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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 228842 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Aprile 02, 2010, 08:15:00 am »

2/4/2010 (7:15)  - RIFORME - L'AGENDA DEL GOVERNO

Stato, giustizia e fisco Offensiva di Berlusconi

UGO MAGRI
ROMA

Bettino Craxi, che non peccava di immodestia, si accontentò di proporre nel 1979 (25 settembre, articolo sull’«Avanti!») la famosa Grande Riforma. Silvio Berlusconi, che è più ambizioso ancora, vuole cimentarsi nelle Grandi Riforme al plurale poiché una sola, quella delle istituzioni, non basta più, suona povera, asfittica. Eccolo dunque lanciare (1 aprile 2010, via FaceBook) la nuova «trimurti» programmatica del centrodestra, valida di qui al termine della legislatura: Stato, giustizia e fisco. Le «grandi riforme», come egli stesso appunto le definisce enfaticamente. Con l’«obiettivo di fare dell’Italia una nazione più efficiente e moderna».

Per conferire un tocco di solennità a quella che, viceversa, potrebbe sembrare una trovata pubblicitaria, il Cavaliere ha chiesto e ottenuto un appuntamento sul Colle dove, raccontano là in alto, ieri di buon’ora ha parlato quasi sempre lui, elencando i suoi progetti, con Napolitano in ascolto attento e disincantato. L’attuale Capo dello Stato fu tra i pochi, a sinistra, che trent’anni fa non chiusero la porta in faccia al Cinghialone. Ricorda perfettamente, tuttavia, che Craxi medesimo alla fine definì il suo tentativo «un inutile abbaiare alla luna». Ora ci prova Berlusconi. Baldanzoso. Via Internet lancia un appello-ultimatum al Pd: «Non sappiamo se l’opposizione, o almeno una parte di essa, abbandonerà finalmente i toni e gli atteggiamenti di ostilità preconcetta. Me lo auguro», fa una pausa di avvertimento il premier, «noi comunque avvieremo il percorso». Piuttosto seccato lo manda quasi a quel paese Bersani, il premier «non ce la meni con dialogo o non dialogo, dopo 50 decreti e 31 fiducie è sua l’indisponibilità a discutere».

Non per questo il Cavaliere smetterà di tendere la mano, tanto più se gli verrà rifiutata. Tornerà infinite volte alla carica per poter dire (parola di Osvaldo Napoli) che il Pd si auto-condanna «a un ruolo residuale». Inoltre Berlusconi darà l’impressione di tenere salda in pugno l’iniziativa politica, di non essere semplicemente l’esecutore dei piani leghisti sul federalismo fiscale e costituzionale. Sul piano mediatico, una mossa di qualche abilità.

Poi, certo, se si alza il coperchio delle Grandi Riforme berlusconiane si scopre che la scatola è ancora tutta da riempire. Il regista della comunicazione Bonaiuti va da Vespa e, con schiettezza, conferma: per il taglio delle tasse «ci vorranno almeno tre anni». Almeno, dice il portavoce. In compenso la riforma del fisco sarà «epocale», i lavoratori a reddito fisso finalmente pagheranno proporzionalmente di meno, dai e dai «anche Tremonti ne è convinto». Sulla giustizia aleggia la confusione, il ministro Alfano proverà a mettere nero su bianco gli imperativi del premier su separazione delle carriere, Csm e quant’altro. Un certo tam-tam crea fibrillazione soprattutto a sinistra, eppure nulla è giunto sul tavolo di quanti ne sarebbero al corrente, se fosse davvero questione di ore.

L’unico sviluppo dietro l’angolo riguarda proprio le riforme istituzionali. Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, rivela che insieme al suo dirimpettaio del Senato Gasparri presenteranno «una proposta organica». Che terrà conto della «bozza Violante» ma non ne sarà certo «una fotocopia» perché dovrà prevedere pure qualche forma di presidenzialismo, anticipa Cicchitto. E magari l’elezione diretta del premier contro cui proprio Violante (attuale responsabile istituzioni del Pd) già minaccia un referendum letale come quello del 2006. Ma quando prenderà forma questa «proposta organica» del Pdl, anzi Grande Riforma per dirla con Berlusconi? Subito dopo Pasqua, annuncia la mente giuridica del berlusconismo Quagliariello, previa riunione dei parlamentari Pdl «per definire i dettagli» del progetto che, si intuisce, è già a buon punto di cottura.

da lastampa.it
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« Risposta #61 inserito:: Aprile 04, 2010, 11:19:23 am »

 4/4/2010 (7:2)

Fratti lancia l'epoca delle riforme: "Superati i nodi Berlusconi-Colle"

"Il nostro governo è diventato un esempio di stabilità"

La ricetta del ministro degli Esteri: «Usiamo anche Facebook per fare capire che tipo di Stato vogliamo»

UGO MAGRI
ROMA

Ministro Frattini, dov’era lei il giorno delle Regionali?
«A Ottawa per il G8».

Come hanno preso lì il risultato?
«I colleghi stranieri sono venuti a chiedermi che succede: si parlava di Berlusconi in declino, invece...».

Lei cosa ha risposto?
«Che la politica italiana non la decidono né l’Economist né il Financial Times. La fanno i milioni di elettori contattati uno per uno da Berlusconi con messaggi quasi personali, o convinti dalla Lega con un lavoro capillare».

Altre spiegazioni?
«Siamo stati a lungo un modello negativo di instabilità, governi che cambiavano di continuo... Invece negli ultimi 10 anni Berlusconi ne ha governato per 8. Ora siamo un esempio di stabilità».

Se il sistema è così stabile, perché riformare la Costituzione?
«E’ esattamente quello che, come prima cosa, dovremmo spiegare alla gente. Trasmettere il senso dei cambiamenti. Francamente: imbarcarci in una discussione sui massimi sistemi, dal presidenzialismo americano al semi-presidenzialismo francese al premierato britannico (che pure personalmente prediligo), ci esporrebbe al disinteresse».

E dunque?
«Far capire innanzitutto di cosa si parla. Usando il web, i social-network...».

Pure lei sulla scia del Cavaliere?
«Per la verità è un anno e mezzo che, con i miei amici di FaceBook e Twitter, dialogo sui temi internazionali. Berlusconi, giorni fa, mi aveva annunciato: ti farò una sorpresa. E ha lanciato il suo messaggio su FaceBook».

Insomma, riforme dal basso.
«Sul sito www.forzasilvio.it abbiamo già incominciato a porre quesiti su presidenzialismo, federalismo, giustizia. Perché non avviare una consultazione dal basso piuttosto che esercitare i giuristi su sofismi astrusi? Che ne sa una persona normale della cosiddetta Bozza Violante? Tra l’altro, a forza di parlare della Bozza Violante sembra che la riforma sia compito dell’opposizione quando, con tutto il rispetto, nel 2008 abbiamo vinto noi».

Presentate una vostra proposta...
«I gruppi Pdl stanno già lavorando a un testo. Anche per non dovercela prendere poi sempre con la Lega che è più svelta e ci anticipa».

Napolitano si sente sereno per la nuova fase che si apre. Ne condivide lo stato d’animo?
«Sono tra quanti hanno sempre considerato essenziale il rapporto con il Capo dello Stato. Anche nei momenti di difficoltà, la mia parola col premier è stata volta a un rasserenamento».

Com’è andato l’ultimo incontro tra i due?
«Davvero molto bene. I nodi sono stati sciolti».

Anche quelli personali?
«Superati. E’ un Presidente di cui ci possiamo fidare. Anzi, è interesse del governo un buon rapporto di collaborazione istituzionale. Quando Berlusconi gli ha detto che farebbe le riforme insieme all’opposizione, se ci fosse un’opposizione disponibile, è proprio il messaggio che Napolitano voleva sentire».

Un passo di riconciliazione nazionale, da parte del premier, non potrebbe alleggerire il clima?
«E’ difficile tendere la mano se si sa già che non verrà raccolta. D’altra parte Berlusconi è persona che non serba rancore. Confortato dal sostegno degli elettori, è capace di gesti generosi: da una richiesta di incontro a Bersani, a un messaggio come quello dell’anno scorso per il 25 aprile... Credo che saprà trovare lui il modo di riconoscere, all’avversario sconfitto, la necessità di un percorso comune».

Pace anche con Fini?
«La vittoria delle Regionali spinge irresistibilmente Fini e Berlusconi a trovare un modo di lavoro comune. Perché entrambi hanno compreso che il Pdl è più forte se si apre alla diversità di opinioni, a patto di arrivare a una decisione. E poi: sarebbe inimmaginabile affrontare una stagione riformatrice senza il presidente della Camera assolutamente convinto dell’importanza di collaborare. Tutti si chiedono se Bersani sarà o no d’accordo, quando Fini è colui che regola i lavori dell’Assemblea, fissa gli ordini del giorno, dà le priorità... Guai se non fosse attivamente coinvolto o remasse contro».

E il dopo-Berlusconi?
«Tema tramontato con la vittoria elettorale».

La Lega vi fa vedere i sorci verdi...
«Tanto di cappello. Li trovi ovunque sul territorio a occuparsi dei problemi della gente. Lo stesso non posso dire dei dirigenti Pdl».

La morale?
«Rimboccarci le maniche e dimostrarci più bravi della Lega».

Altrimenti?
«Le lasciamo le chiavi».

da lastampa.it
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« Risposta #62 inserito:: Aprile 06, 2010, 06:28:58 pm »

6/4/2010 (7:20)  - RIFORME

Berlusconi prova a smarcarsi da Bossi

Nella maggioranza temono che il Carroccio detti le riforme

Oggi alla cena di Arcore si parlerà anche del successore di Luca Zaia

UGO MAGRI
ROMA

Sulla premessa (vera o falsa non importa) che la Lega ha stravinto le elezioni al Nord, e il Pdl invece le ha straperse, Bossi getterà lo spadone sulla bilancia. In amicizia, per carità, perché lui e Berlusconi hanno giurato a vicenda di non litigare mai più. Però ci sono un paio di questioni in sospeso che riguardano il governo e la politica di qui al 2013. Due questioni su cui la Lega vuole parole chiare già stasera, quando Silvio e Umberto si siederanno a tavola.

Anzitutto, il ministero delle Politiche agricole. Chi vive in città non si rende conto di che peso abbia, e quanti voti muova, specie in Padania. Ora lì c’è Zaia, del Carroccio, che però è stato eletto governatore in Veneto. Dovrà mollarlo. E nel «do ut des» con il Piemonte, ceduto alla Lega, quel dicastero tornerà al Pdl. In teoria ci sarebbe Galan, spodestato proprio da Zaia. Ma Galan pensa di meritare ben altro. E poi la Lega gli rimprovera di avere sparso veleni, ha consegnato a Berlusconi un dossier di interviste e discorsi dove (tolta l’accusa di sbranare i bambini) Galan imputa al Carroccio la qualunque. Per cui, una volta accomodati a cena, Bossi dirà al premier: «Noi rinunciamo all’Agricoltura, d’accordo; ma chi dei vostri sarà ministro dopo Zaia, lo decidiamo noi». Quel «qualcuno» nella testa del Senatùr ha nome e cognome, si tratta di Enzo Ghigo che i leghisti considerano amico fedele. Se Berlusconi darà l’okay, al Nord passerà il messaggio che va avanti chi è gradito alla Lega, e chi non lo è viene punito duro.

Qui può nascere il mugugno, i dirigenti Pdl si sentiranno sacrificati, piangeranno calde lacrime col Capo, i finiani ne profitteranno per chiedere fermezza verso il Carroccio. Ma al dunque, fra il prendere e il lasciare, si può scommettere per cosa opteranno i «berluscones». Che spargono voci incontrollate, tipo quella di Bossi deciso a reclamare qui e subito la poltrona di vice-premier per Calderoli, in modo da sancire il diverso equilibrio nel centrodestra: ipotesi che Berlusconi aveva già soppesato un anno e mezzo fa ma poi dovette abbandonare perché i vice-premier sarebbero stati due, e nel Pdl si sarebbe scatenata la rissa tra i pretendenti.

Calderoli, tra parentesi, mira più in alto: vorrebbe tracciare la rotta sulle riforme istituzionali. Ed è l’altra questione che si toccherà stasera ad Arcore, politicamente insidiosa. Bossi ricorderà al Cavaliere che ministro delle riforme, fino a prova contraria, è ancora lui. E che sua intenzione sarebbe di esercitare la delega dando credito a Calderoli. Il quale, a quel punto, tirerà fuori di tasca dei fogli con su scritta la grande riforma targata Lega: federalismo, si capisce, bilanciato dal semi-presidenzialismo alla francese. In pratica, un Capo dello Stato coi vasti poteri di Sarkozy, poi si vedrà se eletto a turno unico o a doppio turno (sistema preferito dalla sinistra italiana). Calderoli spera in questo modo di agganciare il Pd e di mettere il federalismo in cassaforte. Berlusconi verrà lusingato: «Caro Silvio, con il sistema francese potrai salire al Colle dopo Napolitano...». Se il Cavaliere non le desse retta, la Lega sarebbe pronta a tutto. Perfino a presentare in modo autonomo la sua proposta. E non sarebbe un bel segnale per la tenuta del governo.

Anche qui, però: se il progetto Calderoli va avanti, il Pdl rischia di apparire l’ennesima volta a traino. Un vagone eternamente agganciato alla «locomotiva Lega». Ecco perché il gruppo dirigente berlusconiano sta lavorando a una «proposta complessiva» sulle riforme che verrà depositata in Parlamento la prossima settimana. Già domani (nell’attesa dell’incontro chiarificatore tra il Cavaliere e Fini che ancora risulta da fissare) si riunirà l’ufficio di presidenza. Che batterà un colpo sulle riforme per dire: oltre alla Lega, esistiamo anche noi.

da lastampa.it
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« Risposta #63 inserito:: Aprile 07, 2010, 09:35:09 am »

7/4/2010 (7:18)  - IL VERTICE DI ARCORE

Bossi al premier: "Via alle riforme ma con larghe intese"

I leghisti vogliono evitare il rischio di un altro referendum.

Cresce nel Pdl l’insofferenza verso i diktat degli alleati

UGO MAGRI
ROMA

Le cene di Arcore sono tutte uguali, chi le immagina come consigli di amministrazione è fuori pista. L’alta politica si alterna alle barzellette, un po’ si scherza un po’ si dice sul serio fino a notte fonda, quando su Bossi cala il sonno e quello che è rimasto in sospeso viene rinviato alla prossima volta, «tanto caro Umberto non c’è fretta, ogni lunedì ci si vede...». Anche ieri, identico copione. La Lega si è presentata in massa a Villa San Martino (c’era perfino Renzo, figlio del Senatùr) per mandare avanti le riforme e spingere Ghigo anziché Galan sulla poltrona di ministro all’Agricoltura, oggi occupata da Zaia. Clima ottimo, figurarsi, tanto più che le Regionali sono andate di lusso. Ma esito interlocutorio.

Calderoli ha consegnato la sua bozza di nuova Costituzione. Sono mesi che ci lavora, è imperniata su federalismo e presidenzialismo in salsa francese. Più ancora dei contenuti, per lui conta il metodo, sul quale giura «abbiamo trovato la quadra»: la Lega punta sulle larghe intese perché eviterebbe volentieri di sbattere contro l’ostacolo referendario (nel 2006 fu letale). Nel negoziato dunque coinvolgerebbe il Pd, lo adescherebbe con riforme gradite. Il Cavaliere è scettico, poco ci crede, però non vuole urtare Fini (probabilmente si parleranno domani) e tantomeno Bossi, che su questo la pensa come il presidente della Camera. «Strada facendo vedremo, adesso è prematuro», prende tempo Berlusconi.

Sul ministero, invece, gran discussione. Il premier difende Galan a spada tratta, nessuna voglia di mollarlo al suo destino, insiste per nominarlo ministro al posto di Zaia. Teme che l’ex governatore del Veneto possa fargli danno dentro il partito. Ma soprattutto, Berlusconi non può dare troppo l’impressione di piegarsi ai calcoli della Lega. Sotto questo aspetto, svarione tattico di Maroni, che proprio ieri se n’è uscito sul «Corsera» con un’intervista dove sventola alta la bandiera del Carroccio cui rivendica la guida delle riforme. Detta così, un ceffone in faccia al Pdl nel momento meno indicato, con l’Ufficio di presidenza convocato per oggi e il Cavaliere obbligato a tranquillizzare i suoi facendo apparecchiare pure per i tre coordinatori nazionali (Bondi, Verdini, La Russa) che in origine non erano invitati alla cena.

Insomma, l’affondo pubblico di Maroni ha avuto l’effetto di rendere ardua l’operazione-Ghigo. Non solo. In privato Berlusconi s’è mostrato arrabbiatissimo. E ha dato il via libera a quanti, dentro il partito, volevano replicare al ministro dell’Interno. Uno spunto l’ha fornito senza volere il web-magazine di FareFuturo, fondazione nell’orbita di Fini. Che in un editoriale del direttore Filippo Rossi esorta il Pdl «a battere un colpo per non morire tutti leghisti». Fantastico, si sono dati di gomito Cicchitto e Gasparri, Bondi e Verdini fino a Osvaldo Napoli: ecco l’occasione per mettere le cose in chiaro pure nei confronti della Lega. Difatti si sono precipitati tutti quanti a dichiarare che non scherziamo, «l’agenda delle riforme è sempre saldamente in mano a Berlusconi, la regia appartiene al Pdl che ha fatto miracoli alle elezioni», mentre quelli di FareFuturo non si son visti, farebbero meglio a occuparsi del presente.

E’ finita con Urso che, a nome della fondazione, ha preso le distanze dal sito web. Non per placare i vertici Pdl, ma per una ragione più sottile, legata alla strategia finiana. Pare che, diversamente dal premier, il presidente della Camera abbia molto apprezzato la sortita di Maroni, specie là dove prospetta il modello semi-presidenziale alla francese (vecchio «pallino» di Fini). Dunque non c’era motivo di lamentare una sudditanza Pdl verso la Lega quando, semmai, è il Carroccio che una volta tanto aderisce alle posizioni di An, e del suo ultimo leader.

da lastampa.it
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« Risposta #64 inserito:: Aprile 18, 2010, 10:18:26 pm »

18/4/2010 (6:42)

Berlusconi tira dritto sugli alleati

Nessuna concessione a Gianfranco


UGO MAGRI
ROMA

Tutti i riflettori sono su Fini: tornerà sui suoi passi o se ne andrà dal partito che ha contribuito a fondare? Nessuno, nemmeno tra i fedelissimi, scommette sulle sue intenzioni. Il presidente della Camera si è preso un weekend di relax e, possiamo intuire, di ardua riflessione. Se in cuor suo non ha già deciso, Fini può concedersi 48 ore fino a martedì mattina, quando le truppe saranno schierate in attesa di ordini per la grande battaglia di giovedì, nella Direzione del Pdl. Allora sapremo se il Popolo della Libertà va incontro o no a una scissione. Scuote la testa incredulo il berlusconiano Cicchitto: «Da ex-socialista sono esperto in materia. Però mai ho visto un partito che si scinde dopo avere appena vinto alle urne». Corre voce di mediazioni altissime tra Fini e il Cavaliere. Altre chiacchiere ipotizzano un ruolo-chiave per Fini sul terreno delle riforme istituzionali: ma non c’è già Bossi ministro? Nella realtà i margini appaiono esigui. Forse inesistenti. Berlusconi è vellutato nelle parole, inflessibile nella sostanza. Pretende che Fini ingrani la retromarcia. In cambio non concederà nulla. Zero assoluto. Il suo rivale chini la testa o faccia le valigie. Terze vie non risultano.

Spiegazione raccolta nel giro dei coordinatori nazionali: «Berlusconi non offre nulla perché non può. Se dovesse regalare a Fini uno spillo, puoi star certo che nel giro di pochi mesi quello spillo diventerebbe una sciabola usata contro il nostro Presidente». False le voci su La Russa pronto a farsi da parte in nome della riconciliazione: si dimetterebbe da triumviro nel solo caso in cui Fini formasse gruppi autonomi, essendo stato indicato da lui; viceversa, di rinunciare per far posto a un finiano «doc» neanche a parlarne. L’organigramma resterà tale e quale.

Pure sui grandi temi la risposta sarà «no», senza complimenti. Ieri Bocchino ha rilanciato i «cahiers de doléance» finiani: basta sudditanza verso la Lega, più attenzione per il Sud, Berlusconi tuteli meglio il partito, non tratti il presidente della Camera come un dirigente qualsiasi, vieti i «killeraggi mediatici» al «Giornale» di famiglia (che ieri mattina attribuiva a Fini il «ruggito del coniglio»). Sempre il solito personaggio al vertice la mette così: «Di questione meridionale si parla dal 1861, con la Lega abbiamo a che fare da vent’anni, ora Bocchino ci ingiunge di provvedere... Quanto al partito, sta mettendo radici, Verdini ha avviato il tesseramento, ci sarebbe da rallegrarsi per l’esplosione di democrazia interna...». Come mai, allora, Fini è all’attacco? Risposta unanime del gruppo dirigente berlusconiano: «La politica non c’entra, è solo un fatto di insopportazione personale. Gianfranco odia Silvio».

E così la categoria dell’odio irrompe, devastante, nel «partito dell’amore», con il premier che non se l’aspettava (giura Bonaiuti). Berlusconi di rimando tratta Fini come un dente cariato, lo disturba quel continuo controcanto, lui dice «A» e l’altro risponde «B». Proprio come faceva Follini da segretario Udc. Osvaldo Napoli rammenta bene quei tempi: «A forza di dargli retta, la coalizione si consumò nell’impotenza e perse le elezioni. C’è il rischio che la storia si ripeta...». Ma non si ripeterà perché il Cavaliere ha fatto certi conti: ritiene che se Fini prenderà cappello saranno in quattro gatti a seguirlo. Probabilmente, crede lui, neppure l’intero gruppo dei 14 senatori «finiani» che ieri, guidati da Augello, hanno invocato da entrambi i leader serietà e comportamenti responsabili, come si addice a tempi difficili.

da lastampa.it
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« Risposta #65 inserito:: Aprile 19, 2010, 09:38:29 am »

19/4/2010 (7:36)  - CENTRODESTRA - I GIORNI DELLA CRISI

Pdl, Berlusconi mette Bocchino sotto accusa

Fini lima il documento che porrà ai voti giovedì. E Alemanno è pronto a fare da mediatore

UGO MAGRI
ROMA

Vittima sacrificale cercasi. Qualcuno su cui scaricare la colpe dello psicodramma che il Popolo delle libertà sta vivendo, una testa da far rotolare sull’altare della tregua tra Berlusconi e Fini, ancora parecchio lontana (ma i mediatori non si arrendono). Quel qualcuno con cui prendersela somiglia tanto a Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera. I «berluscones» furibondi lo additano quale istigatore di Fini, lui insieme ai Granata, agli Urso, ai Briguglio che ancora insistono per rompere col tiranno Berlusconi, e apertamente rimpiangono Alleanza nazionale, quanto sarebbe bello rifarla daccapo... Nel caso di Bocchino, però, è imbufalito il Cavaliere personalmente: telefonate notturne a Verdini, a Cicchitto e non si sa a quanti altri dopo lo scontro televisivo l’altra sera su RaiDue, che ha visto da una parte il giovane «guappo» finiano, dall’altra il ciellino Lupi, uno che piace al premier perché sempre così sicuro di sé.

«Assurdo litigare in pubblico tra di noi», ha sbraitato Berlusconi. Pare solleciti provvedimenti disciplinari, interventi dei probiviri anche nei confronti di Urso (presente alla trasmissione) e Granata (sguaiato con Schifani). i coordinatori nazionali se ne stanno occupando, La Russa frena perché «in questo clima» incendiario ci mancherebbe solo di buttar fuori qualcuno. Ma che Bocchino resti a fare il numero due del gruppo alla Camera, questo sembra più difficile. Se tregua sarà, prima vedremo scorrere il sangue. Berlusconi, ad esempio, non ne può più della Bongiorno alla guida della Commissione giustizia a Montecitorio, considera l’avvocatessa un freno ai suoi progetti, vorrebbe sbarazzarsene. A sua volta Fini insiste per rimettere mano agli organigrammi di partito e di governo, dove si reputa sottostimato.

Servirebbe una bilancia, ed eccola pronta, giovedì prossimo in Direzione nazionale: 170 dignitari Pdl, di cui 120 eletti dal congresso e gli altri lì a vario titolo, convocati alle 10 del mattino nell’Auditorium a due passi dal Cupolone per pesare i duellanti. Fini svestirà l’abito istituzionale di terza carica dello Stato e presenterà un documento da mettere ai voti, con le sue critiche al Cavaliere in bella mostra. La bozza verrà presentata con, sotto, le firme di tutti i parlamentari amici: 14 senatori (già si sono esposti pubblicamente) e un numero ancora misterioso di deputati. Dall’altra parte confermano che pure loro presenteranno un testo, si presume di adorazione del premier. Avremo dunque una maggioranza e una minoranza, svolta gravida di conseguenze politiche imprevedibili per l’Italia, poiché nel nome della democrazia interna il «movimento del predellino» finirà nella tomba, e in sua vece nascerà un partito stile Prima Repubblica, correntismo compreso.

Sarà l’anticamera della scissione, quella vera? E Berlusconi, accetterà di tenersi in casa degli oppositori dichiarati? Si annuncia un salto nel buio. Che molti tra gli ex di An eviterebbero volentieri, un po’ per non finire in castigo con Fini, un altro po’ perché in ansia sulla sorte del Pdl. Dal Campidoglio giunge voce che oggi vedremo scendere in campo Alemanno, il sindaco di Roma, con un terzo documento da mettere ai voti. Di mediazione tra gli altri due. Proporrà di affrontare ad uno ad uno e con calma i temi sollevati da Fini, dedicando a ciascuno una riunione di direzione. Matteoli è d’accordo, Augello pure, così la Meloni, certo la Polverini. Contrarissimi i pasdaran di entrambi gli schieramenti, convinti che sia il caso di farla finita: due galli nel pollaio non possono coabitare, uno è di troppo.

Qualche ruolo l’avrà Bossi quando, oggi o domani, vedrà il Cavaliere. Spingerà per la pace con Fini che, scommette il Senatùr, se vuol contare «avrà bisogno della Lega». Così pure Berlusconi. Il quale, confida Bossi allo spagnolo «El Pais», andrebbe volentieri al Quirinale. La conferma è autorevole. Ma c’eravamo arrivati da soli.

da lastampa.it
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« Risposta #66 inserito:: Aprile 23, 2010, 09:17:47 am »

23/4/2010 (7:3)  - PDL DIVISO

Berlusconi e Fini, scontro totale

Fini dalla platea si alza per replicare a Berlusconi

Alla direzione nazionale del Pdl il Cavaliere attacca: se vuoi fare politica dimettiti.

La replica: altrimenti che fai, mi cacci?

UGO MAGRI

Il governo Berlusconi ha le gambe d’argilla perché Gianfranco Fini inaugura l’opposizione più spietata: quella dentro il partito. Il Cavaliere si ritrova un nemico in casa e un avversario elusivo nel Parlamento. Nel Pdl va in scena la guerra civile. Alle 18 e 30, quando 12 membri della direzione su 171 votano contro il documento conclusivo dove si condannano le critiche al Capo e le correnti, crolla l’unanimità di facciata. Già Fini avverte: lui e i suoi saranno leali se si tratterà di mandare avanti il governo. Tuttavia le decisioni andranno prese «negli organismi rappresentativi», non è che Silvio la mattina si sveglia e dà ordini. Sennò si ritrova al Senato o alla Camera una fronda capace di farlo piangere. Nessuno può più sapere che cosa accadrà su giustizia, fisco, federalismo... Si coglie, perfino in un duro come il capogruppo Cicchitto, cautela e preoccupazione per quanto vedremo in futuro.

Ovvio che colpisca lo scontro spettacolare, fino alla scena madre: il presidente della Camera che scatta in piedi, va verso Berlusconi e quasi lo bloccano i «body guard». Tifoserie in tripudio, ciascuno dei co-fondatori mostra di avere attributi... Scene di ben altro effetto per chi le guarda da casa. Eppure il premier aveva concepito un piano per imbrigliare Fini, voleva bagnare le polveri dell’avversario prima ancora che salisse alla tribuna degli oratori, nell’Auditorium di via della Conciliazione, a cento passi da San Pietro. Interventi iniziali dei «triumviri»: di Verdini per spiegare quanto grande è stato il trionfo alle Regionali. Di La Russa per negare che Bossi la faccia da padrone. Di Bondi per dare a Fini un assaggio del trattamento in arrivo: accuse di «bizantinismo, smania di autodistruzione, cupio dussolvi». Il Cavaliere stesso (discorsetto introduttivo) aveva fatto intendere che litigare sulle riforme sarebbe stato inutile, quelle della Costituzione «si faranno solo con consenso di tutti», opposizioni comprese, una svolta a 180 gradi. Idem sulla democrazia interna: si faccia un congresso all’anno, che problema c’è? Poi sfilata di ministri per impaniare Fini, da Frattini (Berlusconi non va indebolito all’estero) a Tremonti (mai favorita la Lega con gli aiuti di Stato).

Quando il presidente della Camera prende la parola, è quasi l’una. Irride come «puerile» la tattica berlusconiana. Rivendica la «necessità di fare chiarezza». Nega si tratti di «bizze, gelosie» verso il leader. Chiede se «è lecito avere opinioni diverse e organizzate dentro il Pdl». Segnala a Bondi di avere incassato «bastonature mediatiche» dai giornali della famiglia Berlusconi. Sarcastico sulle riforme condivise: l’avesse detto prima, il Cavaliere, si evitavano polemiche. Poi Fini spalanca il pozzo senza fondo della prepotenza leghista, vi attinge a piene mani. Sull’immigrazione richiama i valori cristiani del Ppe contro i medici-spia e quanti vogliono cacciare da scuola i figli dei clandestini. Nega che Tremonti sia montato sul Carroccio. Però segnala che il ministro del rigore si è prodigato sulle quote-latte. E sul federalismo fiscale domanda: va fatto a ogni costo come vuole Bossi?

Morale finiana: «Siamo diventati fotocopia della Lega». Prova ne sia la disattenzione per i 150 anni dell’Unità. Berlusconi quasi non si trattiene allorché Fini cestina il programma elettorale: «Scritto in un altra epoca», va ripensato da cima a fondo. Il tappo salta poco dopo. Gianfranco alza il sipario sulle «litigate a quattr’occhi» con Silvio per il processo breve, «un’amnistia mascherata, 600 mila processi che venivano cancellati». Alto tradimento proprio sulla giustizia: il Cavaliere torna al microfono, come una furia. «Mi pare di sognare», è l’esordio.

Come si può trattare con chi contesta su tutto? Poi, rivelazione per rivelazione, afferma che «davanti a Letta testimone» Fini si sarebbe detto «pentito» di aver dato vita al Pdl, avrebbe preannunciato un gruppo autonomo. Sugli attacchi di Feltri, risposta standard: io non
c’entro, ho detto a mio fratello di vendere il «Giornale». Sulle celebrazioni dell’Unità «non ci stiamo occupando d’altro». La Lega va forte perché loro fanno proseliti anche il sabato e la domenica, mica vanno in vacanza. Bordata conclusiva: «Le sue critiche sono accolte, ma da uomo di partito, non da presidente della Camera». Vuol fare politica? Lasci quella poltrona. Con il durissimo documento conclusivo (i parlamentari non erano ammessi al voto) Berlusconi indica a Fini dov’è la porta, ma Gianfranco non se ne va. Resta per contestare la linea. Nemmeno abbandona la carica istituzionale, minaccia «scintille» in Parlamento. E il Cavaliere non può farci nulla.

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« Risposta #67 inserito:: Maggio 04, 2010, 10:20:45 pm »

4/5/2010 (7:6)  - INTERVISTA

Fini: "Perchè il Pdl sta a guardare?"

Il cofondatore del Pdl: il nuovo patriottismo non è il Grande Fratello, ma quello degli onesti che vincono sui furbi

UGO MAGRI
ROMA

Pier Ferdinando Casini ha pronta la sua nuova creatura. «Vogliamo creare un partito nuovo, lo faremo entro l’anno», ha annunciato il leader dell’Udc intervistato al Tg1, «che parli il linguaggio della riconciliazione nazionale, dell’unità della nazione». Dunque, ha assicurato, quelle su contatti con Fini o un riavvicinamento con Berlusconi sono «tutte chiacchiere», ha assicurato Casini. «Quello che c’è di vero è che sto dalla parte degli elettori», ha aggiunto, «noi siamo all’opposizione, un’opposizione seria che non vuole più litigi». Perché, ha insistito, questo «è un paese che sta morendo di litigi».

Presidente Fini, non le fa un certo effetto il ministro Calderoli che snobba i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia?
«Ovviamente depreco questo atteggiamento di sostanziale negazione dell’unità nazionale. Però non mi meraviglia affatto».

E come mai?
«La Lega in fondo non è un partito nazionale. I sostenitori di Bossi, lo sappiamo, si sentono figli di una nazione tanto inesistente quanto retoricamente declamata».

La Padania.
«Esatto. E dunque non me la prendo con loro».

Con chi, allora?
«Nel mio intervento alla Direzione del Pdl, che tante polemiche suscitò, mi ero permesso di chiedere: per quale motivo un grande partito nazionale come il nostro non ha presentato un solo progetto per celebrare degnamente questo anniversario?».

L’hanno sottovalutato.
«E non sarà, avevo chiesto, perché gli amici della Lega escludono che ci sia qualcosa da festeggiare?».

Tuttavia Bondi e Berlusconi già allora le avevano rammentato che il governo si sta rimboccando le maniche...
«Ci mancherebbe altro! Do per scontato che le istituzioni siano in prima linea, specie dopo il forte impulso del presidente Napolitano. Non credo di violare un segreto se anticipo che si sta lavorando all’ipotesi di celebrare il centocinquantenario anche con una seduta comune del Parlamento, in cui prenderà la parola il Capo dello Stato».

Sarebbe un momento alto della vita politica. Quindi cosa vuole di più?
«Si dà il caso che il Pdl sia il maggior partito italiano, in cui sono confluite culture politiche rilevanti, tra cui quella di destra. Avendo contribuito a fondarlo, considero molto grave che il Pdl non prenda sue iniziative per celebrare l’Unità».

Va bene, ma iniziative finalizzate a cosa? Mica potete fare l’album Panini con gli eroi del Risorgimento...
«Non c’è dubbio alcuno. La visione più miope e meno produttiva sarebbe quella di tipo museale, a valenza zero specie tra i giovani. Invece l’anniversario va colto come l’occasione perché tutti ci si interroghi su cose molto più serie, su ciò che vuol dire essere italiani. Oggi, non ieri».

Perché, il patriottismo non è più quello di una volta?
«Lei ci scherza. A me invece piace citare Renan quando diceva: la nazione è un plebiscito che si rinnova ogni giorno. Aggiungo io nel mio libro “Il futuro della libertà”: un progetto in evoluzione continua, è sempre e non è mai».

Come vanno celebrati questi centocinquant’anni?
«Usando il meno possibile lo specchietto retrovisore e proiettando avanti lo sguardo. Puntando alle sfide del domani, alle riforme strutturali di cui abbiamo così bisogno. Tentando di riconciliare la politica con la società. Non intendo fare polemica inutile...».

La polemica non è mai inutile.
«E allora: se qui si continua a vivere sul quotidiano, a privilegiare ciò che è contingente rispetto a quanto sarebbe strategico, a rinfacciarsi reciprocamente colpe, torti, omissioni, come possiamo lamentarci poi se il cittadino si sente sempre meno figlio di una stessa comunità nazionale?».

E’ quanto afferma, tra le righe, il cardinale Bagnasco...
«Dice cose sacrosante. Se vogliamo un futuro condiviso, serve aveve una memoria condivisa, e dà lì individuare ciò che ci unisce».

Volando più basso, magari servirebbe anche qualche altro soldino per celebrare degnamente il centocinquantenario. I trentacinque milioni stanziati dal governo sembrano pochi.
«Sono un’inezia. Qualcuno l’ha scritto, finirà che verranno spesi solo per tagliare le erbacce intorno ai vari monumenti di Mazzini e di Garibaldi... E’ la prova della miopia di quanti nel mio partito dicono: già stiamo facendo. Ma a me preme soprattutto l’approccio culturale. Io lo capisco, non si può chiedere a un militante della Lega di sentire qualcosa nel petto durante l’Inno di Mameli o davanti a un Tricolore. Do pure atto a Bossi di aver conferito dignità politica a identità municipali e localismi che sono sempre esistiti (da ragazzo, quanto mi appassionavo a leggere «L’Alfiere» di Carlo Alianello, apologia romantica della resistenza borbonica...)».

Calderoli sostiene che l’unico modo di unire l’Italia è il federalismo.
«Proprio qui sta l’approccio culturale diverso! L’Italia è già unita. Lo è già come risultato di comuni sofferenze, di impeti generosi come sulle trincee del Carso dopo Caporetto, e poi come nella guerra di Liberazione, nella ricostruzione... Il federalismo non serve a unire».

A che cosa, allora?
«E’ un modo utile per rendere più efficiente la macchina dello Stato. Può rappresentare un valore aggiunto per il Paese».

Anche il federalismo fiscale?
«Siamo ancora nella fase di raccolta dati, bisogna capire cosa comporta in termini di costi e di coesione sociale. Non è allarme rosso, e nemmeno disco verde a prescindere».

Torniamo alle celebrazioni, che per Berlusconi vanno bene così e lei vorrebbe farne invece il perno di una riflessione collettiva.
«Sì, perché impatta ad esempio sul tema della cittadinanza e dei nuovi italiani, questione che nel Pdl viene vista come fumo negli occhi e mi fa mettere all’indice ogni qualvolta la sollevo».

Sostengono che fa scappare i voti verso la Lega.
«Ma sollevarla mica vuol dire perdere di vista la difesa della legalità, la lotta all’immigrazione clandestina, la gerarchia dei doveri accanto a quella dei diritti. Significa semmai accorgersi che nei nostri contingenti di pace ci sono tante ragazze e tanti ragazzi i cui genitori non sono nati in Italia. Eppure sono là a rappresentarci in divisa. Se la Patria non coincide più con la terra dei padri, che cos’è la Patria?».

Lei, Fini, sta sollevando quesiti di destra...
«Ma certo! L’integrazione dei figli e dei nipoti degli immigrati presuppone l’adesione piena a valori più profondi di quelli che può cogliere un esame di lingua. E dirò pure un’altra cosa di destra tra virgolette: se la politica perde la dimensione pedagogica, non è più buona politica. Diritti e doveri, credo che dovremmo tutti quanti rileggere Mazzini. Perché qui a volte si ha l’impressione di vivere nella società del Grande Fratello, dove tutto è lecito a condizione di farla franca».

Gli esempi, anche in politica, non mancano certo...
«Il ceto politico è l’espressione della società, dietro ogni corrotto c’è sempre un corruttore. Invece dovremmo mostrare ai figli che rende più l’onestà della disinvoltura. Mi piacerebbe che il Pdl indicasse degli italiani anonimi, gente normale e meritevole, come modelli di riferimento di un nuovo patriottismo: l’artigiano che non evade le tasse, la madre che tira su i figli, i “fessi” che vincono per una volta sul mondo dei “furbi”».

Ma il Risorgimento, presidente, che c’entra?
«Serve esattamente a parlare di tutto questo»

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/54638girata.asp
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« Risposta #68 inserito:: Maggio 08, 2010, 03:02:50 pm »

8/5/2010 (8:7)  - RETROSCENA

E Casini ora guarda a destra

Prove di dialogo del leader Udc: senza Cavaliere, ma con l'asse Tremonti-Lega

UGO MAGRI
ROMA

Per capire le trame del Palazzo, è sempre utile mettersi sulle tracce della volpe Casini. La quale, da svariati giorni, sta dandosi un gran daffare. Come se qualcosa di grosso sia lì lì per succedere, e lei voglia prepararsi a fronteggiare l’evento. Di che si tratta? Se si dà retta a una conversazione con Franceschini, captata senza fatica dai cronisti alla Camera, il leader Udc immagina che le contraddizioni dentro il governo possano esplodere fino al punto da trascinare l’Italia alle elezioni anticipate. Viste non come una liberazione dal Tiranno, ma come un baratro, perché in campagna elettorale Berlusconi non ha rivali: l’ha appena dimostrato alle Regionali, meglio non riprovarci subito con le Politiche.

E allora, suggerisce Casini al capogruppo Pd, «studiamo insieme qualche strategia per non farci cogliere alla sprovvista come due anni fa, quando non avevamo neppure una carta di riserva per evitare le urne». Un governo ponte, una formula di solidarietà, qualunque cosa tranne che stare fermi in attesa del temporale. Fin qui sembra l’esperto Casini che spalanca l’ombrello in anticipo. Poi c’è Pier Furby, fratello gemello di Pier Ferdinando, il quale teme la sorte prematura del governo, però nemmeno esclude che per i prossimi tre anni non succeda un bel nulla: vuoi perché la fronda finiana non andrà da nessuna parte, vuoi perché la nuova Tangentopoli deluderà le attese dei più catastrofisti. Ecco allora il medesimo Casini impegnato a studiare la tattica di sopravvivenza in vista della traversata del deserto che può attendere l’Udc di qui al 2013.

Ed è l’aspetto politicamente più interessante, in quanto tale tattica non esclude nulla, nemmeno una ripresa di rapporti serrati col Cavaliere. Iniziando subito da temi specifici. Il pretesto, che tale andrebbe considerato se non fosse un caso talmente serio, lo dà la Grecia. Per Casini siamo a un punto di svolta, «con la speculazione che prende di mira l’Europa è necessario che la politica italiana risponda con un supplemento di responsabilità nazionale, dia la prova di lavorare insieme per superare le difficoltà». Un soccorso al governo, una mano tesa a Berlusconi, troppo in crisi per ignorarla. Pentito di avere sbattuto l’Udc all’opposizione? Il Cavaliere di rado ammette gli strafalcioni, però l’orgogliosa presunzione del predellino sembra svanita. E difatti: Cicchitto subito apprezza lo «spirito costruttivo» dell’Udc, La Russa esorta a «mai dire mai».

Raccontano che Berlusconi non veda l’ora di accoppare il vitello grasso per far festa al «figliol prodigo» Casini. Ma siccome è un campione di astuzia democristiana, il leader centrista sceglie per ora un altro interlocutore, diverso dal Cavaliere, il cui peso sta crescendo a dismisura sulla bilancia politica, cioè Tremonti. L’altro pomeriggio, mentre il ministro dell’Economia illustrava il piano per la Grecia, sui banchi del Pdl erano in tre ad escoltarlo. L’Udc, invece, a ranghi compatti. Per applaudire colui che Bossi definisce «il nostro salvatore», e Berlusconi considera scherzando «un po’ troppo leghista». Già, perché pure con la Lega Casini ha aperto un fronte di dialogo. Al punto che nei prossimi giorni Calderoli romperà gli indugi e andrà a trovarlo. Parleranno di federalismo fiscale e, giacché ci sono, di scenari futuri. «La fase della contrapposizione ideologica è finita», proclama il leader Udc. Da cosa può nascere cosa.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/54762girata.asp
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« Risposta #69 inserito:: Maggio 14, 2010, 06:08:16 pm »

12/5/2010 (7:50)  - TENTATIVI DI MEDIAZIONE

Fini dice no agli ambasciatori di Berlusconi

Il Pdl designa Verdini per trattare

Il presidente della Camera freddo: disponibile solo a incontri ufficiali

UGO MAGRI
ROMA
La trattativa tra Berlusconi e Fini nemmeno fa in tempo a riprendere, che già è in panne. Sospetti, gelosie, veti incrociati: il Pdl ripiomba nel caos. Colpa di un incontro segretissimo, quattro ambasciatori del premier (Letta, Verdini, Cicchitto e Ghedini) attesi ieri pomeriggio dal presidente della Camera per discutere una possibile tregua tra i due separati in casa. Il fatto di parlarsi, sia pure tramite intermediari, sembra già buon segno. Poi però qualcosa va storto, qualcuno chiacchiera troppo, forse per malizia. Tutti i riflettori si accendono sull’incontro, il segreto rimane solo per Pulcinella, chi non fa parte della delegazione comincia a rumoreggiare.

In particolare piantano la grana quelli ex di An passati col Cavaliere (Alemanno, Gasparri, Matteoli, La Russa). Si sentono umiliati. Proprio loro, che hanno organizzato la resistenza contro Fini. «Ma come», gridano al premier, «noi ti abbiamo fatto scudo, e tu ci tagli fuori dal negoziato?». Temono che il caro Silvio, per non trovarsi col fianco parlamentare scoperto, sia pronto a usarli come merce di scambio. Circola voce che il prezzo dell’intesa con Fini, qualora mai fosse raggiunta, sarebbe la testa di La Russa, oggi ministro e pure «triumviro» del Pdl. A una delle due cariche dovrebbe rinunciare, si immagina quella di partito perché Berlusconi è già alle prese con la sostituzione di Scajola (Romani sembra il predestinato, ma il premier si attende suggerimenti dagli industriali).

Scoppia dunque la rivolta dei pretoriani. Trattare con Fini in queste condizioni non è possibile. Berlusconi ordina di rinviare a oggi l’incontro, i suoi emissari inventano una scusa qualunque. Poi, durante una tragica riunione serale con lo stato maggiore, il Cavaliere perde la pazienza, con Fini tratterà il solo Verdini a nome dei tre coordinatori Pdl, così nessuno si offende. Senonché il presidente della Camera quando è notte fa sapere che non ci sta: lui vuole la sconfessione pubblica di coloro che l’hanno tradito. E’ la pre-condizione di ogni colloquio. Per cui niente Verdini. Se il Cavaliere vuole chiarirsi con lui venga direttamente, eviti di mandargli degli emissari, specie di nascosto.

Non è detto che Berlusconi si tiri indietro. C’è un bel contrasto tra quanto lui dice e come poi si regola concretamente. Parla con i fedelissimi e ostenta spavalderia: «Il governo va avanti con le sue riforme, quello che contano sono i numeri in Parlamento, la nostra maggioranza è salda...». Sembra una porta in faccia a Fini ma anche all’Udc che propone formule emergenziali, di Casini il Cavaliere non sa che farsi. Poi però c’è l’altro Berlusconi. Quello pragmatico. Molto prudente. E assai preoccupato. Che cerca di rammendare gli strappi o, se l’immagine non garba, di puntellare il suo potere fin qui assoluto.

Ieri, ad esempio, proprio mentre snobbava a parole i centristi, Berlusconi dava il via libera all’intesa della Polverini con l’Udc nel Lazio. A costo di mortificare qualche legittima aspirazione nel Pdl. Gli ex-dc avranno due assessorati, sull’altare dell’intesa vedremo molto probabilmente il sacrificio di Cicchetti (area Gasparri) e di Battistoni (giro Tajani). La morale? Con Casini, e a maggior ragione con Fini, il Cavaliere non disdegna affatto le intese. Potrebbero fargli troppo comodo, specie se fossero vere le chiachiere di nuove tegole giudiziarie in arrivo, che continuano a circolare alla Camera, in Senato, perfino nelle alte sfere del Csm.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/54897girata.asp
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« Risposta #70 inserito:: Maggio 27, 2010, 06:11:40 pm »

27/5/2010 (7:5)  - RETROSCENA

I due premier, Palazzo Chigi inscena la diarchia Berlusconi-Tremonti

Ma negli occhi del Cavaliere qualche lampo d'insofferenza

UGO MAGRI
ROMA

Ora lo sappiamo, a comandare in Italia sono in due: Berlusconi e Tremonti. Per effetto dell’emergenza, forse il secondo più del primo. E non inganni la deferenza esibita nei confronti del premier nella conferenza stampa, la modestia ostentata dal ministro davanti alle telecamere, quel suo ripetere educato che la manovra è tutta del Cavaliere, lui l’ha anticipata a Barroso ricevendone disco verde, lui se ne assume la responsabilità dinanzi al Paese... Proprio quest’insistenza sincera, questa premura di Tremonti nel consegnare a Cesare quel che è di Cesare, fotografa i nuovi veri rapporti di forza nel governo e nella maggioranza. Dove regna ormai la Diarchia. O, se si preferisce, il Consolato: Giulio e Silvio.

Al tavolo della sala stampa neo-barocca, ristrutturata dall’imprenditore Anemone con mezzi inversamente proporzionali allo spazio disponibile, ci sono loro due e basta. Cinque sedie vuote, Tremonti seduto alla destra del Padre. In prima fila, a godersi lo spettacolo, Paolino Bonaiuti e l’aiutante di campo del ministro, Marco Milanese. Manca Gianni Letta, assente Sacconi (però elogiato più volte dal collega dell’Economia), nessuna traccia di La Russa, Matteoli, Frattini, Calderoli, Rotondi, la Prestigiacomo... Bisogna parlare al Paese, fuori i secondi. La scena è tutta per la strana coppia. Con Berlusconi che esordisce leggendo un preambolo difensivo, quasi un mettere le mani avanti: «E’ stato giocoforza prendere queste misure», si giustifica, «perlomeno non abbiamo aumentato le tasse», «comunque abbiamo tagliato meno degli altri», «i dipendenti pubblici pagano il dazio ma negli anni scorsi avevano avuto di più». Parole studiate apposta per i tigì, ma in sala l’effetto viene guastato dal microfono che fa eco, sembra di ascoltare Radio Londra. Berlusconi nega dissapori con Tremonti, si dichiara «disperato» per ciò che legge sui giornali malvagi. Grande, consumato attore, il premier lo ringrazia e ri-ringrazia, medaglia pure a chi lo ha coadiuvato nell’impresa. Al termine della conferenza stampa prende il ministro sottobraccio per posare davanti ai flash come si conviene in un momento del genere, siamo o non siamo a un «tornante della Storia»?

Sembrerebbe il trionfo dell’armonia. Ogni volta il ministro si appella all’autorità del premier, «come ha detto il presidente», o «come vi dirà tra poco». Non fa in tempo a spendere una battuta colta e spiritosa delle sue che già Berlusconi sorride, mostrando di saperla già, tale è la consuetudine. Ma poi si colgono certi lampi negli occhi del Cavaliere, alcuni piccoli tic di insofferenza. L’orgoglio del leader abituato a comandare in solitudine, senza mediazioni, balza fuori appena Giulio cita il programma di governo: «L’abbiamo scritto in due!», scatta il premier. O quando ricorda che l’Europa «è stata salvata da questi signori», e addita loro due, «se non intervenivamo noi era probabile una crisi rilevantissima», altro che la Merkel «sotto lo choc di elezioni perse», e comunque non è solo merito del bravo Giulio. Nonostante lo sforzo di sembrare Bibì e Bibò, le distanze emergono prepotenti.

A cominciare dalla tracciabilità dei soldi dove ogni maquillage è superfluo: per Berlusconi pagare cash resta un atto di libertà, «ci sono spese delle volte che uno preferisce effettuare in contanti», meglio non indagare quali, laddove per Tremonti siamo figli dell’arretratezza, «in altri Paesi se tiri fuori le banconote chiamano l’Fbi», qui in Italia siamo assuefatti così. Ancora: il ministro è tutto orgoglioso dei giudizi dall’estero, gli applausi dell’Europa, dei mercati, delle società di rating per questo show di rigore. Il premier annuisce, però poi insiste che la salvezza sarà la ripresa, altro che i tagli, e la crescita grazie a Dio sta arrivando. Chi conosce l’uomo Berlusconi mette in guardia: la coabitazione sua con Tremonti, tra il premier di oggi e (forse) quello di domani, non può durare.

Sarà un caso, ma proprio ieri il Cavaliere ha mandato messaggi di pace al terzo incomodo, cioè Fini. Con la scusa della legge sulle intercettazioni, ha convocato Augello (capo della fronda in Senato) e nientemeno che quel Bocchino di cui voleva sbarazzarsi a qualunque costo. I due si sono stretti la mano, come se nulla fosse, da veri professionisti della politica. Ma il punto non è questo: mancavano i tre coordinatori nazionali del Pdl, tenuti fuori dalla trattativa. Brutto segnale per loro, e devono essersi lamentati dell’esclusione col Capo, perché Ghedini ha dovuto smentire l’incontro con Berlusconi, è stato solo uno scambio tecnico tra giuristi (sebbene Augello e Bocchino giuristi non siano). Difatti a Palazzo Grazioli sono andati, eccome, in veste di ambasciatori. Per preparare l’incontro con Fini entro la prossima direzione nazionale del partito, tempo quindici giorni. La pace nel Pdl è matura, litigare ha danneggiato entrambi i galli del pollaio. Più deboli davanti a Tremonti, disarmati davanti a una manovra contro Roma, gli statali e il Sud, che fa sognare la Lega.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/55397girata.asp
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« Risposta #71 inserito:: Giugno 15, 2010, 09:30:02 am »

15/6/2010 (7:23) - IL CASO

Berlusconi irritato: "E' un voltafaccia"
 
Il premier vuole stringere i tempi ma non si fida del cofondatore

UGO MAGRI
ROMA

Il Pdl insiste, e che altro potrebbe fare? Arrendersi senza combattere? Se non altro, deve salvare la faccia. Non si possono rinviare all’autunno le intercettazioni dopo tutto il diavolo a quattro. Ecco perché Cicchitto e Gasparri tornano alla carica con Fini, «la legge va approvata senza ulteriori rinvii, già se n’è discusso abbastanza»... Ed è normale che al presidente della Camera venga rinfacciato l’accordo di sette giorni fa, quando l’Ufficio di presidenza del partito decise (tutti d’accordo) di procedere col testo che ai finiani adesso va stretto. Berlusconi è rintanato nella villa di Arcore, reduce dalla doppia trasferta domenicale in Bulgaria e in Libia (a Milano è sbarcato alle quattro del mattino).

Lo raccontano irritato, alcuni sostengono fuori di sé contro il «voltafaccia» del cofondatore, e giurano che questa è la prova, con Fini stipulare intese è impossibile perché lui se le rimangia sotto la pressione del Quirinale e della sinistra. Dove Bersani annuncia che, in caso di forzatura, il Pdl «non sa a cosa va incontro». E Di Pietro già indica il sito web internazionale su cui verranno pubblicate le intercettazioni fuorilegge. Dunque Costa, capogruppo berlusconiano nella commissione giustizia della Camera, si batterà come un leone per mettere le intercettazioni all’ordine del giorno. E Cicchitto, presidente dei deputati Pdl, userà tutte le armi concesse dai Regolamenti per portare subito la legge in Aula, e approvarla così com’è magari grazie a un voto di fiducia. Ma sono assalti senza speranza: sul calendario dei lavori l’ultima parola spetta al Presidente che, protesta Osvaldo Napoli, fa un uso molto politico e poco istituzionale dei suoi poteri.

Già si conosce la risposta di Fini: per le intercettazioni non c’è fretta, prima si discuta la manovra dei sacrifici, quella sì che è davvero urgente. Quindici giorni se ne andranno dunque sulle misure economiche. E a fine luglio Berlusconi, con il suo stato maggiore, si troverà di fronte al dilemma: affrontare lo scontro in aula con una quota di deputati che pensano già alle vacanze, o rinviare davvero tutto a settembre, dando l’impressione di cedere a Fini? Sfidare il presidente della Camera fino al punto di mettere la fiducia, o affrontare il «Vietnam» delle votazioni articolo per articolo? Un bel pasticcio. Che qualche libero pensatore dell’entourage berlusconiano non fatica ad ammettere. Individuando pure il peccato d’origine, vale a dire l’incapacità del Cavaliere di definire una linea chiara e coerente nei confronti di Fini (ma pure di Tremonti, ma pure di Casini).

Se si vuole la pace, pace. Se dev’essere guerra, guerra. Non questa condizione di perenne malsano equivoco, in cui la testa suggerisce al premier l’urgenza di una tregua e la pancia gli vieta di firmarla. Per settimane Letta e Verdini, incaricati della trattativa con Fini, hanno atteso il via libera dal leader, mai arrivata però. E da giorni sul tavolo di Berlusconi ci sono alcuni fogli divisi per argomenti: le intercettazioni, la giustizia, le riforme, il partito... Sono le basi della possibile intesa dentro il partito. Di sicuro Gianfranco ha dato il suo benestare, manca quello di Silvio. Il quale ci pensa su, tergiversa, perché come ogni accordo pure quello con Fini comporta delle rinunce, e Berlusconi rifiuta di pagare il prezzo. Nello stesso tempo, esita a sferrare l’offensiva finale. Qualcuno dei più assatanati tra i suoi scommette che il Cavaliere perderà la pazienza. E se Fini rinvierà l’approvazione della legge, lui convocherà gli organi del partito per accusarlo di alto tradimento. L’umore, ieri sera, era battagliero. Domani nessuno può dirlo.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201006articoli/55917girata.asp
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« Risposta #72 inserito:: Giugno 18, 2010, 05:05:13 pm »

18/6/2010 (7:33)  - INTERCETTAZIONI - DOPO IL RINVIO

Bossi vede Fini: "Serve l'intesa con il Quirinale"

Berlusconi indeciso se abbandonare definitivamente la legge

UGO MAGRI
ROMA

Da certi musi lunghi a Palazzo Chigi si capisce che non è andata come doveva. Gianni Letta il tentativo lo ha fatto, non con il Capo dello Stato direttamente ma con i suoi collaboratori più fidati. Per capire se davvero Napolitano è orientato (così sostengono dalle parti di Fini) a bocciare la legge sulle intercettazioni nella versione attuale. E poi per farsi suggerire qualche eventuale modifica che plachi il Presidente. Invano, però. L’Ambasciatore pare non abbia cavato un ragno dal buco. Lassù gli hanno detto chiaro e tondo di lasciarli perdere, il Colle giudicherà la legge solo alla fine del percorso, il primo cittadino della Repubblica non vuole essere coinvolto nella rissa interna al Pdl dove si scaricano rancori personali insormontabili.

Se la veda il Cavaliere direttamente con Fini, e magari pure con Bossi. Già, perché quei due adesso vanno a braccetto. Sarebbe stato istruttivo cogliere l’espressione del premier, quando il portavoce Bonaiuti gli ha riferito che Gianfranco e Umberto hanno confabulato per venti minuti alla Camera. Purtroppo Berlusconi era a Bruxelles, assorbito dal Consiglio europeo, tra l’altro imbestialito con quei giornali che tutte le mattine gli pubblicano tra virgolette lenzuolate di confidenze, vere o presunte. Insomma, lo stato d’animo si può solo intuire. E’ quello del duce accerchiato. Tradito da tutti. Attaccato perfino da Radio Vaticana, dove un docente universitario cattolico manda all’inferno la legge sulle intercettazioni in quanto contraria alla dottrina della fede... Ma quello che più brucia al Cavaliere è il faccia a faccia tra Fini e Bossi, a ruota dell’altro tra Fini e Tremonti.

Nato, stavolta, per puro caso. Il presidente della Camera ha visto Bossi in Aula (così raccontano i rispettivi staff) e gli si è avvicinato per ringraziarlo di certe aperture amichevoli del giorno prima. Il Senatùr ne avrebbe profittato al volo: «Parliamo un attimo delle intercettazioni. Io sono preoccupato...». La sostanza è che di perplessità sulla legge la Lega ne ha una sporta piena. Sono quante quelle di Fini o poco ci manca. Sospettano i berlusconiani che Bossi, «istigato» dal ministro Maroni, non voglia cedere al presidente della Camera la bandiera della legalità. Qualunque sia la ragione, Umberto si nasconde anche lui dietro Napolitano: «Se il Presidente della Repubblica non firma la legge siamo fregati», dichiara ai media. Quindi occorre «parlare col Quirinale e con Berlusconi per trovare una via d’uscita», di sicuro «se si va a testa bassa non si risolvono le cose», capito Silvio? Inutile tentare forzature, tipo approvazione in agosto con voto di fiducia.

La Lega non ci starebbe. Ammettono alti dignitari del premier che, a questo punto, gli restano solo due strade. O Silvio accetta la lunga lista di modifiche indicate da Fini, nel qual caso la legge sulle intercettazioni passa in un batter d’occhi. Oppure, con la scusa di rinviare la discussione a settembre perché c’è altro più urgente, chiude la legge in un cassetto e getta via la chiave. Ogni soluzione ha vantaggi e svantaggi. Nel primo caso il Cavaliere, sconfitto, metterebbe la firma a un testo che non riconosce come figlio suo, però sempre meglio di zero. Nel secondo caso, Berlusconi non avrebbe scudo contro le intercettazioni future, però potrebbe rivolgersi all’Italia: «Vedete? Ho le mani legate» (secondo l’agenzia Agi già lo va dicendo in giro).

E ancora: «In questo Paese le riforme sono diventate impossibili». Scaricandone la colpa sul «dannoso» Fini, ovviamente, ma anche su Napolitano e, perché no, sull’egoismo della Lega. Al momento, non risulta che Berlusconi abbia chiaro il da farsi. Prende tempo, quello sì. E aspetta scettico che Verdini, Quagliariello e La Russa incontrino la prossima settimana Bocchino e Augello (gli emissari di Fini) per cercare l’ennesima tregua.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201006articoli/55994girata.asp
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« Risposta #73 inserito:: Giugno 23, 2010, 05:52:50 pm »

23/6/2010 (7:35)  - RETROSCENA

Intercettazioni, il premier in ritirata
   
«Salvare il salvabile»: Berlusconi apre la trattativa con il Colle


UGO MAGRI

Sulla manovra: «Parlatene con Tremonti». Sulle intercettazioni: «Vedetevela voi». Su Fini: «Fate quello che vi pare, ma tenetemi fuori». Berlusconi con la valigia pronta per la tournèe in Sudamerica (e forse per questo motivo di umore radioso) scarica sui fedelissimi tutte le grane. E quelle di cui non può liberarsi ora, tipo la lunga marcia del Pdl verso il congresso, le scaccia con un gesto di fastidio ad agosto, «intanto voi cominciate a pensarci, ne parleremo poi...».

Come se il grande disordine sotto il cielo non riguardasse lui. Dove si è nascosto il Cavaliere iper-attivo, decisionista? Se lo chiedono i suoi scudieri, preoccupati da questo inedito «laissez-faire» berlusconiano. Qualcuno lo definisce «realismo» perché in fondo Silvio non può impedire a Bossi e a Fini di azzuffarsi come ieri sulla Padania. Deve allargare le braccia davanti alle impuntature di Tremonti («Abbiamo viaggiato insieme in aereo», racconta il Capo del governo, «e mi ha descritto un quadro poco rassicurante, grandi correzioni alla manovra non saranno possibili»).
Né Berlusconi può costringere Napolitano a firmare leggi contrarie alla Costituzione. Il risultato del pranzo a Palazzo Grazioli con i triumviri (Bondi, La Russa, Verdini), i capigruppo (Cicchitto, Gasparri, più il «vicario» Quagliariello), i giuristi (Alfano e Ghedini) e le «zie» (Letta, il portavoce Bonaiuti) si riassume in questa lenta deriva fatalista, quasi zen.

Si prendano le intercettazioni: siamo alla ritirata. L’obiettivo diventa «chiudere il più presto possibile», accettando le correzioni del caso. L’interlocutore sarà Napolitano, come Bossi suggerisce. E a trattare col Quirinale provvederà il ministro della Giustizia. Riservatamente, perché il Capo dello Stato non vuole mercanteggiare, già sarà molto strappargli suggerimenti concreti. Ma le riserve del Colle sono note, spaziano dalla proroga ai magistrati, che verrebbero costretti a rinnovare la richiesta ogni 72 ore, fino ai divieti di pubblicare sui giornali addirittura le intercettazioni non più segretate, passando per i cosiddetti reati-spia, per gli ascolti «ambientali», per la responsabilità oggettiva a carico degli editori. Berlusconi dà carta bianca ad Alfano nella speranza di chiudere entro la prima settimana di agosto ed da evitarsi un’altra estate caliente sulla graticola del gossip. Ma se per caso la quarta lettura al Senato non arrivasse in tempo, allora pazienza: l’importante è comunque «salvare il salvabile», riconosce Silvio deluso e distratto.

Idem sui rapporti con Fini. Si coglie una noia nella sua intervista a «Oggi» dove, insieme alle foto con la prima moglie Carla Dall’Oglio tornata in auge, Berlusconi parla del matrimonio politico con Gianfranco, («Fare la pace? Mai stato in guerra con nessuno»), e quasi invoca una tregua «senza strappi, senza inutili provocazioni quotidiane, senza uno stillicidio di polemiche continue». Ma lui per primo sa che non c’è verso: Fini non mollerà, anzi cercherà di rubargli consensi nel Pdl dicendo cose «di destra» sulla Patria, contro la Lega, sfruttando un sentimento diffuso dentro il partito. Per cui va bene trattare col presidente della Camera, però da Fini si rechino come Magi i tre coordinatori nazionali. Se la sbrighino loro che rappresentano la maggioranza del partito: Berlusconi non ha niente in contrario, però lui domani deve partire, Canada, Brasile, Panama, e la villa privata ad Antigua...

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« Risposta #74 inserito:: Luglio 01, 2010, 10:29:36 pm »

28/6/2010 (8:36)  - RETROSCENA

Berlusconi contro le Regioni

«Adesso basta sprecare soldi»

UGO MAGRI
TORONTO

Il gesto con le due mani congiunte è inequivocabile, Totò l’avrebbe accompagnato col suo celebre «ma mi faccia il piacere...». Solo che stavolta non si tratta del grande attore comico, bensì di Giulio Tremonti. Il quale non crede affatto che l’impegno appena sottoscrito dai Venti nella dichiarazione finale (dimezzare i deficit entro il 2013, stabilizzare o ridurre il rapporto debito-Pil entro il 2016) sia legge scolpita nel marmo. «Grandi obiettivi, grandi traguardi internazionali», glissa sorridendo. Berlusconi è d’accordo col suo ministro, il testo conclusivo G20 pecca di «ottimismo», ma in fondo se si vuole ottenere un risultato, spiega, occorre mirare sempre parecchio in alto, altrimenti non si porta a casa niente... E per l’Italia, chiedono al premier nella conferenza stampa di bilancio del summit, questo impegno che cosa cambia? «È presto per dirlo adesso - taglia corto il Cavaliere -, ora mettiamoci di buzzo buono per raggiungere il 3% di rapporto deficit-Pil che chiede giustamente l’Europa entro il 2012», poi si vedrà.

Piuttosto, stiano attente le Regioni in rivolta contro la manovra dei sacrifici varata dal governo: Berlusconi sembra determinato a procedere come un panzer. Premette che «dovremo rassegnarci a diminuire le spese», per poi lanciare l’affondo: «Chi ha la responsabilità delle Regioni difende lo status quo, perché molto spesso si tratta di abolire enti e quindi di persone che dovranno trovarsi un altro lavoro». Scelte dolorose, riconosce il premier, salvo mulinare il randello sulla testa di Formigoni, Cota e gli altri governatori ribelli: «Non si può andare avanti così, a sprecare i soldi dei cittadini», esclama con l’aria scandalizzata. L’esito del G20 ha nell’insieme soddisfatto il premier, che rimarca con gioia la vittoria della propria tesi contrapposta a quella della Merkel.

Poteva forse evitare questa sottolineatura, tuttavia davanti a taccuini e telecamere il Cavaliere non resiste. «La nostra posizione contraria alla tassazione delle transazioni finanziarie è stata confermata», nonostante vi fosse stata «un’espressa richiesta del Cancelliere tedesco perché l’Europa l’introducesse, anche da sola». Un braccio di ferro perso dalla Germania: «Ero stato buon profeta nel prevedere che nella dichiarazione conclusiva non ci sarebbe stato riferimento a questa tassazione». Così è andata, si compiace il premier.

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