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Autore Discussione: Tamara Gasparri. Fisco Equo  (Letto 2690 volte)
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« inserito:: Ottobre 05, 2014, 07:39:35 pm »

Sabato 27 Settembre 2014 18:20

Fisco Equo pubblica l'intervento di Tamara Gasparri tenuto al convegno Lef di Rimini il 20 settembre su 'La Convenzione tra Italia e San Marino per evitare le doppie imposizioni e prevenire le frodi fiscali. Le novità del Protocollo di modifica'.

Di Tamara Gasparri

Con l’entrata in vigore della Convenzione contro le doppie imposizioni, anche San Marino ‘entra’ in Europa nei rapporti con l’Italia. Numerose le novità del Protocollo di modifica. Gli aspetti più rilevanti riguardano la tassazione dei flussi intercompany di dividendi, interessi e royalty, il ruolo delle amministrazioni nella valutazione dei singoli casi, la previsione di un arbitrato nei casi di disaccordo e il tema centrale della residenza delle società che operano nei due paesi in relazione ai concetti di oggetto principale dell'attività e sede di direzione effettiva. La convenzione rappresenta un documento di grande interesse che può costituire un buon punto di partenza per il reciproco confronto previsto dal Protocollo di modifica: una impostazione che dovrebbe servire a ‘premiare’ realtà vere e, nel contempo, ad evitare l’utilizzo di meri veicoli giuridici o società conduit in ‘triangolazioni’ con altri ordinamenti che possono favorire l’erosione delle basi imponibili e se non addirittura fenomeni di doppia non imposizione.

Di seguito il testo integrale dell'intervento di Tamara Gasparri
1. La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e San Marino, sottoscritta il 21 marzo 2002, è entrata in vigore il 3 ottobre 2013 dopo la firma del Protocollo di modifica.

Un contributo decisivo per il processo che ha portato i due Stati contraenti a superare le ultime criticità è venuto dal completamento della riforma dell’ordinamento fiscale interno e internazionale avviata da San Marino sin dall’aprile del 2009, quando si impegnò ad aderire agli Standards OCSE su trasparenza e scambio di informazioni.

Ed è proprio la nuova formulazione dell’art. 26 della Convenzione sullo scambio di informazioni, di cui si occuperà in modo specifico il dott. Villiam Rossi, a costituire l’elemento centrale del Protocollo di modifica. Alla effettiva implementazione dello scambio di informazioni sono, infatti, subordinate le principali novità di ordine sostanziale e procedurale apportate alla Convenzione stessa.

2.La nuova disciplina dei flussi Intercompany di dividendi, interessi e royalty.


Per quanto riguarda i dividendi, il testo originario dell’articolo 10 della Convenzione era formulato in coerenza con il Modello Ocse di riferimento e prevedeva l’applicazione di una ritenuta del 5 per cento quando il beneficiario effettivo era una società che deteneva una quota non inferiore al 25 per cento del capitale della società emittente; nonché l’applicazione di una ritenuta del 15 per cento negli altri casi. Il Protocollo di modifica ha sostituito l’art. 10 riconoscendo ai dividendi in uscita un regime di esenzione1 dalle ritenute, analogo a quello della direttiva comunitaria madre-figlia, quando il beneficiario effettivo è una società di capitali, che sia stata titolare di una quota non inferiore al 10 per cento del capitale della società emittente per un periodo (antecedente alla distribuzione) di almeno 12 mesi. Negli altri casi, è confermata la ritenuta del 15 per cento.

Parimenti, con riferimento agli interessi e alle royalty, l’originaria disciplina degli articoli 11 e 12 della Convenzione - che prevedeva, rispettivamente, una ritenuta del 13 per cento2 e del 10 per cento - è stata sostituita da un regime di esenzione3 da qualsiasi prelievo alla fonte, analogo a quello della direttiva interessi e royalty, in tutti i casi in cui i flussi dei relativi compensi siano corrisposti, in qualità di beneficiario effettivo, ad una società di capitali che abbia detenuto una quota non inferiore al 25 per cento del capitale della società debitrice per un periodo (antecedente al pagamento) di almeno 12 mesi4.

Queste disposizioni sono, tuttavia, operanti a condizione che si renda effettivamente applicabile lo scambio di informazioni secondo gli Standards OCSE di cui all’art. 26 della Convenzione, nel testo riformulato dal Protocollo di modifica5. L’art. V del Protocollo prevede, infatti, che ciascuno Stato contraente possa, unilateralmente, sospendere il regime di esenzione (rectius il regime di ritenuta allo 0 %) degli artt. 10, 11 e 12 qualora ritenga che l’art. 26 non sia adeguatamente applicato.

In tale evenienza, le Autorità competenti faranno del loro meglio per regolare in via di amichevole composizione il ripristino di un effettivo scambio di informazioni.

L’eliminazione delle ritenute sui flussi Intercompany costituisce un potente incentivo per la promozione delle attività transfrontaliere tra i due Paesi, riducendo gli svantaggi finanziari, i rischi di doppia tassazione6 e gli oneri amministrativi. Si tratta di misure che comportano il riconoscimento, anche nei rapporti tra Italia e San Marino, dei principali benefici delle direttive comunitarie madre - figlia e interessi e royalty, ossia degli istituti che, in ambito tributario, assicurano e presidiano l’esercizio della libertà di stabilimento c.d. secondaria, la libertà cioè di qualsiasi operatore economico (in questo caso una società costituita secondo il diritto di uno Stato contraente) di stabilirsi nell’altro Paese attraverso società partecipate o stabili organizzazioni.7

3. L’uscita dalla black list.

Per quanto attiene agli aspetti procedimentali, assume rilievo centrale il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 12 febbraio 2014 che - a seguito dell’entrata in vigore della Convenzione (resa possibile, come detto, dall’accordo su uno scambio di informazioni coerente con gli standards OCSE) - ha disposto l’uscita di San Marino dalla black list di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 19998.

Ricordiamo, al riguardo, che questo provvedimento comporta una serie di rilevanti benefici per le transazioni tra i due Paesi:

    fa venire meno la presunzione relativa di residenza in Italia dei cittadini italiani emigrati a San Marino di cui all’art. 2 comma 2-bis del TUIR;

    elimina l’obbligo di comunicazione dei dati relativi alle operazioni intercorse con operatori economici sanmarinesi di cui all’art.1 comma 1 del DL n. 40 del 2010;

    rende pienamente operante, nei rapporti tra Italia e San Marino, la libertà comunitaria di circolazione dei capitali: una libertà che, come è noto, si estende anche ai rapporti con i Paesi terzi, purché – secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia - si tratti di Paesi cooperativi, che consentono un adeguato scambio di informazioni9.

4. Il tema della ‘residenza’.

Nel loro insieme, tutte queste misure favoriscono, come detto, la costituzione di gruppi di imprese, gli investimenti diretti e finanziari, la mobilità delle persone e dei capitali. E, proprio per questo, richiedono di essere sostenute con istituti in grado di prevenire e risolvere i possibili conflitti in ordine, soprattutto, alla individuazione della residenza fiscale di persone fisiche e legal entity, per evitare che al maggior livello di interscambio corrisponda un aumento esponenziale delle contestazioni relative a ‘esterovestizioni’, reali o presunte.

Di questo si occupa la nuova disposizione inserita nell’art. VI, punto 1) del Protocollo, in base alla quale “i due Stati convengono di esaminare le fattispecie applicative dell’articolo 4 della Convenzione … in materia di residenza fiscale, tenuto altresì conto della particolare situazione socio economica e geografica dei due Paesi”.

Al riguardo, merita ricordare che nei rapporti transfrontalieri possono facilmente verificarsi conflitti di doppia residenza, derivanti dalla applicazione dei differenti criteri che ciascun ordinamento autonomamente prevede per fissare la residenza fiscale di persone fisiche o legal entità e che talora si sovrappongono. Per risolvere la questione, le Convenzioni conformi al Modello OCSE di riferimento individuano precise regole preferenziali (tie breaker rules): la “sede di direzione effettiva” per le legal entity; oppure – in successione gerarchica – l’abitazione principale, il centro degli interessi vitali, la dimora abituale e, infine, la cittadinanza, per le persone fisiche.



L’art. 4 della Convenzione con San Marino segue questa medesima impostazione, che è stata, tuttavia, profondamente innovata dalla richiamata disposizione del Protocollo di modifica, che adotta pragmaticamente un approccio case by case. La vicinanza geografica, storica, economica, sociopolitica e persino linguistica tra i due Paesi sfuma i reciproci confini e rende particolarmente difficile individuare dove un soggetto - e in particolare una legal entity - che interagisce e conduce affari con entrambi gli ordinamenti può essere considerato residente. Da qui, l’opportunità di evitare il mero ricorso a concetti astratti e generalizzazioni e l’impegno ad esaminare ogni singolo caso problematico in un confronto leale a aperto tra Amministrazioni, dando rilievo a molteplici elementi di natura più sostanziale, nell’ambito della procedura amichevole, perfezionata – come si dirà – dalla fase arbitrale.

Il problema della residenza si pone, del resto, in termini particolarmente complessi per le legal entity, accentuati dalla collocazione geografica di San Marino come una ‘enclave’ all’interno del territorio italiano, con operatori che si rapportano continuamente con il mercato italiano.

5. Residenza delle società e oggetto principale dell’attività nei rapporti tra Italia e San Marino.

I forti fattori di contiguità e vicinanza tra Italia e San Marino e, nel contempo, le rilevanti differenze dei rispettivi ordinamenti giuridici hanno già sollevato in passato molti problemi sui temi della residenza e della esterovestizioni.

Nel 2006, a seguito di una verifica fiscale era stato contestato a una nota società sanmarinese di essere fiscalmente residente in Italia, e , in particolare, di avere “l’oggetto principale dell’attività”10 nel territorio dello Stato, perché da esso derivava la maggior parte dei propri ricavi.

Il caso riguardava una società costituita in San Marino in epoca risalente e non sospetta, da cittadini sanmarinesi, dedita al commercio all’ingrosso di prodotti di un famoso marchio estero, di cui era il distributore esclusivo per l’Italia. Non presentava alcun elemento di collegamento con l’Italia (se non il fatturato delle proprie vendite) né era stata accertata la presenza sul territorio nazionale di strutture o quant’altro qualificabile come stabile organizzazione. La questione, sollevata dal Segretario Stato di San Marino con una nota ufficiale del giugno 2006, fu risolta qualche mese dopo e in senso favorevole alla società con un parere reso dalla Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell’Agenzia delle Entrate.

La tesi dei verificatori si basava, in effetti, su una estemporanea interpretazione del criterio di collegamento tra un determinato territorio e l’‘oggetto principale’ di una società che non teneva minimamente conto della sua derivazione dal corrispondente istituto del codice civile né della relativa giurisprudenza di merito e di legittimità.

In effetti, il riferimento all’ “oggetto principale dell’attività” come criterio per incardinare la residenza fiscale in Italia di una società di diritto estero11 deriva dalla trasposizione nell’ordinamento tributario dell’istituto disciplinato dal previgente art. 2505 del cod. civ. (e, poi, dall’art. 25 della legge di diritto privato internazionale n. 218 del 1995) secondo cui le società di diritto estero che hanno in Italia la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale dell’attività “sono soggette, anche per i requisiti di validità dell’atto costitutivo, a tutte le disposizioni della legge italiana”12: subiscono, cioè, una sorta di ‘nazionalizzazione’. Si tratta di ipotesi ravvisabili, secondo il costante orientamento della giurisprudenza civilistica, soltanto in presenza di precisi elementi di collegamento (di natura oggettiva e soggettiva) dell’ente con il territorio nazionale, di rilevanza tale da ingenerare nei terzi il convincimento di trattare affari con una società di diritto nazionale; e cioè una sede, tramite la quale venga esercitata in via principale l’attività d’impresa della società (requisito oggettivo), guidata in loco da un soggetto investito di poteri di rappresentanza con carattere di stabilità e permanenza (requisito soggettivo): una presenza pubblica e ‘qualificata’ e, per questo, fonte di responsabilità13.

Niente di più lontano, quindi, rispetto alle caratteristiche del caso della società sanmarinese che si limitava ad esportare beni da uno Stato estero, senza disporre in Italia di alcuna sede di attività (né principale né secondaria) e ancor meno di un soggetto ad essa preposto, dotato di poteri di rappresentanza stabile e in grado di impegnare la società estera con carattere di continuità. Al riguardo, la risposta della Direzione Centrale Normativa e Contenzioso si conformò all’orientamento giurisprudenziale formatosi a commento dell’istituto civilistico di riferimento, che ha sempre interpretato in senso restrittivo il criterio dell’oggetto principale dell’attività, proprio per evitare ampliamenti eccessivi della sua sfera di applicazione e ‘naturalizzazioni’ arbitrarie di società genuinamente estere14.

Questa stessa impostazione è stata confermata da una recente sentenza della Cassazione che, nel contesto di una controversia penale-tributaria, ha respinto la tesi che intendeva incardinare l’oggetto principale di una società estera in Italia, in quanto il territorio nazionale costituiva il principale mercato di destinazione dei servizi da essa forniti. La Cassazione ha infatti affermato che:

    “Il criterio dell’oggetto principale è regolato dai commi 4 e 5 dell’art. 73 del TUIR che stabiliscono che per oggetto principale si intende ‘l’attività essenziale’… Quindi, per identificare la nozione di attività principale necessita fare riferimento a tutti gli atti produttivi e negoziali, nonché ai rapporti economici che lo stesso ente pone in essere con i terzi e per individuare il luogo in cui viene a realizzarsi l’oggetto sociale rileva, non tanto quello dove si trovano i beni principali posseduti dalla società, quanto la circostanza che occorra o meno una presenza in loco per la gestione dell’attività dell’ente” . E, ancora, ne deriva che “il dato … del mercato di riferimento non si concilia con la definizione di oggetto principale desumibile dal dettato della norma e dalla sua interpretazione giurisprudenziale. Invero, l’oggetto principale coincide con l’attività concretamente svolta”.15

5.Residenza e sede di direzione effettiva. L’evoluzione del concetto in sede OCSE e l’importanza della relativa disposizione del Protocollo di modifica.

Non sono soltanto i ‘precedenti’ a rendere complesso il tema della residenza che, occorre ripetere, resta centrale nei rapporti tra Italia e San Marino. Rileva, ancor più, il fatto che il criterio preferenziale OCSE per la risoluzione dei relativi conflitti, ossia la tie breaker rule identificata con la “sede di direzione effettiva”, è esso stesso in profonda “crisi d’identità”.

Sin dal 2008, in occasione della revisione del Modello OCSE, molti Stati sostenevano che il concetto di ‘sede di direzione effettiva’, dando rilievo eccessivo agli aspetti formali, si prestava ad essere utilizzato per favorire delocalizzazioni di comodo16 o addirittura per ottenere doppie compensazioni di un’unica perdita con gli utili imponibili di due diverse consociate del gruppo in due differenti Stati17.

Così, nella versione 2008, fu eliminato dal par. 24 del Commentario all’art. 4 del Modello il periodo che faceva riferimento, per la determinazione della sede di direzione effettiva, al luogo in cui ufficialmente le persone che esercitano le funzioni di rango più elevato (ad esempio il CdA) adottano le decisioni chiave. Inoltre, il nuovo par. 24.1 del Commentario formulò una versione del par. 3 dell’art. 4 del Modello, del tutto alternativa rispetto alla tie breaker rule. Questa nuova disposizione (che gli Stati aderenti sono liberi di negoziare e inserire nelle proprie Convenzioni bilaterali in alternativa, appunto, al concetto di sede di direzione effettiva) prevede che i conflitti di residenza vengano affrontati e risolti in via amministrativa, caso per caso, dalle Autorità competenti in sede di procedura amichevole; e che si debba tenere conto di una vasta serie (non esaustiva) di criteri, tra cui assumono rilievo il luogo di direzione effettiva, quello in cui la società si è costituita e ogni altro fattore ritenuto rilevante. In particolare, potrà tenersi conto del Paese in cui si svolgono le riunioni del CdA, in cui il CEO e gli altri managers esercitano usualmente le funzioni, in cui viene condotto il day to day management della legal entity, in cui si trova l’headquarter o è tenuta la contabilità, la legislazione applicabile e quant’altro appaia pertinente.18.

Questo tema dei conflitti di residenza, cui si connette il possibile utilizzo abusivo delle entità dual residence, è ora all’attenzione dell’OCSE e del G20 anche nel contesto dell’Action Plan Base Erosion and Profit Shiftinglanciato nel luglio 2013 e di cui sono stati diffusi il 16 settembre u.s. i primi sei Report. Nel Report relativo all’Action n. 6 “Preventing the Granting of Treaty Benefits in Inappropriate Circumstances”, 19 si prevede di eliminare direttamente nel par. 3 dell’art. 4 del Modello il riferimento alla tie breaker rule sostituendovi - come unica opzione - la versione alternativa del Commentario che, come detto, comporta che ogni caso sia valutato dalle Autorità amministrative nel contesto della procedura amichevole e, soprattutto, prendendo in considerazione una più ampia serie elementi di collegamento ritenuti pertinenti per meglio far corrispondere forma e sostanza.

Sotto questo profilo, possiamo dire che l’approccio pragmatico, case by case, introdotto dal Protocollo è in linea e per certi versi anticipa il cambiamento di prospettiva che si va delineando tra i Paesi OCSE e del G20.

Del resto, l’Italia ha da sempre inteso dare rilievo, nella interpretazione del concetto stesso di sede di direzione effettiva, anche ad elementi di natura sostanziale e di radicamento del’attività20 e nella medesima direzione si muove anche la circolare che sul tema è stata diramata dalla Segreteria di Stato Finanze e Bilancio di San Marino il 2 settembre u.s. a commento della Convenzione con l’Italia. La circolare richiama in modo specifico proprio i criteri e i fattori di maggior rilievo indicati nel par. 24.1 del Commentario a supporto della versione alternativa del par. 3 dell’art. 4 dell’OCSE, di cui già si è detto. Inoltre, nella Appendice allegata sono indicate le Linee Guida alle quali le Autorità sanmarinesi si atterranno per la determinazione della residenza delle legal entity, per dare rilievo alla “sussistenza di una adeguata sostanza economica e fisica” . Un requisito, questo, che l’Amministrazione sanmarinese intende verificare sulla base di due differenti categorie di test (principali e secondari) che, oltre a richiamare i fattori OCSE, di cui già si è detto, danno particolare rilievo sia al luogo in cui gli amministratori operano sia alle competenze e ai requisiti di indipendenza e onorabilità che essi devono avere, al fine di escludere, evidentemente, l’utilizzo di meri prestanome 21.

E’ un documento di grande interesse che, riteniamo, possa costituire un buon punto di partenza per il reciproco confronto previsto dal Protocollo di modifica: una impostazione che dovrebbe servire sa ‘premiare’ realtà vere e, nel contempo, ad evitare l’utilizzo di meri veicoli giuridici o società conduit in ‘triangolazioni’ con altri ordinamenti che possono favorire l’erosione delle basi imponibili e se non addirittura fenomeni di doppia non imposizione22.

Niente vieta, ed è anzi auspicabile, che le due Amministrazioni condividano linee guida di orientamento per i casi più semplici e ricorrenti o si incontrino per risolvere problemi interpretativi su casi specifici senza la necessità di aprire formalmente una procedura amichevole. Ma è di estrema importanza che l’art. 25 della Convenzione con San Marino preveda (al pari soltanto di due altre Convenzioni firmate dall’Italia) che la procedura amichevole comporti il ricorso alla fase arbitrale, come estrema ratio che può essere utilizzata in tutti i casi in cui le Amministrazioni non siano riuscite a trovare un accordo23.

Il solo fatto che sia possibile il rinvio all’arbitrato costituisce di per sé un potente incentivo a condividere una soluzione concordata tra le autorità dei due Paesi su tutte le questioni di maggiore interesse che possono proporsi non solo in merito alla residenza, ma anche in relazione a tutti i temi di rilievo, dallo scambio d’informazioni, alla esenzione delle ritenute sui flussi, alla individuazione di una stabile organizzazione e quant’altro.

Oggi, con l’entrata in vigore della Convenzione contro le doppie imposizioni, anche San Marino ‘entra’ in Europa nei rapporti con l’Italia24: e questa è indubbiamente un’opportunità e un rischio che le due Amministrazioni dovranno sapere presidiare con continuità attraverso gli strumenti di cooperazione e la trasparenza cui si ispira il Protocollo di modifica.

Tamara Gasparri

1 Rectius, una ritenuta dello 0%.

2 L’art. 11 prevedeva l’esenzione dalla ritenuta solo in determinate ipotesi di flussi di interessi tra Governi e simili che sono tuttora confermate nel par. 3 dell’art. 11 in vigore.

3 Rectius, una ritenuta dello 0%.

4 Negli altri casi, è confermata la ritenuta del 13 per cento (per gli interessi) e del 10 per cento ( per le royalty).

5 Ricordiamo, per completezza, che la direttiva risparmio (2003/48/CE) si applica già anche nei rapporti tra Italia e San Marino per effetto dell’accordo del 7 dicembre 2004 tra la Comunità UE e San Marino. Il Protocollo di modifica della Convenzione chiarisce che, pertanto, il nuovo scambio informazioni si applica anche ai redditi compresi nella direttiva risparmio.

6 Ove applicabili, infatti, le ritenute – che sono prelevate sull’ammontare lordo dei proventi – risultano spesso superiori rispetto alla quota di imposta italiana relativa al reddito estero e non sono pienamente recuperabili con il credito per le imposte estere.

7 Esulano, ovviamente, dal campo di applicazione della convenzione contro le doppie imposizioni il regime di esenzione previsti dalla direttiva fusioni e scissioni e il regime di tax deferral per il trasferimento intracomunitario di sede espressione della libertà di stabilimento, c.d. primaria.

8 Si ricorda che San Marino era indicata solo nel DM 4 maggio 1999 e non anche nel DM 21 novembre 2001 (rilevante per le CFC e per l’esenzione dei dividendi ‘provenienti’ dai paradisi).

9 Secondo la CGE la libertà di circolazione dei capitali può infatti subire, nei rapporti con i Paesi terzi, delle limitazioni giustificate dall’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli, qualora si tratti di Paesi che non applicano un adeguato scambio di informazioni.

10 In assenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni, il conflitto non poteva neppure essere risolto con la applicazione della tie braeker rule, ossia considerando la localizzazio0ne della sede di direzione effettiva.

11 Fu la legge delega per la riforma fiscale del 1972/1973 a dare rilievo, anche ai fini della determinazione della residenza fiscale, a questo particolare elemento di collegamento che non ha uguali in altri ordinamenti tributari. In sede civilistica, invece, esso era utilizzato da tempo e trovava corrispondenza nella espressione “centro di attività principale” dell’art. 48 (già 58) del Trattato CE che considera stabilite nella UE le società “costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità”. Cfr. anche Corte di Giustizia Causa C-79/85 del 10 luglio 1986.

12 Il successivo art. 2506 prevedeva invece che per le società estere che avevano istituito in Italia una sede secondaria con rappresentanza stabile erano soggette, con riferimento a tale sede, solo ad alcune specifiche disposizioni della legge italiana. Successivamente l’articolo 2505 del cod.cov. è stato abrogato e sostituito dall’art. 25 della legge n. 218 del 1995 che estende anche agli altri enti creati secondo il diritto di un Stato estero i medesimi criteri di collegamento e le medesime previsioni in ordine all’applicazione della legislazione italiana che l’art. 2505 aveva invece riservato alle sole società. Il contenuto dell’art. 2506 cod. civ, dopo successive modifiche, è stato trasposto nell’attuale art. 2508. L’originaria disciplina resta comunque sostanzialmente immutata.

13 Cfr. Tribunale civile Roma sentenza 2 maggio 1963 e Cassazione n. 3491 del 26 ottobre 1955, n. 995 del 1958, n. 3041 del 15 novembre 1960, n. 341 del 4 febbraio 1969, n.3319 del 19 novembre 1971)

14 Cfr. T. Ballarino, “Le società per azioni nella disciplina internazionalprivatistica” in “ Trattato delle società per azioni” diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, UTET, 1994.

15 Cass. penale n. 1811 del 17 gennaio 2014.

16 Può essere, in certi casi, facile localizzare in un Paese il centro in cui si riuniscono gli amministratori o da cui promanano le decisioni chiave, nonostante che lì effettiva attività dell’ente si svolga in un altro ordinamento.

17 Lo schema prevede che, in questo caso, si costituisca una società del gruppo che produce costantemente perdite (ad esempio perché si finanzia sul mercato e attribuisce le risorse ad altre società del gruppo a titolo di conferimento in conto capitale) che integra il requisito della residenza fiscale in due diversi ordinamenti (in uno dei quali ha sede legale, mentre nell’altro trasferisce la sede di direzione effettiva) : ordinamenti in ciascuno dei quali può consolidare la propria perdita di periodo con gli utili di un’altra consociata, nel contesto dei regimi domestici di consolidato fiscale.

18Cfr. le Osservazioni Italia (par. 25 Commentario) su par. 24 e 24.1 , per cui Italia ritiene che si debba dare rilievo anche al luogo in cui si svolge effettivamente la principale attività economica dell’ente. Cfr. anche la circolare n. 28 del 4 agosto 2006.

19 Cfr. il Report OCSE/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project “Preventing the Granting of Treaty Benefits in Inappropriate Circumstances”, Action 6 del 16 settembre 2014.

20 Cfr. la “riserva formale” dell’Italia nelle Osservazioni del Commentario all’art. 4 del Modello OCSE e la prassi, tra cui, in ultimo la circolare n. 28 del 2006.

21 Cfr. Appendice Circolare n. 7 del 2 settembre 2014 che elenca i test principali e i test secondarei da tenete in considerazione.

22 Il territorio dell’Unione europea – come è ormai evidente anche dagli ultimi documenti delle competenti istituzioni comunitarie, dell’OCSE e del G20 - è uno dei principali ‘ponti’ di raccordo con le giurisdizioni più opache, anche per effetto dell’utilizzo distorto delle libertà di stabilimento e circolazione garantite dalle stesse direttive europee e l’abuso del vasto network di convenzioni contro le doppie imposizioni. E ciò per la particolare ‘asimmetria’ del come estrema ratio, territorio dell’Unione: un unico mercato in cui liberamente circolano persone e capitali presidiato da differenti Stati sovrani in competizione ‘fiscale’ tra di loro. Cfr. il ‘Piano d’azione’ della Commissione UE del 16 dicembre 2012 e i lavori della UE Platform for Tax Good Governance, Aggressive Tax Planning and Double Taxation

23 L’art. 25 del Trattato introduce, nel contesto della procedura amichevole (MAP) la fase arbitrale obbligatoria nell’ipotesi in cui le autorità competenti non siano riuscite a trovare un accordo che elimini la doppia imposizione “entro i due anni dalla data in cui il caso è stato sottoposto per la prima volta ad una di esse” . In queste ipotesi, “le autorità competenti istituiscono, per ogni caso specifico, una Commissione arbitrale con l’incarico di emettere un parere … sempre che il contribuente si impegni ad ottemperare alle decisioni della stessa” e tutte le parti in causa si impegnino a rinunciare preventivamente all’eventuale giudizio in corso. Sono previsti precisi termini per la costituzione e la fine dei lavori della Commissione. Entro sei mesi successivi al rilascio del parere, le autorità competenti possono ancora trovare un accordo che risolva la questione (ossia “per eliminare la causa della controversia”) in termini diversi rispetto al predetto parere. Scaduti i sei mesi senza accordo, il parere della Commissione diventa vincolante.

E’ un istituto di grande interesse, innovativo per il network di convenzioni in vigore in Italia. Una fase arbitrale è infatti prevista solo dai protocolli delle convenzioni con USA e Kasakistan, che prevedono tuttavia, a differenza della convenzione con San Marino, che l’apertura della fase arbitrale non segua automaticamente alla scadenza, senza accordo, dei due anni dall’avvio della procedura, bensì richieda il previo consenso delle autorità competenti e del contribuente.

La fase arbitrale obbligatoria richiama quella prevista dalla Convenzione arbitrale, che ha tuttavia un ambito territoriale e oggettivo di applicazione molto più ristretti, operando soltanto tra Stati membri e in relazione a casi di doppia imposizione relativi ai prezzi di trasferimento.

24 Un ulteriore importante accordo destinato a potenziare l’interscambio e la reciproca collaborazione è la Convenzione in materia di collaborazione finanziaria, votata definitivamente dalla Camera il 22 settembre, ora in attesa di pubblicazione in GU. Essa richiede che i due Stati cooperino per “tutelare la stabilità, l’integrità e la trasparenza dei sistemi finanziari”

Da - http://www.fiscoequo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=907:italia-san-marino-con-nuova-convenzione-
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