di assessori regionali della giunta Zaia che, abbagliati dai fari, hanno scelto di abbandonare il Carroccio.

Nella lista Tosi per il Veneto troviamo candidato niente meno che Daniele Stival, assessore regionale alla Caccia e all’Identità di ferrea fede leghista fino a poche settimane fa. Nel corso della sua carriera politica ha collezionato una serie non indifferente di perle, passando agevolmente dalla bestemmia in aula (udita da molti, ma non dai microfoni istituzionali) alle offese rivolte all’ex ministro Kyenge: sul profilo facebook aveva condiviso un post nel quale si affermava che fosse “vergognoso paragonare un povero animale indifeso come l’orango a un ministro congolese” (salvo poi smentire di condividerne il messaggio). Ma non è tutto: durante una trasmissione di una tv locale ha invitato ad “usare il mitra” contro gli immigrati, senza dimenticare quella volta in cui citò il “teatro Petruzzelli di Napoli”.

Un altro ex assessore (titolare della Cultura nella giunta Galan all’inizio dello scorso decennio) è Ermanno Serrajotto, candidato con Tosi a Treviso. Al suo attivo ha la proposta di spostare a Venezia il festival di Sanremo e una firma in calce alla delibera di acquisto di un affresco del Veronese. Affresco acquistato da un misterioso privato per una cifra superiore ai 200mila euro, sulla cui paternità (e quindi sul suo valore) negli anni successivi è stato sollevato più di un dubbio.

Con Tosi ex Fi, ex Udc, perfino ex Pd
A Treviso Tosi candida anche Maria Gomierato, ex sindaco di Castelfranco, in trattativa fino all’ultimo con la Moretti, e Diego Bottacin, consigliere regionale uscente del Pd che ha lasciato “perché andava troppo a sinistra”. Capolista a Treviso, dopo un lungo tira e molla, è Leonardo Muraro, che resta leghista in Provincia (lui è presidente), ma sfila nelle truppe tosiane per la Regione. A Belluno troviamo il consigliere uscente Matteo Toscani (ex leghista), l’ex segretario provinciale del Carroccio Diego Vello e Daniela Templari, che da assessore provinciale nel 2010 si era autosospesa per via del coinvolgimento del figlio in una questione di droga: un anno dopo, quando chiese il reintegro, le venne negata la poltrona. In provincia di Venezia si candida con Tosi anche Francesco Piccolo, consigliere uscente ex Forza Italia. A conferma delle ambizioni di Tosi è da segnalare la presenza in lista di Luciano Finesso, nel direttivo nazionale dell’associazione Democrazia Cristiana. Infine il sindaco s’è portato dietro mezza amministrazione: c’è il vicesindaco Stefano Casali, l’assessore Luigi Pisa, le consigliere Antonia Pavesi e Barbara Tosi, che con il fratello-primo cittadino condivide anche la condanna definitiva a due mesi per aver propagandato idee razziste contro Rom e Sinti.

Razza Piave e il consigliere che incontrò Karadzic
Tra le liste che sostengono Tosi non ne manca una di ispirazione apertamente indipendentista: Razza Piave-Veneto Stato, un nome un programma. Tra i candidati di questa lista anche Luciano Fior, una delle anime del movimento Noi Veneto Indipendente. Nella lista Unione Nord Est c’è invece Adriano Bertaso, leghista delle origini che, nelle vesti di consigliere regionale, incontrò nientemeno che Radovan Karadzic, leader serbo-bosniaco poi ricercato dal 1996 per crimini di guerra dal tribunale penale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia. Immortalato in una foto pubblicata da Sette che nel 1997 costrinse la Liga Veneta a prendere pubblicamente le distanze da Bertaso.

Con Zaia la cugina di Putin e l’assessore che saluta romano
Se Tosi ha fatto il pieno di leghisti, non badando troppo ai loro trascorsi, alla corte di Luca Zaia le cose non vanno molto diversamente. Tra le liste di sostegno al governatore uscente, la più prolifica sembra essere quella di Fratelli d’Italia. Partendo da Venezia, il primo nome in cui ci si imbatte è quello di Raffaele Speranzon che nel 2011 da assessore provinciale alla Cultura mise al bando dalle biblioteche le opere dei letterati che nel 2004 firmarono l’appello per la scarcerazione di Cesare Battisti, chiedendo di ritirare le loro opere dagli scaffali e di non promuoverne la presentazione.

Adelina Putin. Il compagno di lista Nicola Boscolo Pecchie nel 2010 è passato agli onori delle cronache per aver proposto, quando era assessore alla Cultura di Chioggia, di apporre una lapide in ricordo dei gerarchi fascisti Gennaro Boscolo Marchi e Mario Manlio nel luogo in cui i due furono impiccati il 22 maggio del 1945. In provincia di Vicenza Adelina Luigia Putin, che vanta parentele con il più noto Vladimir: “Amo questo cognome – ha dichiarato – in Italia ci vorrebbero sette Vladimir” e si fa ritrarre mentre imbraccia un fucile di precisione.

Veneto - Raffaele Zanon Ma non è sola in lista, con lei c’è l’ormai noto sindaco Joe Formaggio che con tempismo veneto ha emanato un’ordinanza anti-rom a due mesi dalle elezioni regionali in cui sarebbe stato candidato. In quel di Padova c’è Raffaele Zanon, l’ex assessore regionale protagonista di un noto spot omofobo pubblicato nel 2013 si era già fatto pizzicare ad una cena fascistissima, mentre se ne stava con le mani in tasca accanto ad un gruppo di amici intenti fare un saluto fascista davanti ad una croce celtica.

Il candidato Zaia: “Tosiani? Se li vedo li prendo a calci in bocca”
Anche le altre liste che sostengono Zaia non hanno voluto farsi mancare nulla. Un pieno di sindaci, assessori e consiglieri comunali e provinciali in cerca di una ribalta regionale. Tra i tanti candidati si è distinto ad esempio Fulvio Pettenà che nei giorni della rottura con Tosi ha sconsigliato pubblicamente al sindaco scissionista e alla sua compagna, la senatrice Patrizia Bisinella, di palesarsi a Treviso: “Se li vedo li prendo a calci in bocca”. In provincia di Padova, invece, è il vulcanico Roberto Marcato a prendersi la scena, dall’invito ad “evadere di più” al consiglio rivolto ai padovani di non accogliere profughi perché “se avrete problemi vi arrangiate” per arrivare alla “militarizzazione della città”.

Il sindaco di Cittadella e i lager
Il sindaco di Cittadella Giuseppe Pan, degno erede di Massimo Bitonci, rischia di fargli ombra. Un cittadino su Facebook lo invitava ad agire contro gli accampamenti abusivi di Rom lungo il Brenta e Pan non ha tardato a rispondere: “Sono sempre gli stessi rom che continuamente sgombriamo. Non hanno una dimora e vagano disseminandosi nel territorio. Visto che i lager non ci sono e tanto meno i campi rom, se vuoi provare tu!”. Attaccato dalle opposizioni si è difeso nel più classico dei modi: “Travisate le mie parole”.

Lo “spot” del vescovo alla candidata leghista
La Lista Zaia ha fatto parlare nelle ultime ore per via di una email inviata da don Domenico Consolini, direttore dell’ufficio scuole della curia di Verona, a tutti gli insegnanti di religione della diocesi. Allegata alla missiva elettronica una lettera del vescovo scaligero Giuseppe Zenti nella quale si elogiava il programma e l’operato di Monica Lavarini e si invitava a diffondere l’informazione. Poi un mezzo passo indietro dei prelati, che si professano “al di sopra delle parti”. Per restare in area popolare nella lista Zaia Presidente c’è anche Stefano Valdegamberi, eletto nel 2010 con l’Udc. Ex tasiano, cattolico integralista, che ha scelto la via di Zaia è anche il consigliere comunale veronese Alberto Zelger. Nei mesi passati si è distinto per prese di posizione intransigenti sui temi dell’omosessualità ma non solo: durante un dibattito, racconta il Corriere Veneto, assicurò che il cervello delle donne è “diverso da quello degli uomini”, d’altra parte – ha spiegato poi – “basta leggere gli studi scientifici e guardare come parcheggiano le auto“.

Le “candidature imbarazzanti” della Moretti
Spazio a qualche funambolo della politica anche tra le liste che sostengono Alessandra Moretti. Nel firmamento democratico c’è una stella che brilla più di tutte, è quella della lista Progetto Veneto Autonomo che ha portato alla corte della candidata renziana una schiera di candidati che non sembrano aderire all’ortodossia classica del Pd. Su tutti Santino Bozza, ex consigliere regionale leghista (espulso nel 2013), convinto che gli omosessuali sono “sbullonati” che “non devono farsi vedere in giro“. Con lui c’è anche Gianluca Panto, che nel 2010 è stato candidato presidente con il Partito Nasional Veneto, poi confluito in Veneto Stato. Altro leader autonomista nel listone morettiano è Bortolino “Bobo” Sarotre a cui si riconoscono posizioni contrarie alle unioni civili e al riconoscimento della famiglia anagrafica (sostenuta invece dal Pd): “Non sarà che vogliono annientare la famiglia tradizionale svuotandola di significato dall’interno?”.

Indipendentisti die hard
Tra le fila di Indipendenza Veneta spiccano invece i nomi di Fabio Padovan e Lucio Chiavegato. Il primo è il fondatore della LiFe, il movimento degli imprenditori federalisti che si battono contro l’oppressione fiscale, è stato in Parlamento con la Lega Nord dal 1992 al 1994. L’amore per il Carroccio è finito quando la Lega di Bossi ha preso le distanze dai Serenissimi che lui, al contrario, ha sempre sostenuto (anche economicamente) definendoli degli “eroi” . Da allora è sempre stato un uomo d’azione, pronto a scendere in piazza anche a rischio di prenderle (come nel 1997, quando la manifestazione davanti al tribunale di Venezia contro il processo agli otto Serenissimi finì a botte, sassate e lacrimogeni tra autonomisti, autonomi e polizia). Il suo animo barricadiero, anticasta e antiromano non gli ha impedito però di schierarsi contro il taglio ai vitalizi, che ha spiegato dicendo di essere “contro alla riforma delle pensioni”. Da imprenditore Padovan viene ricordato per due episodi: il regalo di 500 euro a testa ai suoi 150 dipendenti in occasione del suo matrimonio e il viaggio con i dipendenti a Medjugorje, per scongiurare una crisi che poi non lo ha risparmiato.

Lucio Chiavegato è l’altro nome forte del sodalizio autonomista. In prima fila con il movimento dei Forconi che ha paralizzato il Veneto nel 2013, Chiavegato si è fatto sentire parecchio negli ultimi anni, il suo nome figurava anche tra i 24 arrestati su mandato della procura di Brescia nell’inchiesta sul presunto terrorismo armato veneto.

Di Alessandro Madron | 17 maggio 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/17/regionali-veneto-gaffe-e-professionisti-della-carega-e-qui-la-patria-del-trasformismo/1690551/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2015-05-17
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« Risposta #34 inserito:: Agosto 09, 2015, 11:00:02 am »

LO STABILIMENTO NEL VENETO
Electrolux e il tabù di Ferragosto Disposti a lavorare solo pochi operai
Il gruppo svedese ha chiesto di tenere aperta la produzione anche sabato 15 agosto per soddisfare la domanda di frigoriferi. Sindacati contrari: «Si assumano persone»

Di Fausta Chiesa

Ferragosto, lavoro mio non ti conosco. Rinunciare al giorno di vacanza per antonomasia in Italia è difficile. Almeno così sembra se si guarda al caso della Electrolux di Susegana, in provincia di Treviso. Sarebbero appena una quarantina i lavoratori dello stabilimento (in tutto sono 1.100) disposti a lavorare il 15 agosto, che per di più quest’anno di sabato. Va detto che il 15 agosto sarebbe per altro l’unico sabato non lavorativo del mese, perché per gli altri è già stata raggiunta un’intesa nelle scorse settimane con le organizzazioni sindacali. La Rsu ha confermato la propria contrarietà. Eppure, i vantaggi - economici - non sono da poco. Per chi vorrà trascorrere il Ferragosto in fabbrica è prevista una maggiorazione del 75%, un po’ meno del 50% di maggiorazione più 2 euro concordati con il sindacato per i 6 sabati lavorativi fissati.

I sindacati chiedono, invece, nuove assunzioni per far fronte alle aumentate esigenze produttive. «E’ lapalissiano che più straordinari facciamo, meno occupazione creiamo - aveva detto già a inizio agosto Augustin Breda della Rsu di Electrolux Susegana -. Dunque, se la ripresa è strutturale, allora si aprano nuove linee di produzione e si assumano persone». Quest’anno Susegana raggiungerà gli 830 mila pezzi, mentre un anno fa la produzione si era fermata sotto le 750 mila unità.

La maggiore produzione con gli straordinari servirebbe a soddisfare la domanda aggiuntiva e raggiungere anche l’obiettivo degli 830mila frigoriferi prodotti nel 2015. Per far fronte al fabbisogno di Ferragosto servono tra i 100 e i 130 volontari e questo per produrre 450 pezzi circa. I numero di addetti così raccolto non basterebbe a ottenere il quantitativo di produzione. Il gruppo svedese non demorde. La verifica sulle disponibilità si sarebbe estesa ai lavoratori assenti per ferie per valutare una loro accettazione di un rientro anticipato al 15 agosto anziché il lunedì successivo. La decisione sull’attivazione delle linee a Ferragosto sarà assunta solo al termine di quest’ultima ricognizione.

5 agosto 2015 (modifica il 5 agosto 2015 | 13:51)
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Da - http://www.corriere.it/economia/15_agosto_05/electrolux-tabu-ferragosto-disposti-lavorare-solo-pochi-operai-0396d20a-3b62-11e5-b627-a24a3fa96566.shtml
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« Risposta #35 inserito:: Settembre 14, 2015, 11:03:12 am »

"Sono islamici, via dalla canonica": i fedeli fermano il prete pro-rifugiati
Nel Vicentino l'assemblea dei parrocchiani boccia l'ospitalità.
Il sacerdote: "Sommerso da urla da stadio, ma io non mi arrendo"


Di JENNER MELETTI
08 settembre 2015
   
VALLE DI CASTELGOMBERTO (VICENZA). Gli pesa ancora sul cuore, quell'"assemblea avvelenata ". "Non me l'aspettavo proprio. Volevamo ospitare sei, al massimo dieci profughi in una canonica abbandonata da anni. Ne abbiamo discusso in assemblea, nella chiesa di Santa Cecilia. Quasi tutti hanno detto no. "'Mio nonno ha costruito quella canonica per i preti, non per i musulmani"', ha gridato uno di loro". Don Lucio Mozzo, 63 anni, parroco di Valle e di Trissino, è ancora scosso. Una chiesa così piena -  250 persone -  la vede solo a Natale. Anche mercoledì sera era colma ma quando una ragazza ha mostrato la sua maglietta con la scritta "Chi ha paura muore tutti i giorni..." e ha detto che lei i migranti li avrebbe accolti, "subito si sono alzati -  racconta il parroco -  i buu e le urla, come allo stadio". "Per fortuna, domenica dopo pranzo, mi è arrivato il primo messaggino. "Don Lucio, il Papa la pensa come te". Spero che con l'aiuto di Francesco le cose cambino. Ma ho i miei dubbi".

Boschi e annunci di sagre, nel paese di Valle, 1.200 abitanti. La canonica è grande, perché ospitava non solo parroco e perpetua ma aveva anche stanze per i missionari. "L'edificio ci è stato chiesto -  racconta don Lucio Mozzo -  dall'associazione Giovanni XXIII, quella fondata da don Oreste Benzi, per ospitare migranti in attesa di esame, soprattutto donne e bambini. Non abbiamo voluto decidere solo noi, come Consiglio pastorale. Ci sembrava giusto ascoltare il parere dei fedeli che dovranno convivere con quelle persone. Ma il confronto è stato quasi impossibile. Io ho detto che il cristiano, di fronte a chi ha bisogno, non può guardare da un'altra parte. Non può dire soltanto "prima i nostri", come annunciano i nostri sindaci. "Prima i nostri" può andare bene ma non può significare "nulla per gli altri". Onestamente, quelli della Giovanni XXIII hanno spiegato che donne e bimbi sarebbero stati la maggioranza, ma non potevano escludere la presenza di uomini. E allora tanti si sono messi a protestare. "Fate finta di consultarci e invece avete già deciso. La canonica sta fra la scuola elementare e il parco giochi dei bambini. I nostri piccoli non potranno più uscire di casa". Non si è votato, naturalmente, ma almeno l'80% dei miei parrocchiani ha detto no".

Non è finita. Domani sera si riunirà il consiglio pastorale, nella parrocchia di Trissino. Quelli di Valle stanno organizzandosi per andare a protestare. "Guardiamo la televisione anche qui -  raccontano Gigi Poletto dell'osteria "El punaro” -  e assieme a lui Romina, Davide, Francesco, Benni -  e sappiamo cosa succede quando arrivano questi profughi. Gli extracomunitari sono qui da vent'anni, ci sono serbi e cinesi, brasiliani, sudamericani... Ci sono bambini di 12 nazionalità, a giocare nel parco. Basta un adulto per sorvegliare tutto. Non c'è mai stato razzismo, in paese. Ma questi stranieri si sono integrati qui con umiltà, non ci sono stati imposti. Dietro di loro ci sono quelli che fanno business sulla loro pelle. In assemblea ci hanno anche detto che se non prendiamo questo piccolo gruppo magari la prefettura requisisce un hotel o delle case e ce ne manda cinquanta. Questa è una vera minaccia".

Il vescovo di Vicenza, monsignor Beniamino Pizziol, ospita già 4 migranti nel palazzo vescovile. A febbraio ha lanciato un appello perché i 22 vicariati che guidano le 355 parrocchie della diocesi ospitino "almeno una famiglia ". Non solo alloggio, ma anche assistenza continua di volontari esperti. Finora hanno risposto 7 vicariati. "Siamo rincuorati -  dice oggi -  dall'appello del Papa. E chiediamo che anche le parrocchie possano dare una risposta positiva. Possono essere comprensibili timori e titubanze ma non possiamo permettere che il cristiano ceda alla paura".

Don Lucio Mozzo sta pensando al Consiglio di domani sera. "Dopo quell'assemblea velenosa, speriamo di poter discutere non con la pancia ma con intelligenza, cuore e fede. Ma c'è un punto fermo: un cristiano non può chiudere la porta a chi ha bisogno. Lo spiegheremo anche a quelli che, fedeli o no, verranno a contestarci da Valle. Forse il nonno che ha costruito la canonica non pensava davvero che sarebbe stata usata da musulmani, ma certamente oggi obbedirebbe al Papa". Davanti alla chiesa di Trissino c'è un monumento in bronzo "All'Emigrante". "La speranza sia sempre più forte della paura", c'è scritto. Sembra un appello di papa Francesco: la firma è quella di Tacito.

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08 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/cronaca/2015/09/08/news/_sono_islamici_via_dalla_canonica_i_fedeli_fermano_il_prete_pro-rifugiati-122423061/?ref=HREC1-1
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« Risposta #36 inserito:: Settembre 23, 2015, 04:05:38 pm »

Perquisizioni nella Banca Popolare di Vicenza, indagato presidente Zonin
L'operazione scattata dopo che, nelle settimane scorse, erano giunti in Procura esposti da parte di correntisti. Indagato anche l'ex direttore generale dell'istituto Samuele Sorato. L'accusa è di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza

22 settembre 2015

ROMA - Aggiotaggio e ostacolo alle funzioni dell'autorità di vigilanza. Sono questi i reati ipotizzati dalla Procura di Vicenza che ha avviato un'inchiesta che chiama in causa alcuni esponenti di vertice del gruppo Banca popolare di Vicenza. Per questo, gli inquirenti hanno delegato la guardia di finanza ad eseguire una serie di perquisizioni nei confronti delle persone sottoposte ad indagine e di altri non indagati. Le fiamme gialle hanno svolto verifiche anche sul presidente dell'istituto di credito, Giovanni Zonin, e sull'ex direttore generale dell'istituto Samuele Sorato. Nell'ambito dell'inchiesta sarebbero coinvolte altre sei persone.

Le indagini sulla Banca popolare di Vicenza sono seguite dal pm Luigi Salvadori e dal procuratore capo Antonino Cappelleri. Gli accertamenti sono invece condotti dai militari del nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di finanza di Roma e dalla tributaria di Vicenza. Le perquisizioni disposte dall'autorità giudiziaria riguardano oltre alla sede amministrativa e legale di Vicenza dell'istituto di credito anche gli uffici direzionali di Milano, Roma e Palermo.

Gli inquirenti, in una nota firmata dal procuratore Cappelleri, sottolineano come "l'obbligo del segreto istruttorio deve tutelare ogni portatore di legittimi interessi anche contrapposti tra loro presenti nel contesto". In ogni caso gli atti d'indagine sono ritenuti indispensabili - si aggiunge - "nell'ambito della più complessa acquisizione istruttoria, per rendere compiuta la necessaria e doverosa ricerca di elementi probatori documentali, intesa sia nell'accertamento e riscontro degli elementi di fatto sia all'attribuzione delle responsabilità soggettive".

E, sempre in una nota, la Banca ha fatto sapere che c'è "piena collaborazione da parte della dirigenza e del personale della Banca Popolare di Vicenza ai nuclei di polizia giudiziaria della guardia di finanza che hanno svolto perquisizioni presso la sede centrale della Banca a Vicenza e negli uffici direzionali di Milano, Roma e Palermo".

Tempi duri. La Banca, negli ultimi mesi, ha affrontato un periodo non semplice, complice la necessità di trasformarsi in Spa dopo il decreto sulle popolari varato dal governo Renzi, il taglio del valore delle azioni da 62,5 a 48 euro, che ha fatto infuriare molti azionisti, il rosso da oltre 1 miliardo di euro registrato nel primo semestre del 2015 e la necessità, dopo un'ispezione della Bce, di iscrivere a riserva indisponibile 611,6 milioni di euro perchè erano stati erogati ai soci finanziamenti per 974,9 milioni per acquistare o sottoscrivere azioni.

Nelle ultime settimane, ad appesantire ulteriormente il clima, lo scontro a distanza tra l'ex dg e ad, Samuele Sorato, uscito dall'istituto a luglio, e Gianni Zonin, storico presidente, in sella da 19 anni. La banca, nel frattempo, si è affidata a Francesco Iorio, che oggi pomeriggio presiederà un comitato esecutivo, e che sta lavorando al nuovo piano 2015-2020 dell'istituto e all'aumento di capitale da 1,5 miliardi. Proprio ieri la Popolare di Vicenza aveva annunciato di aver firmato con Unicredit un accordo sulla garanzia dell'aumento, che vedrà un consorzio di collocamento con 5 joint global coordinator: BNP Paribas, Deutsche Bank AG, London Branch, J.P. Morgan, Mediobanca e la stessa UniCredit. "I due passaggi sopra descritti costituiscono importanti conferme dell'interesse del mercato per il piano di rilancio varato dalla Banca, che andrà ulteriormente a rafforzarsi e qualificarsi con l'approvazione, prevista entro il mese di settembre, del nuovo piano industriale", aveva spiegato l'istituto di credito.

L'inchiesta. Azioni della banca acquistate tramite finanziamenti, per 975 milioni di euro, erogati agli azionisti dallo stesso istituto di credito, in misura tale da costituire violazione delle norme del diritto bancario: è questo il filone principale dell'inchiesta della magistratura sulla Banca Popolare di Vicenza (117mila soci), che fa seguito ad un'ispezione compiuta dalla Bce. La banca avrebbe, dunque, finanziato - secondo l'ipotesi investigativa - un quarto del suo stesso capitale azionario (circa 4 miliardi di euro), superando i limiti consentiti. L'indagine della magistratura riguarda anche una sovrastima del prezzo delle azioni della Banca, che ha determinato numerose proteste degli azionisti, e che nell'ultima semestrale, avrebbe indotto i vertici a svalutare i crediti considerati deteriorati.

Codacons annuncia class action. Il Codacons depositerà formale richiesta di costituzione di parte offesa nell'inchiesta aperta dalla Procura della Repubblica di Vicenza.  "Abbiamo deciso di entrare nel procedimento aperto dalla Procura in rappresentanza della collettività e dei clienti della banca - spiega il presidente Carlo Rienzi - e se dalle indagini emergeranno illeciti e violazioni delle norme, avvieremo una class action da parte di azionisti e correntisti dell'istituto di credito volta ad ottenere il risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti, anche nei confronti delle autorità di vigilanza per l'omesso controllo".

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22 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/cronaca/2015/09/22/news/perquisizioni_nella_banca_popolare_di_vicenza_indagato_presidente_zonin-123406247/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_22-09-2015
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« Risposta #37 inserito:: Marzo 28, 2016, 07:35:12 pm »

BpVi, i compensi dei vertici nell'anno 2015

Non conoscono crisi i compensi incassati dal vertice della Popolare di Vicenza nel 2015, esercizio chiuso con una perdita di 1,4 miliardi e che ha visto il crollo del valore delle azioni di circa 119 mila soci. L’amministratore delegato, Francesco Iorio, in carica dallo scorso 1 giugno, ha ricevuto 2,678 milioni di euro, di cui 1,8 milioni come bonus d’ingresso una tantum. Il vice direttore generale, Jacopo De Francisco, in carica dal 22 giugno 2015, ha percepito 1,02 milioni di euro, di cui 700 mila come bonus d’ingresso una tantum. L’ex presidente Gianni Zonin ha incassato 1,01 milioni. Complessivamente - emerge dalla relazione sulla remunerazione - la banca ha pagato 2,675 milioni di euro di bonus d’ingresso una tantum a sei dirigenti, inclusi Iorio e De Francisco, e 5,2 milioni di euro di buonuscita a cinque ex dirigenti. La più consistente, pari a 4 milioni di euro, è stata riconosciuta all’ex amministratore delegato, Samuele Sorato, che ne ha incassati già due e incasserà gli altri due con differimento triennale. Per l’ex a.d, indagato con Zonin per ostacolo all’attività di vigilanza e aggiotaggio, il compenso complessivo del 2015 (si è dimesso il 12 maggio) è stato di 4,6 milioni. La banca «si è riservata di agire per il recupero» di 4,81 milioni di buonuscite, corrisposte oltre che a Sorato anche agli ex vice direttori generali Emanuele Giustini e Andrea Piazzetta, anche loro sotto indagine. Tra gli emolumenti spiccano quelli dello storico, vicepresidente e braccio destro di Zonin, Marino Breganze (404 mila euro), e dell’ex ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio (294 mila). Il presidente del collegio sindacale, Giovanni Zamberlan, da moltissimi anni alla guida dell’organo di controllo della banca, ha percepito 180 mila euro. Il nuovo presidente, Stefano Dolcetta, per il periodo che va dal 23 novembre a fine 2015, ha ricevuto poco meno di 120 mila euro.

Da - http://www.ilgiornaledivicenza.it/home/economia/bpvi-i-compensi-dei-vertici-nell-anno-2015-1.4744719
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« Risposta #38 inserito:: Giugno 03, 2016, 12:26:30 pm »

Il Cda azzera le azioni: valgono tra 10 e 50 cents.
Bruciati 5 miliardi dei soci di Veneto Banca
Vip, imprenditori e società: la mappa del capitale sparito comune per comune

 
ANSA

31/05/2016
Gianluca Paolucci, Raphaël Zanotti

Avevano in mano cinque miliardi di euro e adesso si trovano con poco più di niente. Sono gli 87.502 soci di Veneto Banca. Ieri sera il Cda che ha fissato la forchetta di prezzo in vista della quotazione: tra 10 e 50 centesimi. I soci hanno così visto le proprie azioni pagate fino a 40,75 euro precipitare a un valore di pochi centesimi. Un disastro finanziario molto democratico: ha coinvolto grandi e piccoli imprenditori, giovani pensionati, politici ed enti caritatevoli, piccole imprese artigiane e grandi banche americane. Per l’88% si tratta persone fisiche con un’età media di 60 anni. Il resto sono aziende. Risparmi di una vita di lavoro o patrimoni familiari, poco cambia: quei soldi non ci sono più. 
 
L’epicentro è ovviamente in Veneto: 2,8 miliardi di ricchezza svanita. Ma guardando la mappa* si può vedere che la ricchezza svanita colpisce tutta Italia. Dai 575 milioni del Piemonte ai poco più di 200mila euro della Valle d’Aosta. Merito di una campagna di acquisizioni che per quasi venti anni, sotto la guida dell’ex padre-padrone Vincenzo Consoli, ha trasformato la piccola popolare di Asolo e Montebelluna nella decima banca italiana. E da ieri, ufficialmente, nell’ennesimo caso di fiducia tradita tra italiani e banche.
 
 
Mettendo insieme Veneto Banca con quanto accaduto alla «vicina» Banca Popolare di Vicenza il quadro è ancora più sconvolgente: almeno 210 soci coinvolti e circa 11 miliardi di euro di ricchezza scomparsa. Due casi vicini e non solo geograficamente. Due banche popolari non quotate, che per anni hanno gonfiato a tavolino il valore delle proprie azioni, vendute allo sportello come prodotti «sicuri» e al riparo delle tempeste della finanza globale. Com’è stato possibile tutto questo e a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro prova a spiegarlo il sociologo Daniele Marini. «Erano le ultime banche di territorio, il controllo era rimasto in mani locali malgrado la crescita dimensionale. I veneti si considerano diversi, adesso abbiamo scoperto che questa diversità non c’era». Marini, che insegna all’Università di Padova e nelle sue ricerche si è concentrato proprio sul «modello Nord Est», sottolinea anche un altro aspetto: «Questa volta non si possono addossare le colpe alla politica, ma va messa in discussione la classe dirigente locale in senso lato». E in effetti nei consigli d’amministrazione c’erano industriali e associazioni di categoria, notabili locali e professori. 
 
LEGGI ANCHE - Suore, monaci e parrocchie: in fumo anche i soldi dell’8 per mille 
 
E, molto democraticamente, a rimanerci incastrati sono stati tutti. Renè Caovilla, lo stilista che con le sue scarpe fa sognare le donne di tutto il mondo, ha perso 7,5 milioni. Senza contare quelli dei familiari e i 18 persi con la Popolare di Vicenza. Due storie che continuano a incrociarsi. La Società italiana accumulatori di Avezzano, provincia de L’Aquila, oltre 2 milioni di euro investiti in azioni Veneto Banca, fa parte del gruppo Fiamm, guidato da Stefano Dolcetta che è anche presidente della Popolare di Vicenza. Poi c’è la famiglia Beretta, quella dei salumi. O la Argo finanziaria, cassaforte del gruppo Gavio, un colosso tra autostrade, grandi lavori e logistica. Hanno azioni che al prezzo massimo valevano quasi 25 milioni di euro. 
 
LEGGI ANCHE - L’istituto per il clero: “Non riusciremo a pagare i sacerdoti” 
 
Ci sono anche i vip. Come Silvio Berlusconi, 29.700 azioni che valevano oltre 1,1 milioni di euro e adesso non valgono più niente. O Bruno Vespa che ha perso anche lui circa un milione contando anche le azioni dei suoi due figli. Il suo caso è un po’ diverso. Legato all’ex ad Consoli (le rispettive mogli socie in una masseria in Puglia) nel 2013 riesce a vendere la parte più consistente delle sue azioni e incassa otto milioni di euro. Storia nota. All’altro socio della masseria pugliese, il dentista padovano Paolo Rossi Chauvenet, è andata peggio. Tra lui e familiari hanno visto sparire circa 2,5 milioni. 
 
Accanto a loro, fanno meno rumore ma molti danni le poche migliaia di euro di un piccolo supermercato in provincia di Perugia, i 200 mila euro di un’azienda agricola nell’Alessandrino. O ancora i 12 milioni di una famiglia d’imprenditori di San Nicola La Strada, provincia di Caserta. Ancora Marini: «Le ricadute di questa storia si faranno sentire ancora a lungo non sui grandi, ma su piccoli imprenditori, artigiani, famiglie che avevano investito i risparmi». E si faranno sentire soprattutto in Veneto, dove le due crisi bancarie hanno il proprio epicentro. La provincia di Treviso ha visto sparire 1,6 miliardi di euro. In classifica è seguita da Vicenza con oltre 500 milioni. Il comune più colpito da questo terremoto è invece Montebelluna, dove la banca ha la sua sede: 31 mila abitanti e 334,5 milioni di euro che non ci sono più. Fanno 10.800 euro a testa. Risparmi rasi al suolo e fiducia da ricostruire. 
 
* Nota metodologica 
La mappa è stata creata utilizzando l’elenco degli 87.502 azionisti di Veneto Banca con il numero di azioni di ciascun socio. Per ricavare la ricchezza perduta è stato calcolato il valore massimo raggiunto dalle azioni (40,75 euro) ed è stato sottratto il valore odierno delle azioni (10 centesimi). 
 
 
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/05/31/economia/il-cda-azzera-le-azioni-cos-sono-stati-bruciati-cinque-miliardi-dei-soci-di-veneto-banca-TOvidU8D6Jz1dgNon8YrfI/pagina.html
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« Risposta #39 inserito:: Luglio 30, 2017, 05:44:00 pm »

Bossi: “Maroni candidato premier. Salvini non tocchi la parola Nord”
Il Senatùr: “L’unica alleanza è con Berlusconi, i grillini non sono seri. Se Matteo cambia il simbolo tradisce un progetto politico”
Pubblicato il 30/07/2017 - Ultima modifica il 30/07/2017 alle ore 07:36

ALBERTO MATTIOLI
INVIATO A CERVIA (RAVENNA)

Per due giorni, la capitale estiva della Lega è «l’altra» Milano: Milano Marittima. Alla festa della Lega romagnola, in piazza, nel capoluogo Cervia, sono attesi tutti i papaveri del partito, compresi il leader attuale, Matteo Salvini, che ci ha comiziato ieri sera, e quello storico, Umberto Bossi, che parlerà stasera. Bossi anticipa quel che dirà in questa intervista, la prima dopo la condanna in primo grado per la vicenda del «cerchio magico». «Ma ci piacerebbe parlare di politica», fanno sapere dall’entourage del Senatur. 
 
Va benissimo. Bossi, allora, in tutto questo tira e molla sulle alleanze in vista delle elezioni, con chi dovrebbe farla la Lega? 
«Io credo che la Lega debba ripartire dall’alleanza con Berlusconi. Per una ragione molto semplice: anche se ha avuto i suoi problemi, Berlusconi è comunque un uomo che mantiene la parola. E se vogliamo vincere le elezioni e governare, l’accordo lo dobbiamo fare con qualcuno di cui ci possiamo fidare. Non si può certo pensare di mettersi insieme con i Cinque Stelle, che non sono seri. Quindi l’unica coalizione che può davvero vincere passa dall’accordo fra la Lega e Berlusconi».
 
Cita sempre Berlusconi e mai Forza Italia. 
«Infatti. Io parlo di Berlusconi».
 
L’alleanza, però, ha bisogno di un candidato premier. Di nomi appunto Berlusconi ne ha fatti molti, e l’ultimo è quello di Maroni. Che ne pensa? 
«Penso che in questo momento Maroni abbia una responsabilità enorme, che è quella di portare a casa l’autonomia della Lombardia al referendum del 22 ottobre. Vinto quello, tutto diventa possibile».
 
Quindi Maroni candidato primo ministro le andrebbe bene? 
«Sì, potrebbe andare bene».
 
Altro nome di cui si parla molto in questi giorni è quello di Giovanni Toti, che del resto di tutti gli uomini di Forza Italia è il più vicino alla Lega... 
«È una brava persona ma al momento non penso che abbia le spalle abbastanza larghe per fare il candidato premier».
 
Altro problema: i confini della coalizione. Alfano lo riporterebbe dentro? 
«Secondo me, lo ripeto, l’asse della coalizione è l’accordo fra Lega e Berlusconi. Alfano non è un problema nostro, è un problema di Berlusconi. La scelta di riprenderlo con sé deve farla lui. Noi non c’entriamo».
 
C’è anche l’ex sindaco di Verona ed ex leghista Flavio Tosi, che Berlusconi, pare, sta cercando di arruolare. Crede che per la Lega sarebbe accettabile? 
«Sappiamo tutti com’è stato sbattuto fuori. Ma se è stato sbattuto fuori così lui, allora chissà quanta gente avremmo dovuto cacciare dalla Lega. Per me, non sarebbe un problema se entrasse nell’eventuale coalizione. Anche perché in ogni caso ci sono stati dei momenti in cui una figura come la sua è mancata».
 
Lei continua a parlare di coalizione. Alla fine con quale legge elettorale crede che si andrà a votare? 
«Credo che alla fine ci si metterà d’accordo, magari all’ultimo momento, su una legge elettorale maggioritaria. Con un premio alla coalizione, appunto».
 
In questi giorni girano dentro la Lega dei simboli dove sparisce la parola «Nord». Il partito smentisce che si voglia toglierla, però sembra assodato che la questione settentrionale non sia più la priorità. Immagino che non sia d’accordo. 
«Cancellare la parola Nord dal nome e dal simbolo della Lega significherebbe tradire un progetto politico. Sono convinto che la questione settentrionale esista sempre e sia tuttora attuale per la Lega e per la nostra gente. Così attuale che l’obiettivo immediato dev’essere la vittoria al referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto».
 
Dentro la Lega, lei è ormai all’opposizione. In sintesi, cosa rimprovera a Matteo Salvini? 
«Per il momento nulla, perché la Lega in questo momento ha bisogno di essere compatta per portare a casa il risultato del referendum. Una volta vinto il referendum, parleremo di quello che non va».
 
Ultima domanda. Dopo le ultime vicende giudiziarie, è pentito di essersi fidato di Belsito? 
«Sì».

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Da - http://www.lastampa.it/2017/07/30/italia/cronache/bossi-maroni-candidato-premier-salvini-non-tocchi-la-parola-nord-LnYL4ZMQf3TT8cjMjIXsBI/pagina.html
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« Risposta #40 inserito:: Novembre 19, 2017, 08:38:49 am »

DIBATTITO SULL'INDIPENDENTISMO

Ma il popolo veneto esiste?
Storici e intellettuali a confronto


Grande Stato o piccola patria? Colpevole bluff o errore tecnico? In piena bufera sul referendum on - line di Plebiscito.eu per l’indipendenza del Veneto - 2 milioni di voti secondo i promotori, 100mila per le società che certificano i flussi web - forse l’unico interlocutore credibile si chiama Giambattista Vico (1668 - 1744). La sua teoria dei corsi e ricorsi storici, seppure secolare, è utile a diradare il caos che si è creato. In sintesi: alcuni accadimenti si ripetono con le medesime modalità anche a distanza di tanto tempo e ciò avviene non per puro caso ma in base ad un preciso disegno della divina provvidenza. Così dalla Repubblica veneta dei desideri alla Catalogna passando per il Kosovo e la Scozia sino alla Crimea, probabilmente, alla resa dei conti è una «logica superiore» che s’impone. Eppure c’è un quesito cruciale finora senza risposta: ma quello veneto è un popolo? Di più. Se sì, ha diritto all’autodeterminazione? In mezzo, le ragioni della Costituzione, della storia, della politica, dell’economia. Gianluca Busato, promotore del Comitato del Sì al referendum, il sindaco democratico di Silea Silvano Piazza e il factotum dell’indipendentismo, già leader della Liga Veneta Franco Rocchetta, ci giurano sopra, ne sono fermamente convinti: quello veneto è un popolo e ha diritto all’indipendenza».

Proprio Rocchetta non accetta i luoghi comuni e rilancia con un’analisi che affonda le radici nella storia delle autonomie: «Ho visto molti infantilismi nell’approccio all’iniziativa di Plebiscito.eu. Il Veneto è contemporaneamente un popolo, una nazione e uno stato. Il Veneto non è Italia così come il Portogallo non è Spagna, la Lituania non è Estonia. Io ad esempio ho seguito la genesi di molte Repubbliche dell’ex Europa orientale sin dai tempi della Guerra fredda. Sono storie di orgoglio e riscatto, fenomeni complessi che hanno un’incubazione di anni. Per questo, - argomenta Rocchetta - mi rendo conto che i simulacri della statualità non possono essere costruiti con la stampante 3D. Per noi, la Repubblica di Venezia è tutt’altro che finita nel 1797. Oggi non ci collochiamo né a destra né a sinistra di nessuno, non siamo un partito ma dialoghiamo con tutti. I segnali sono incoraggianti, - insiste Rocchetta - mi pare di vedere una consapevolezza nuova nei cittadini veneti. Fino all’altro ieri non si sapeva niente di storia veneta, ci parlavano sempre e solo del Risorgimento e mai di Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, del loro modello di stato, di società, di sistema economico. Le lacune dei veneti sono grandi - riflette Rocchetta - cinquanta anni dopo la Serenissima, il 22 marzo 1848 fu proclamata ufficialmente in piazza San Marco la Repubblica Veneta, anche questo un capitolo poco noto. Recuperare quello spirito, quello slancio, quegli obiettivi, è una scommessa per il futuro del Veneto. Secondo noi, vincente». Carta che vince, carta che perde. Se quella sull’indipendenza del Veneto fosse una semplice partita, forse si potrebbe giocare alla pari. Il punto è che di mezzo c’è uno stato di diritto, una capitale (Roma), la Costituzione. Mario Bertolissi, costituzionalista, non ha pregiudizi. Riflette serenamente: «Nel discutere significato e effetti che può generare il sondaggio degli indipendentisti, è necessario considerare più di una prospettiva: quella giuridica, quella istituzionale e quella politica. La prima risponde alla seguente domanda: l’ordinamento costituzionale italiano, per come la pensa in particolare la Corte costituzionale, contempla l’istituto della secessione? La risposta è no. È una pratica suggerita anche da Niccolò Machiavelli, il quale avvertiva che ’colui il quale trascura ciò che al mondo si fa, per occuparsi invece di quel che si dovrebbe fare, apprende l’arte di andare in rovina, più che quella di salvarsi’".

Il conflitto - sostiene Bertolissi - riguarderà l’articolo 5 della Costituzione che proclama l’unità e indivisibilità della Repubblica». «La seconda prospettiva, - ragiona il costituzionalista - è quella istituzionale. Un referendum consultivo rappresenta l’espressione di una serie di valori pure essi costituzionali: democrazia diretta, libertà di manifestazione del pensiero, pluralismo sia delle persone (cittadini elettori) sia degli enti (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni) perché la Repubblica non è costituita solo dallo Stato». Infine c’è la terza prospettiva che indica Mario Bertolissi: «È quella politica che dovrebbe guardare al futuro con visione lungimirante. Perché la politica è l’arte del possibile. Il possibile dovrebbe coincidere con ciò che corrisponde al bene della collettività rappresentata. Nel nostro caso, degli abitanti della Regione Veneto. Ora come ora sono lo Stato e le Regioni negligenti ad essere secessioniste, non il Veneto. Anche se tutto non va come dovrebbe andare, neanche in Veneto». Già, il secessionismo. Tema ricorrente nella storia del Veneto. Ciclicamente capace di coagulare consensi o creare divisioni mai sanate. Tema che da sempre appassiona un raffinato scrittore e cultore della storia della Serenissima come Alvise Zorzi. Che non usa mezzi termini: «Qualora fosse confermato l’esito del referendum organizzato da Plebiscito.eu (due milioni di votanti n.d.r.) saremmo davvero davanti ad un fenomeno inaspettato, inedito per il Veneto. Perché questa comunità - sostiene Zorzi - non è mai stata veramente ribelle. Alla fine, ha prevalso sempre la diplomazia, le ragioni del pragmatismo su quelle dell’idealismo.

Il popolo veneto esisteva una volta, non oggi. Lo stesso ricordo della Repubblica veneziana si perpetua da tanti anni. Spesso viene rilanciato ma oggi non mi pare esista una classe politica che possa recuperarne lo spirito autentico e applicarlo al Veneto moderno. No, onestamente il movimento Plebiscito.eu non riesce ad emozionarmi. Dietro la Serenissima, alle spalle di quella Venezia e di quel Veneto - ragiona lo scrittore - c’era una vera e propria potenza economica. Non mi pare che oggi gli industriali del Nordest abbiano le stesse risorse e la stessa voglia di combattere. E poi all’orizzonte, in piazza San Marco, non vedo nessun Mocenigo, nessun Foscari, nessun esponente politico in grado di raccogliere eredità illuminate di quello spessore». Del referendum on line sull’indipendenza del Veneto sorride Mario Isnenghi, per anni titolare della cattedra di Storia contemporanea a Ca’ Foscari. «Non vorrei infierire né apparire poco rispettoso, - esordisce lo storico - davanti ad un’iniziativa probabilmente ispirata da sentimenti sinceri e oneste attese. Ma devo dirglielo con franchezza: il popolo veneto non esiste. Vero anche che reagivamo con lo stesso riso nella metà degli Anni ’80 davanti alla Liga Veneta e alle spinte secessioniste. Ancora più vero che dopo la Lega ha ottimizzato il malumore di questa comunità con risultati elettorali di tutto rispetto ma la lotta politica, indipendenza inclusa, non si fa con la semantica. La stessa Lega che oggi si barcamena con esiti elettorali disastrosi e che rilancia a fini elettorali temi e metodi che una volta risultavano vincenti». Una pausa e Isnenghi riprende il suo ragionamento: «C’è un’immagine che può aiutare a capire. Eric Hobsbawn (grande storico, autore del Secolo breve n.d.r.) sostiene che le tradizioni non si inventano. Io aggiungo: non si semina il rosmarino nel deserto, non crescerà mai. E’ la politica con le ragioni del consenso che decide sempre quale pianta crescerà o no. Per carità, siamo seri. Tra l’altro, - conclude Mario Isnenghi - siamo ancora fermi alla costruzione mentale della Padania e lei pensa che un da un referendum on - line possa davvero nascere la Repubblica veneta?». Di segno opposto invece è l’analisi di Beppe Gullino, docente di Storia moderna e Storia dell’Europa moderna all’università di Padova.

Il referendum di Plebiscito.eu, per lo storico, è comunque «un tentativo da considerare e da studiare, uno fra i pochi che meriti attenzione in questo Veneto irriconoscibile». «Sì, irriconoscibile, - argomenta Gullino - dove piuttosto che leggere un libro si preferisce farsi ammazzare, dove ormai i figli si chiamano Jessica o Denis. Personalmente mi vergogno di essere italiano. Dopo ottocento giorni due fucilieri della nostra Marina militare sono ancora prigionieri in India e non facciamo nulla di concreto per riportarli a casa. Ai tempi della Serenissima - riflette amaramente lo storico - una cosa del genere non sarebbe mai accaduta. La Serenissima aveva una tradizione immensa non solo in ambito politico - economico ma anche sotto il profilo della diplomazia per non parlare del livello all’avanguardia di ordinamento dello stato. Non si dimentichi, - aggiunge Gullino - che Jean Jacques Rosseau prima di scrivere il Contratto sociale fu attaché presso l’ambasciata francese a Venezia e della città, delle sue leggi, dei suoi uomini più illuminati, assorbì tutto. Allora, - conclude lo storico - ben venga ogni iniziativa che riporti il Veneto a quel periodo d’oro». Non sappiamo quale sarà l’esito finale del referendum di Plebiscito.eu e cosa sarà dell’indipendenza del Veneto. L’unica cosa certa al momento è che di dorato in tutta questa storia, c’è poco o niente. Ma forse è irrilevante: l’oro è in crisi di tempo. Come la politica.

28 marzo 2014 (modifica il 31 marzo 2014)
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Massimiliano Melilli

Da - http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cultura_e_tempolibero/2014/28-marzo-2014/ma-popolo-veneto-esiste-2224279868658.shtml
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