A. CARUGATI. Una rilevazione Ixè: tra i giovani solo il 35% è per l’integrazione

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Arlecchino:
Pd, il ritorno di Renzi: “Le regole della casa si rispettano”
L’ex segretario parla agli oltre 800 delegati della convention che chiude il congresso nei circoli e lancia la fase due, quella che si concluderà il 30 aprile con le primarie

Pubblicato il 09/04/2017 - Ultima modifica il 09/04/2017 alle ore 19:05

ANDREA CARUGATI

Dopo settimane di understatement, tra viaggi col trolley e poca tv, all’hotel Ergife di Roma torna in scena il “Renzi pride”. L’ex segretario parla agli oltre 800 delegati della convention che chiude il congresso nei circoli e lancia la fase due, quella che si concluderà il 30 aprile con le primarie. Toni e argomenti sono quelli di un segretario già eletto, che apre la sfida elettorale con il M5S e invia un avvertimento chiaro ai dissidenti interni: “Le regole nella casa si rispettano tutti e non si passano i prossimi quattro anni a bombardare il quartier generale con i distinguo e i ‘non sono d’accordo con nulla’”. “Non ne possiamo più di discutere di scissioni. Questo è il Pd, questo il messaggio arrivato dall’assemblea degli iscritti”. 

L’ex segretario alza la voce in più occasioni, per attaccare i grillini, “non accettiamo lezioni di onestà da un partito fondato da un pregiudicato”, e per difendere i suoi mille giorni. Ammette alcuni errori su scuola e famiglie, “potevamo fare meglio”, ma rivendica i successi sui diritti civili, le famiglie con disabili, il lavoro. “Grandi temi sociali e civili su cui prima si facevano i convegni, ora ci sono i fatti”. Insomma, la linea dei tre anni di governo non cambia. Soprattutto nei confronti della Ue: “Europa sì ma non così”, lo slogan. “In questi tre anni abbiamo fatto uno sforzo titanico per cambiare il paradigma in Europa. Se diventerò segretario la posizione del Pd sarà quello di mettere un veto all’inserimento del fiscal compact nei trattati istitutivi dell’Ue”. 
 
La battaglia contro l’austerity prosegue, dunque. Ma Renzi, oltre a demolire la svolta governista del “nuovo leader del M5S Davide Casaleggio”, spara anche contro gli avversari interni. In particolare contro Andrea Orlando, che nel suo intervento aveva demolito il Pd renziano e i tre anni del rottamatore a palazzo Chigi, ripetendo numerose volte le parole “referendum” e “sconfitta”, decisamente invise ai renziani. “Abbiamo ignorato le cause del disagio degli elettori, la geografia del No che è più forte tra i giovani e nelle periferie”, attacca Orlando. “Speravo che quel risultato ci aiutasse a superare un racconto dell’Italia che ce la fa. E invece…”. Orlando cita le famiglie con figli disoccupati. E incalza: “Quando ci sentono parlare solo dell’Italia che è uscita dalla crisi finiscono per incazzarsi…”. Poi invita il partito a “non usare lo stile e il lessico malato dei populisti”, in particolare contro l’Europa. E ancora parla di “riforme senza popolo”, ricorda come “il governo più giovane della storia è stato colpito dal voto dei giovani”. 
 
“Renzi aveva suscitato la speranza di far saltare il tappo che blocca la società. E invece al governo noi quel tappo lo abbiamo avvitato ancora di più. Ci siamo isolati”. Poi cita la sua visita all’alba ai cancelli di Mirafiori: “Pensavo mi avrebbero preso a calci…”. Poco dopo la gelida replica di Renzi: “Caro Andrea, non ti hanno preso a calci perché noi con Marchionne quegli stabilimenti abbiamo contribuito a tenerli aperti”. “Noi siamo il partito del lavoro”, si accalora l’ex premier. Ma Orlando insiste: “E’ tempo di ricucire le ferite, rimettere al centro la lotta alle disuguaglianze”. 
 
E sul congresso: “Un partito in affanno non risolve i suoi problemi con una competizione interna, con una rivincita. Dopo il referendum il partito non ha cambiato linea. Matteo si è dimesso, ma la linea è la stessa”. Orlando lancia altre stoccate sul sostegno al governo (Gentiloni è in prima fila): “Basta smarcamenti quotidiani”. E sulla legge elettorale: “Troppi tatticismi, se non troviamo i voti per cambiarla è perché non li stiamo cercando”. Renzi chiude, almeno per ora, all’idea di una iniziativa Pd sulla legge elettorale. E cita l’episodio dei giorni scorsi, l’elezione in Senato di un presidente di commissione coi voti delle opposizioni e dei bersaniani. “Un episodio di una gravità enorme. E’ la dimostrazione che in Parlamento, in questo momento, c’è la stessa maggioranza che ha detto No al referendum. Quindi la responsabilità di avanzare una proposta spetta a loro”.
 
Nella sfida a due resta sullo sfondo Michele Emiliano. A causa di un grave infortunio al tendine d’Achille, il governatore della Puglia parla con un video dall’ospedale di Foggia. Dietro di lui una flebo, volto pallido e voce affaticata, Emiliano chiede di “uscire dalla logica di un uomo solo che salva tutti”. “Dobbiamo chiudere con questo rapporto così difficile con l’elettorato dei 5 stelle, la stragrande maggioranza di quegli elettori sono nostri elettori”. Per una parte della mattinata circola l’ipotesi di un rinvio delle primarie per permettergli di rimettersi in salute.
 
Ipotesi fatta circolare proprio dai sostenitori di Emiliano. Orlando apre all’ipotesi, ma Lorenzo Guerini lo stoppa: “La macchina ormai è in moto”. Lo stesso presidente pugliese, via Facebook, chiude la partita: “Non voglio assolutamente condizionare i tempi delle primarie, non ho chiesto nulla in tal senso, ringrazio ancora chi ha mostrato spontaneamente sensibilità e immedesimazione”. Alla fine dei comizi, i delegati si buttano su Renzi e Gentiloni per un selfie ricordo. “Tre bei discorsi”, commenta il premier. “Emiliano in particolare mi è parso molto affezionato al Pd”.
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/04/09/italia/politica/pd-primo-scontro-sullo-slittamento-delle-primarie-per-linfortunio-di-emiliano-contrari-i-renziani-fxKGtiBNKqIeWy6vlIYFCN/pagina.html

Arlecchino:
Pisapia e Alfano non si candidano, il Pd di Renzi resta senza alleati
Il progetto “Campo Progressista” dell’ex sindaco già al capolinea: «Impossibile il dialogo con i dem». Anche il leader di Area Popolare annuncia il passo indietro: «Non sono legato alla poltrona»

Pubblicato il 06/12/2017 - Ultima modifica il 06/12/2017 alle ore 18:17

ANDREA CARUGATI
ROMA

«Ci abbiamo provato per mesi, ma dobbiamo prendere atto che non siamo riusciti nel nostro intento». Giuliano Pisapia chiude il suo Campo progressista. Dopo lo stop del Pd allo ius soli, il movimento nato attorno all’ex sindaco di Milano è imploso. E così non ci sarà una lista di sinistra alleata dai dem alle prossime elezioni. Una notizia che arriva nelle stesse ore in cui il ministro degli Esteri Angelino Alfano annuncia a sorpresa che non si ricandiderà in Parlamento. Un gesto personale, annunciato negli studi di Porta a Porta, condiviso solo con i genitori e con la moglie. E così anche la lista centrista, che doveva comporre la coalizione attorno al Pd, rischia di naufragare. 
 
LA RINUNCIA DELL’EX SINDACO 
Pisapia ha deciso di ritirarsi dall’agone nazionale. Dopo una riunione di quattro ore con lo stato maggiore di Campo progressista, ha suonato il liberi tutti. «Ringrazio di cuore tutte le donne e gli uomini che hanno creduto e si sono impegnati in questo progetto e che ora si muoveranno secondo le proprie sensibilità, la cui diversità è sempre stata, a mio modo di vedere, una delle ricchezze più importanti di questa esperienza», scrive l’ex sindaco. 
 
LO SCONTRO DENTRO “CAMPO PROGRESSISTA” 
In mattinata un duro scontro durante la riunione tra l’ala sinistra degli ex Sel guidata da Ciccio Ferrara e dai ragazzi Alessandro Capelli e Marco Furfaro, che guarda alla lista di Pietro Grasso, e i centristi di Bruno Tabacci, che avrebbero voluto continuare il dialogo col Pd nonostante lo ius soli sia stato messo all’ultimo punto del calendario dei lavori del Senato. Durante la riunione sono volati gli stracci. Il deputato Michele Ragosta, favorevole alla coalizione con Renzi, attacca i «traditori di Pisapia» che «hanno lavorato per affossare il progetto di Campo progressista». «Si tratta di pochi cadaveri politici, uomini senza dignità, pronti a vendere l’anima per una poltrona», l’affondo di Ragosta.
 
IL FORFAIT DI ALFANO 
Nelle stesse ore del forfait a sinistra, come detto, si è sfilato anche lo storico «avversario» di Pisapia, quell’Angelino Alfano che l’ex sindaco non voleva dentro la coalizione di centrosinistra. «Nella mia decisione», ha detto il leader di Ap, «hanno influito anche gli attacchi ingiusti contro di me», soprattutto l’accusa di essere legato alla poltrona. «Voglio compiere un gesto per dimostrare che tutto quello che io e altri abbiamo fatto è stato solo dettato da una sincera e fortissima convinzione a favore dell’Italia, motivata da una responsabilità in un momento in cui il Paese rischiava di andare giù per il precipizio».
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/12/06/italia/politica/pisapia-si-ritira-dalla-campagna-elettorale-impossibile-dialogo-col-pd-gli-ex-sel-vanno-con-grasso-gALlHOjQRDW8l0pT2H5DwO/pagina.html

Arlecchino:
I sondaggisti e l’effetto sulle urne: “Ora ha paura degli immigrati anche chi vota centrosinistra”

Una rilevazione Ixè: tra i giovani solo il 35% è per l’integrazione

Pubblicato il 06/02/2018

ANDREA CARUGATI
ROMA

Uno studio realizzato da Ixè spiega molto bene perché Silvio Berlusconi, dopo i tragici fatti di Macerata, abbia deciso di mettersi a traino di Matteo Salvini nel fronte anti-immigrazione. Si tratta di una ricerca che non sonda le intenzioni di voto, ma solo gli atteggiamenti verso l’immigrazione. Da questo studio emerge come tra i giovani italiani 18 e 34 anni solo il 35% sia favorevole ad una piena integrazione, mentre il 40% chiede limiti severi ai flussi migratori e il 25% dice un secco «basta». 

In totale, oltre il 60% degli under 35 esprime un sentimento poco o per nulla favorevole verso i nuovi arrivi. «Tra le fasce di età più anziane questi numeri aumentano, le persone tendono ad avere ancora più diffidenza verso gli stranieri», spiega il presidente di Ixè Roberto Weber. «Fino a qualche anno fa gli elettori di centrosinistra erano piuttosto estranei a questo sentimento di paura. Ora è tutto cambiato: la paura dell’immigrato è entrata nella carne viva anche dell’elettorato del Pd», dice il sondaggista. «I numeri attuali della Lega di Salvini si spiegano in larga parte con la lunga campagna che è stata condotta sul tema dell’immigrazione. E l’inseguimento di Berlusconi non è casuale, ma si basa su numeri certi». Il Pd, da questo punto di vista, paga pegno: «Certo, i dem pagano un prezzo e questo nonostante la fermezza mostrata dal ministro Minniti. Se non ci fosse stata, il prezzo pagato in termini di voti sarebbe stato ancora più alto».

Weber ricorda come questo sentimento di paura mista a ostilità non sia sempre collegato alla realtà che le persone vivono nella vita quotidiana, ma alla fruizione dei media, in particolare della tv: «Un nostro studio di alcuni anni fa mostrava già una forte correlazione tra gli atteggiamenti, il numero di ore passate davanti alla tv e il tipo di programmi scelti». Insomma, «l’ostilità verso lo straniero è un sentimento facilmente “attivabile”, condizionabile dalle campagne di comunicazione».

Antonio Noto, della società di sondaggi Ipr, non crede che i fatti di Macerata possano incidere in modo sensibile sulla campagna elettorale. «L’immigrazione è un tema chiave ma non da oggi: la vera novità di questa campagna è che ormai il problema riguarda in modo omogeneo tutto il territorio nazionale, compreso il Sud. E che è diventata una priorità anche per gli elettori di centrosinistra, che in passato erano meno catturati da questo tema», spiega. «Dai sondaggi si capisce che l’equazione tra immigrazione e insicurezza è passata nell’opinione pubblica». 

E tuttavia la sfida sui voti anti-immigrati sembra appannaggio delle forze di centrodestra, una sorta di derby tra Berlusconi, Salvini e Meloni, con un possibile ruolo anche del M5S. «Negli anni scorsi, dopo il voto del 2013 - spiega Noto - Forza Italia ha ceduto voti alla Lega e al M5S. Non a caso oggi Berlusconi sta facendo una campagna contro il M5S sui temi della Lega: l’obiettivo è recuperare almeno quel 6% che separa gli attuali numeri attribuiti a Fi, (16%) dal risultato delle politiche 2013 del Pdl che era il 22%».
Ad Arcore nelle ultime 48 ore Berlusconi ha letto e riletto i dati forniti con grande rapidità dopo gli eventi di Macerata dalla sondaggista di fiducia Alessandra Ghisleri. Da cui emerge come il tema della sicurezza sia ormai al primo posto tra le preoccupazioni degli italiani, superando anche le tasse e il lavoro. L’ex Cavaliere è rimasto colpito dal numero di persone che hanno dato ragione a Salvini, ma anche da un altro dato: solo una piccola parte di chi si dice d’accordo con il segretario leghista lo giudica credibile come leader. Di qui la svolta, la decisione di porsi come paladino della sicurezza, utilizzando toni duri che Berlusconi dal 1994 non aveva mai usato contro gli immigrati. Dalla ricerca di Ghisleri è emerso un altro dato che ha colpito il leader di Forza Italia: l’alto tasso di «insoddisfazione» per come il governo ha gestito il tema sicurezza, non solo nel caso di Macerata. E la domanda di uno Stato più interventista.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/02/06/italia/politica/i-sondaggisti-e-leffetto-sulle-urne-ora-ha-paura-degli-immigrati-anche-chi-vota-centrosinistra-UKPZVN400C4oHh3WqCanXK/pagina.html

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