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Autore Discussione: PARTITO DEMOCRATICO è nato da 3 milioni di genitori. Adesso attenti alle balie.  (Letto 6719 volte)
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« inserito:: Ottobre 16, 2007, 12:15:03 pm »

Nulla sarà più come prima. Inizia un dualismo da gestire

Marcella Ciarnelli


In più di tre milioni ci hanno investito un po’ del tempo di una giornata di festa. Ci hanno messo nome, faccia (e qualche euro) per partecipare alla rivoluzione di scegliere il segretario di un partito che è ancora tutto da strutturare. Invocando l’unità hanno scelto il leader per investirlo non solo dell’onere della guida ma anche della costruzione. È stato un atto di fiducia, anche per conto di quanti non sono riusciti a superare dubbi e nostalgie. E al seggio non ci sono andati. Ora che il segretario del Partito democratico c’è, investito dal dato certo del voto e non solo dei sondaggi, si trova davanti il compito di dare una identità ad un’iniziativa che, bollata dagli avversari come una fusione a freddo, è riuscita a dimostrare di essere un’esigenza sentita dalla gente. Un’operazione popolare per rinnovare una politica che negli ultimi tempi ha collezionato più rifiuti che consensi.

È complessa l’Italia con cui Walter Veltroni si dovrà confrontare da oggi. Dov’è finita l’antipolitica se in una domenica di metà ottobre tre milioni e più si sono messi in fila per infilare una scheda nell’urna e pagare anche. Quanti di quelli che hanno urlato Vaffa in coro con Beppe Grillo hanno votato per chi dovrà guidare il Partito democratico. E, ancora, quanti delusi dal governo di centrosinistra per cui pure avevano votato, hanno scelto di partecipare per dimostrare un’apertura di credito che non può, però, restare ancora senza risposte. Pena un rifiuto dalle catastrofiche conseguenze.

Il sindaco di Roma, da oggi segretario del Pd, in campagna elettorale ha detto di aver ben chiare tutte queste esigenze. Ha detto di voler dare rispote alle priorità dei giovani e di quanti hanno già vissuto già molto del loro tempo. Ha detto di voler lavorare per riuscire a dare sicurezza e tranquillità, lavoro e casa, cultura e una nuova storia fatta di tante provenienze, a chi in questi mesi ha avuto la sensazione di essere inascoltato. Ha mostrato fin dalla sua discesa in campo la consapevolezza di battersi per guidare qualcosa di più del partito di maggioranza relativa del governo. Sua è, ora, la responsabilità di essere un sostegno determinante per Romano Prodi ed il suo esecutivo mentre per molti, il centrodestra in primis, lo vedono come il possibile responsabile di una sua prematura caduta.

Romano Prodi è il presidente designato del Partito democratico. Walter Veltroni è il segretario che ha trionfato nell’urna. I due possono collaborare o fronteggiarsi. Quello che è certo che comincia un dualismo, nelle ore della vittoria smentito con maggior forza che nei giorni precedenti, ma che potrebbe essere un oggettivo freno sia all’azione del governo che a quella del neonato partito che ha un nome ma che non è ancora chiaro a quale antenato somiglierà di più. O, e sarebbe la più aupicabili delle situazioni, se riuscirà a superare i segni del passato, portandone con sè solo un dolce ricordo, ed a guardare invece ad un futuro al passo con un mondo che intanto è cambiato ed in cui, per esistere e contare, non c’è bisogno di essere il primo. Di spezzettare la rappresentanza in mille rivoli paralleli destinati a non incontrarsi mai. E dar vita a quell’immagine della politica che la gente ha dimostrato di rifiutare, e non solo per i privilegi.

Nulla sarà più come prima dopo questo 14 ottobre. Certo, la novità è di quelle da essere segnate nei libri di storia. C’è un segretario investito, il partito va ancora modulato. Le prossime scadenze sono lì a dimostrare che c’è voglia di lavorare presto e bene. Deve andare così. Anche perchè il calendario non è fissato solo da un protagonista. Non solo da chi governa ma anche dall’opposizione che al Senato può sempre mettere a segno il colpaccio. Il centrodestra che preme. Berlusconi andrebbe a votare anche subito sull’onda dei sondaggi a suo favore. La destra, galvanizzata anche dalla piazza, a questo punto non disdegnerebbe una conta che per il momento sarebbe ancora a favore. Sono pronti a correre, accontendadosi ancora della Casa delle libertà, visto che il sogno del partito unico sembra destinato a restare in soffitta. Per i partiti di governo, ma non solo, c’è la prova della legge elettorale che va fatta perchè, altrimenti, si arriverà alla prova del referendum che potrebbe significare una pericolosa conta trasversale. Il segretario del Partito democratico deve averlo ben chiaro.

Pubblicato il: 15.10.07
Modificato il: 15.10.07 alle ore 8.17   
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 16, 2007, 12:17:13 pm »

POLITICA

Roma, parla il segretario del Partito democratico: "Primarie, fatto storico"

"Il Paese chiede innovazione e coesione". "Resto sindaco di Roma"

Veltroni: "Da oggi tutto è più vecchio

Sul governo spinta riformista"

"L'Italia guarda avanti molto più della stessa classe politica"


ROMA - Si apre una nuova storia. Che parlerà un nuovo linguaggio, seguirà nuove regole, scardinando, se necessario, certi schemi "politicamente corretti" del secolo scorso. Per questo non ci si dovrà stupire se arriveranno "risposte eterodosse". Walter Veltroni si presenta così nella sua prima conferenza stampa (VIDEO) da segretario del Partito democratico. Rilanciando il successo delle primarie, marcando con forza il profilo riformatore del Pd e mandando un messaggio al governo: sostegno ma anche spinta riformatrice.

Parla di innovazione Veltroni, che chiede un passaggio parlamentare per dare al paese istituzioni nuove. "Il paese guarda avanti molto più della classe politica". Cruciale, per il segretario, il pacchetto di riforme costituzionali che approderanno nell'aula della Camera il prossimo 22 ottobre: "Se c'è convergenza tra le diverse parti si possono fare in otto mesi"

Le linee guida del pd. "Si apre una nuova stagione politica: il Pd fa invecchiare molte delle consuetudini della politica italiana" dice Veltroni. Che sintetizza la linee guida del nuovo partito: innovazione ("perché il paese ha voglia di guardare al futuro") e coesione ("nel senso di essere coesi nell'affermare un programma di idee e non contro qualcuno").

Rapporti con il governo. Da una parte lealtà e sostegno. Dall'altra un'azione di sollecitazione. Con l'obiettivo di arrivare alla fine della legislatura. Veltroni sintetizza così il nodo tra il Pd e il governo Prodi. Tema delicato. Che mette in discussione l'esistenza stessa dell'esecutivo. Veltroni, oggi, parla di "sollecitazione riformista" nei confronti del governo. "Noi - spiega il neosegretario - sentiamo il bisogno di prepararci per le prossime scadenze elettorali con un profilo del Pd che possa da un lato aiutare il governo e dall'altro esserne aiutato. Si svolgerà una funzione di sollecitazione in questo senso ma con grandissima realtà e con l'obiettivo di arrivare alla fine della legislatura".

Il programma. Il Pd "punta ad essere il primo partito
italiano e proseguire con il coltivare la sua vocazione maggioritaria" e continuerà a muoversi parallelamente su un doppio binario. Continuando presentarsi come partito che ha un programma mentre, contemporaneamente, sostiene il governo. "Questa - sottolinea il sindaco di Roma - è la dialettica fisiologica".

Primarie, un fatto storico. "E' un dato unico nella storia politica europea". Veltroni commenta così, nel corso della conferenza stampa, l'esito della primarie. "più di tre milioni di italiani hanno votato non contro qualcuno ma per qualcosa. "Questo è un voto ad altissima intensità e che apre una nuova stagione politica" continua il segretario. Per lui, quello delle primarie, non è solo "un voto contro l'antipolitica", ma una richiesta di "discontinuità". A cui bisogna dare risposta.

Dialogo con l'area socialista. Il Pd dovrà "aprire un dialogo e un confronto" con "tutta l'area socialista e le altre forze che oggi fanno parte della coalizione" e dovrà "discutere e seguire con attenzione l'evoluzione della politica e dei programmi della sinistra radicale". Così Veltroni fotografa i rapporti a sinistra del Pd. Nessun cenno, per adesso, alla sinistra estrema.

"Il centrodestra sega il nostro esempio".
"Mi auguro che un evoluzione analoga alla nostra venga fatta anche nel centro destra". Secondo Veltroni, che cita "gli imbarazzi" nella Cdl sul caso Storace e sull'identità nazionale, si deve quindi aprire "una nuova stagione" per superare le divisioni "Berlusconi-sinistra" e "affrontare i veri problemi del paese".

"Resto sindaco". "Un incarico politico non è in contrasto con un incarico amministrativo". Veltroni conferma la sua volontà di rimanere sindaco di Roma. "Continuerò a fare come ho fatto in questi mesi frenetici di campagna elettorale - prosegue - ho preso un impegno con i cittadini ed intendo rispettarlo".

(15 ottobre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Ottobre 16, 2007, 11:45:20 pm »


«Il risultato delle primarie del ...
 
 
«Il risultato delle primarie del Pd è un'arma in più per vincere tutte le resistenze che ci sono nel governo e imporre una linea riformatrice».

Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, indica la linea a Walter Veltroni.

Non manca una stilettata al centrodestra: «Ha perso un tram. Avessero fatto loro le primarie, quella sì sarebbe stata una spallata».

 
Fuori uno, dentro un'altro: l'agenda di Massimo Cacciari non ammette pause nemmeno il giorno della nascita di una creatura che sente molto sua. Riesce a parlare di Partito Democratico solo a pomeriggio inoltrato.

Il sindaco di Venezia riuscirebbe a fare contemporaneamente anche il segretario del PD?

«A Roma sono più organizzati...».

Adesso però comincia il difficile.

«Vero, ma c'è modo e modo di cominciare. Se si fosse iniziato con mezzo milione di votanti, si poteva dire che l'inizio coincideva con la fine».

Con la fine del Partito o del Governo Prodi?

«Del partito. Con un successo oltre ogni previsione si è dimostrato che davvero correnti di massa dell'opinione pubblica del Paese vogliono aprire una stagione riformatrice, e non solo nel centrosinistra. So di moltissime persone non di centrosinistra che hanno partecipato, proprio per dare un segnale di volontà di cambiamento; anche moltissimi che hanno partecipato ai comizi di Grillo».

È una sconfitta dell'antipolitica?

«È una sconfitta di chi parla a vanvera di antipolitica, perché Grillo, i girotondi, la stessa manifestazione di An di sabato, a prescindere dai colori politici gridano la volontà di voltare radicalmente pagina».

In fila ai seggi la gente ripeteva come un mantra: "Siamo qui perché vogliamo cambiare". Non è che molti intendessero anche "cambiare il Governo"?

«Vogliono un cambiamento di marcia del Governo. Certo, un leader del PD che nasce con questa legittimazione popolare deve essere molto esigente».

Questo risultato è un'arma in più per chiedere a Prodi di fare un rimpasto?

«È un'arma in più per vincere tutte le resistenze che ci sono al Governo e imporre una linea più riformatrice».

Chi ha preso la sberla maggiore: il centrodestra o la sinistra radicale?

«Il segnale è stato inequivoco per tutti. Per la sinistra che non può più mantenere una linea conservatrice, e per la destra che è obbligata a cercare una strada analoga. Ma è stato anche un segnale per il Governo. Perché è chiaro che un partito che nasce così deve fisiologicamente essere molto esigente, deve dettare la linea in modo più netto. E questo, è inutile negarlo, potrebbe creare dei problemi».

Perché?

«Perché se il Governo non fosse in grado di rispondere alle aspettative che queste Primarie hanno rappresentato, potrebbero aumentare le difficoltà, è inutile negarlo. Prodi ha potenzialmente un'arma in più per dire al resto della coalizione: "Vedete, 3 milioni e mezzo di persone hanno votato non per sopravvivere, ma per cambiare". Però è un'arma a doppio taglio: potrebbe rilanciare o suicidare il governo».

Bindi e Letta insieme non raggiungono neanche la metà dei voti di Veltroni: non c'è il rischio di un'egemonia diessina sulla componente della Margherita?

«Ma no, i quadri si sono mescolati quasi ovunque. Non c'è stata nè la divisione Margherita-Ds, nè quella cattolici-laici».

È stato un successo, ma ha pur sempre partecipato un milione e mezzo di persone in meno rispetto alle primarie per Prodi: non c'è un eccesso di trionfalismo?

«L'enfasi deriva dalla sorpresa. E se fossero stati 500mila, non saremmo qui a enfatizzare la disfatta? Quello di ieri è addirittura è un messaggio bipartisan: questo Paese si sente schiacciato, imbalsamato, non ne può più di governi di coalizione costretti a sopravvivere, nè a destra nè a sinistra; non ne può più di una politica "contro". Una volta è Grillo, una volta è An, una volta sono le Primarie, a seconda dei gusti».

È ineludibile l'alleanza con una sinistra fermamente convinta del suo radicalismo?

«A partire dalle prossime elezioni questo Partito farà il suo programma e stringerà alleanze esclusivamente su quella base, a livello sia nazionale che locale».

Se il centrodestra avesse tentato un'operazione analoga avrebbe portato ugualmente alle urne una massa di persone?

«Penso di sì. Ma ora per il centrodestra è dura, non può mica fare Primarie con 2 milioni di persone dopo che Veltroni ne ha portate 3 e mezzo».

Al posto del centrodestra, cosa farebbe per scalzare Prodi?

«Hanno perso un tram. Immaginiamoci cosa sarebbe successo se in una fase di difficoltà del Governo avessero fatto loro una operazione come le Primarie. Altro che il mezzo milione in piazza con Fini! Quella sì sarebbe stata una spallata. Prima hanno pensato che questa operazione potesse non riuscire; poi hanno pensato che nascesse abortita con una bassa adesione. L'hanno assolutamente sottovalutata».

E adesso tocca al centrodestra fare un nuovo partito?

«Sicuramente ci sarà un'accelerazione del processo di accorpamento; ma sarà difficile che facciano delle Primarie, anche perché non vedo chi possa fare il Veltroni. Anche se si tirasse fuori Berlusconi, mai più faranno la Brambilla».

Casini?

«Troppo democristiano; vanno ancora dietro a operazioni di piccolo cabotaggio parlamentare, tipo sfilare il Mastella di turno al centrosinistra... I Follini, i Tabacci avevano testa ma poca "truppa"».

Fini?

«È l'equivalente di un D'Alema: persone intelligenti ma troppo connotate dall'origine. No, non hanno un Veltroni e lo sanno. Ma qualcosa dovranno inventare. Certo, se il Governo non dovesse farcela, allora non basterebbe un Veltroni per recuperare in pochi mesi la situazione».

E a quel punto potrebbe essere utile un Governo transitorio di larghe intese?

«Nooo. Se domani si va alle elezioni, il PD deve presentarsi assolutamente solo e puntare a diventare il partito di maggioranza relativa. Perdere con il 38 per cento, equivarrebbe a una grande vittoria».
 
da gazzettino.quinordest.it
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« Risposta #3 inserito:: Ottobre 17, 2007, 11:35:52 pm »

la sfidante

La Rosy «nel pugno»

Super aggressiva delusa

 
Walter, anzi, Uolter, anzi ormai lìder maximo, sii buono con Rosy e i suoi. Non dimenticare che senza di lei queste primarie non sarebbero sembrate primarie; e la tua stravittoria sarebbe meno lieta e più imbarazzante. Tienti stretta questa gran combattente, non metterla via perché ha avuto un risultato deludente. Perché lo è stato (anche) per eccesso di aspettative, come accadde nel 2006 con la Rosa nel Pugno.

Perché in effetti alla Rosy col Pugno è successo che:

1) Chi è andato a votare voleva un candidato forte. Gli elettori di centrosinistra in fila domenica, in maggioranza di mezza età e oltre, erano spesso i papà e le mamme dei giovani precari da Vaffa Day, o comunque preoccupati per il futuro. Come preoccupati sono i loro più anziani familia ri, delusi dalla classe politica, desiderosi di confermare un leader nuovo anche se non nuovissimo (Veltroni, da anni «solo» sindaco, e tipo ottimista). Non hanno badato ai mille contrasti e alle diecimila beghe del nascente partito; volevano dare un segnale chiaro, non votare contro qualcuno (sempre Veltroni, va da sé).

2) Bindi è stata la candidata anti-Walter, la più aggressiva, anche la più divertente. Per questo ha interessato (intrattenuto?) quelle che nel Regno Unito si chiamano le chattering classes, «classi chiacchieranti» di gente dei media, della cultura, vicine alla politica ma in modo critico. Per questo Bindi, ex dc di sinistra con programma solidarista, ha ottenuto eccellenti risultati in collegi come quelli del centro di Milano; tra la borghesia colta-e-civile che vedeva male le guerre ai lavavetri come certe vaghezze della campagna veltroniana. Poi, però, molta di quella borghesia, come molti giovani che simpatizzavano per lei, altrove non è andata a votare.
Oltretutto: il successo tra le chattering classes è spesso inversamente proporzionale ai voti presi (capitò coi rosapugnoni, si diceva).


3) Bindi ha ecceduto in sincretismo. È stata cattolica e femminista, candidata «contro» e appoggiata da molti prodiani (e da molti Prodi). Ha corteggiato il voto laico (ricordando che i teodem di Paola Binetti erano per Veltroni) e poi è crollata sul burqa, dichiarando a pochi giorni dal voto: «Come vogliamo vedere i crocifissi nelle nostre aule dobbiamo essere rispettosi del velo con cui le islamiche si coprono il volto». Volti coperti? Crocefissi? Varie donne laiche, più o meno giovani, alla fine non sono andate a votare, si presume. 4) Bindi è donna anomala. Sia perché è una donna e da noi siamo poco abituati a votarle. Sia perché è, diciamo, molto sobria; curata ma a suo modo, coi capelli non tinti, senza vezzi femminili. Forse evoca ancora nell'inconscio collettivo il timore che si aveva delle suore e delle streghe (ma non è né l'una né l'altra, e in certe zone del Sud dove i vecchi diccì l'hanno sostenuta è andata bene; quindi la spiegazione vetero-antropologica culturale non vale, o vale meno di altre). 5) Però. Ora non cominciamo a dire «la Bindi mi ha dato molta noia» per la sua aggressività. Lo ha fatto ieri Enrico Letta; e se lo dice un toscano pacato, la traduzione è «la Bindi ha rotto, eccetera». Il Pd ora ha un capo, e ha bisogno di gente aggressiva, rompiballe, che parli chiaro. Se non vuole vincere solo le primarie (e poi le donne toste imparano dalle sconfitte e si rafforzano, vedi Hillary Clinton; e pazienza per le chattering classes).

Maria Laura Rodotà
16 ottobre 2007

da corriere.it
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« Risposta #4 inserito:: Ottobre 18, 2007, 06:17:24 pm »

Tra gli esclusi Carra e la Carloni. Amato non entra: aveva scelto l'ultimo posto in lista

Costituente, sfida sui seggi Ai Ds quasi il doppio dei Dl

Veltroni va da Napolitano: al Paese servono riforme


ROMA — La macchina organizzativa di piazza Santi Apostoli, che sta impazzendo ormai da tre giorni sui numeri del neonato Pd, è soddisfatta: «È stato difficilissimo raccogliere i dati di tutti i collegi, ma ce l'abbiamo quasi fatta». Il «quasi» si riferisce ai dati romani delle primarie, bloccati per il ritardo dei risultati che provengono dai Castelli. E, di conseguenza, molto meno soddisfatti sono gli aspiranti della Costituente candidati nella Capitale che, fino a tarda sera, non conoscevano per lo più il loro destino. Esempio «eccellente»: il ministro per l'Attuazione del Programma, cioè il prodiano Giulio Santagata, che viene dato per bocciato, ma che non ne ha ancora avuto una conferma ufficiale. Ma tutti ora guardano alla prima assemblea della Costituente, che si terrà il 27 ottobre a Milano. E sarà un'assemblea in cui il «peso» degli ex diessini, calcolato attorno al 50 per cento, si farà sentire. Chi è sicuro di non avercela fatta è Mario Barbi, uno dei tre traghettatori verso il Partito Democratico, che si era presentato con Rosy Bindi. Fatto che colloca i prodiani «doc» in sofferenza agli albori del Pd. Se poi si aggiunge che anche il ministro delle Politiche Agricole, Paolo De Castro, nella lista di Enrico Letta, non entrerà nella Costituente, diventa più pesante il quadro dei bocciati vicini al Presidente del Consiglio. Anche se, è bene ricordarlo, sono andati bene Franco Monaco e Arturo Parisi, eletti nelle file dei bindiani. Tra gli esclusi eccellenti c'è il ministro dell'Interno Giuliano Amato, anche se nel suo caso si tratta di una scelta: si era messo al terzo posto come candidato di «testimonianza» della lista Innovazione e Ambiente, guidata da Giovanna Melandri, per fare posto a due giovani. Non ce l'ha fatta a Roma anche Enzo Carra: «Qui si fanno differenze tra candidature di servizio e persone, come me, che fanno un servizio portando voti». Invece ad andare bene è un altro teodem, come Luigi Bobba, che a Vercelli è riuscito a fare ottenere tre seggi alla sua lista. E l'ugualmente cattolica Paola Binetti viene data anche lei per promossa.
Il viceministro delle Finanze, Vincenzo Visco, dovrebbe passare nel collegio di Roma- Don Bosco. E ce l'ha fatta in Veneto anche Tiziano Treu. In Campania invece vengono dati per bocciati la moglie di Antonio Bassolino, Annamaria Carloni nella lista bindiana ed Umberto Ranieri in quella lettiana. Restano infine in sospeso i risultati regionali in Piemonte, dove Gianfranco Morgando non è più sicuro di avere vinto su Gianluca Susta, in Campania dove Tino Iannuzzi è testa a testa con Salvatore Piccolo, e in Sardegna, dove Renato Soru ha chiesto il riconteggio dei voti contro Antonello Cabras.
Arrivano, anche se non definitivi, i dati delle diverse liste. Nei seggi della Costituente (che sono cresciuti da 2.400 a circa 2.800 per l'alto afflusso alle urne) faranno la parte del leone i 1.330 delegati della lista Democratici per Veltroni, in cui sono presenti tutti i big, sia della Margherita che dei Ds. Fra chi sosteneva il sindaco della Capitale una buona affermazione ha avuto la lista «A sinistra» mentre non ha avuto il risultato sperato Innovazione e Ambiente. Rosy Bindi dovrebbe portare alla Costituente circa 280 delegati ed Enrico Letta fra i 150 e i 160. Più difficile fissare con precisione gli equilibri interni della nuova assemblea del Pd, ma si calcola che l'area diessina navighi sul 50% e quella della Margherita sul 30% (di cui il 25 agli ex popolari) mentre il restante 20% proviene dalla società civile. Quindi nella nuova assemblea del Pd il blocco della Quercia peserà molto nelle decisioni che verranno prese.
Ma subito Walter Veltroni ha dato un segnale forte per far capire che il nuovo partito sarà lui a guidarlo in prima persona. Ricevuto al Quirinale dal Presidente Napolitano ha insistito sulla necessità di fare presto le riforme istituzionali. Lasciando in sospeso quella elettorale. Ma il suo vice, Dario Franceschini, rilancia l'offerta di accordo al centrodestra. E si parla nuovamente di sistema tedesco «corretto» con la scelta della coalizione prima del voto.


Roberto Zuccolini
17 ottobre 2007

da corriere.it
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« Risposta #5 inserito:: Ottobre 18, 2007, 06:20:18 pm »

Cosa chiede il popolo del Pd

Nando Dalla Chiesa


E vabbé, la società civile non sarà meglio della società politica. Ma ci sono momenti in cui il popolo del centrosinistra mostra di essere meglio dei suoi rappresentanti. Anzi, vogliamo dirla tutta? Questi momenti si stanno moltiplicando. E sono tutti importanti, decisivi.

Le primarie di domenica sono l’ultimo eclatante episodio di una lunga catena di dimostrazioni sul campo. Ricordate le domande irridenti? Ma quale partecipazione può suscitare il Partito democratico? La fusione fredda, la somma degli apparati, l’antipolitica, la casta...

E poi il profeta Grillo, il disincanto, non c’è più Berlusconi a mobilitare «contro», un progetto esangue: davvero pensate che si muoverà di casa qualche cittadino normale? E poi le previsioni al ribasso: ottocentomila, un milione, oltre un milione, certo non potrà essere come con Prodi. Tutto è saltato, tutto è stato sbaragliato, dai numeri alle teorie, dai pessimismi cosmici ai cinismi inconcludenti. Milioni di persone che vanno a votare il segretario di un partito politico al quale la grande maggioranza di loro probabilmente non si iscriverà mai. Non poteva esserci battesimo migliore. Anche se bisogna dire la verità. I vertici del ceto politico, complessivamente intesi, ce l’avevano messa tutta all’inizio per produrre un risultato opposto: un’assemblea costituente faraonica e impotente a dibattere e decidere in proprio (rimasta, per ora); liste bloccate (rimaste); dieci e poi cinque euro per ogni elettore, specie di tassa sulla democrazia (portata a un euro); iscrizione automatica e quasi a occhi chiusi al nuovo partito (rimossa); un solo candidato (diventati per fortuna cinque, di cui tre di prestigio e peso nazionali).

Ecco, il popolo del centrosinistra ha detto che dove si può scegliere, dove votare ha un senso, lui si muove; alla faccia della disinformazione sui seggi o delle inevitabili bizzarrie logistiche. Si muove. E partecipa. E legittima. Anche se non è del tutto soddisfatto: né del governo, né delle liste bloccate e nemmeno della credibilità della politica. In questo senso i tre milioni e mezzo sono un fatto stupendo, ma anche un monito.

Sono la prova d’appello che l’elettorato ulivista - e non solo - ha concesso ai suoi rappresentanti. Facendo impallidire i trecentomila del Vaffa-day (gran parte dei quali sono comunque andati ai seggi), i votanti di domenica hanno demolito i luoghi comuni che si stavano formando sui giornali e nei salotti televisivi; hanno, una volta di più, dato forza alla politica del centrosinistra, quasi esercitando una grandiosa azione di supplenza nei confronti dei propri rappresentanti. Che la fiducia dovrebbero infonderla e invece seminano pessimismo. Che dovrebbero dimostrare a ogni passo di credere anima e corpo in quello che fanno e danno spesso la sensazione di parlare parole fatte di ghiaccio. Che dovrebbero tutelare gelosamente il bene comune (in primis: il governo faticosamente conquistato) e sembrano a volte godere nel metterlo a repentaglio.

Avrà le sue lentezze, o i suoi umori viscerali, o le sue incrostazioni ideologiche, il popolo del centrosinistra. Ma bisogna ammettere che è un gran popolo. Ho girato per i seggi della periferia milanese tutta la domenica. Non un’invettiva contro Berlusconi (tranne sulla bocca di un bambino evidentemente «socializzato» in casa), non un dito medio levato al cielo, e soprattutto -certo, proprio così- non un tentativo di broglio. Sì, la propaganda per Veltroni giungeva in certi casi soffusamente dentro i seggi, ma gli stessi scrutatori, diciamo così, ex-diessini erano i primi ad annullare le schede veltroniane quando la volontà dell’elettore (voleva indicare la prima o la seconda lista?) non era sufficientemente chiara. Ho visto i segni di una scuola di democrazia, di correttezza e legalità, che fa pensare che quasi nessuno in questo popolo accetterebbe mai di mutare un’espressione di voto per favorire la propria idea.

Bene. Che rapporto c’è tra questo popolo e i bigliettini per l’elezione del presidente del Senato (Marini Franco, Franco Marini, Marini...) o i personalismi che rischiano di mandare all’aria un’esperienza di governo quando dietro l’angolo c’è solo e soltanto Berlusconi? Che rapporto c’è con il fastidio per la partecipazione dei cittadini nei momenti delle scelte cruciali o delle candidature elettorali? Che rapporto con l’ansia perenne di risistemare ovunque personale politico riciclato? Nessuno, si direbbe. È dunque arrivato il momento di mettere a fuoco la domanda di politica che arriva dalla parte più attiva del nostro elettorato. Di rileggerla nelle sue manifestazioni, dal referendum del ’93 all’Ulivo, a piazza San Giovanni e al Circo Massimo, dalle primarie di Prodi (il governo) a quelle di Veltroni (il partito democratico). Di cogliere le domande di unità e di identità, l’intreccio di protesta e di fiducia. Di rivedere il lungo film di questa traversata.

Per esempio (parlo per me) di ricordare il gennaio del 2002 e le riunioni dei gruppi parlamentari del mio partito in cui molti sostenevano che l’Ulivo fosse archeologia politica; per poi, neanche un mese dopo, vedere le seicentomila persone arrivate a Roma da tutta Italia che sventolavano le bandiere dell’Ulivo scandendo «unità, unità». Di capire che nessuna nuova avventura elettorale (liste civiche, nuove liste di protesta) avrà successo con un popolo che legge i processi politici, che capisce le debolezze dei suoi governi ma non li vuole buttare a mare. Un popolo che risponde alla convocazione della piazza come «società civile» ma che nelle occasioni decisive sa vestirsi da «società politica» diffusa. E che, proprio perché crede nella politica, vuole una politica credibile. Pulita, aperta, intelligente, appassionata. Che la segue e la soppesa anche quando sembra che non ne voglia sapere nulla.

Perciò da oggi c’è una cosa che la politica deve assolutamente evitare: ignorare la domanda di partecipazione e di cambiamento che è arrivata domenica con la fiducia - forte o cauta che sia - nel nuovo partito. Continuare insomma come niente fosse, come se l’ondata partecipativa fosse solo servita a consacrare Walter Veltroni, anziché a schiaffeggiare l’immagine della palude, della politica come luogo stagnante di accordi e di auto-investiture.

Tutti i voti hanno uguale dignità, ma se prendiamo, per esempio, il cuore di Milano, il successo della lista Bindi (tra il 25 e il 30 per cento nella cerchia dei Navigli) e quello della lista veltroniana più slegata dalla logica degli apparati rappresentano bene quell’opinione pubblica riformista più informata e più autonoma che ha voluto inviare un messaggio chiaro. In linea con le firme per il referendum, con la denuncia della casta, con gli umori della piazza di Grillo, con le inquietudini civili, anche se stavolta in forma di progetto politico: più attenzione alle ragioni della società (dai professionisti agli ultimi), meno autoreferenzialità di ceto politico.

Illudersi di potere esorcizzare il messaggio dicendo che questo è stato il voto della borghesia movimentista e salottiera sarebbe un micidiale autogol, sarebbe come rifiutare la prova d’appello che è venuta da un popolo generoso e comprensivo. La «rivoluzione d’ottobre», per riprendere il felicissimo titolo di questo giornale, non dà l’assalto al Palazzo. Chiede solo di non essere presa in giro.


Pubblicato il: 18.10.07
Modificato il: 18.10.07 alle ore 13.10   
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« Risposta #6 inserito:: Ottobre 20, 2007, 04:34:00 pm »

20/10/2007 (8:36)

Vendola: "Veltroni ci spinge a costruire una sinistra nuova"
 
La leadership da inventare

JACOPO IACOBONI


Prima si amministra, poi si fanno le primarie e si diventa leader. E’ già successo, Vendola. «Ma io non sono leader di nulla! (Bugia, nda.)... E poi le primarie le vinsi prima di governare la Puglia, forse proprio perché conoscevo tanto le questioni di questa regione; conservo l’abitudine di leggere più la cronaca locale che le pagine politiche». Oggi quelle primarie incoronano Walter, e fondano un nuovo partito. Ora, sarà la suggestione di quei 3 milioni, anche la sinistra di stringe i tempi, o no? «Non si tratta di subire una suggestione da parte del Pd, e di provare a costruire un soggetto politico nuovo in modo emulativo.

Si tratta, uno, di fare i conti con un fatto enorme, anche perché ha coinvolto tre milioni e mezzo di cittadini; due, di mettere in campo un percorso autonomo, che enfatizzi il tema della partecipazione, ma con un contenuto: la costruzione a sinistra di un’identità adeguata al XXI secolo». Il leader ci sarebbe, secondo Bertinotti. «Sarebbe un passo falso mettere in campo il tema della leadership, come sarebbe un errore pensare di fare delle primarie solo per investire un leader. No, la partecipazione serve, ma per creare una sintesi nuova nel merito, sui temi». Nelle primarie del Pd c’è stata tanta partecipazione al servizio di pochi contenuti?

«La partecipazione è decisiva, ma la nostra partecipazione, per esempio la manifestazione di domani (oggi, ndr.), vuole porre al centro le questioni, una grande offensiva di idee, una battaglia culturale nella società sulla precarietà. Il fatto che le parole del Pontefice suscitino così tanta impressione, e invece la politica fatichi a capire che la precarietà è diventata una sorta di nuova antropologia per tanti ragazzi, indica che esiste una necessità fortissima di questa nuova sinistra». Certo di strada da fare ce n’è: anche oggi in piazza ci saranno i giovani precari immateriali e ci sarà lei, ma poi c’è anche il sindacato con le barbe, la sinistra più strutturata, una buona dose di conservatorismo...

«Il problema della vecchiaia non è un fatto anagrafico. Però sì, se qualcuno oggi in piazza pensa di fare un’operazione puramente identitaria, una sinistra che si mette insieme perché ha paura dello schianto, e dunque prova semplicemente a stabilire forme e principi di convivenza tra le sue varie anime non andiamo lontano. Io sono comunista, e per un comunista la cosa importante non è la difesa della gloria del passato. Alla sinistra serve un’ostetrica, che faccia nascere il bimbo nuovo».

Oggi un piazza San Giovanni quanta percentuale di nuovo e quanta di vecchio s’aspetta? «Mi aspetto una grande e splendida manifestazione di popolo, piena di giovani, la miglior risposta all’antipolitica. Però non solo una risposta sul piano della partecipazione; noi rispondiamo anche nel merito». A un certo punto sembrava che il governo rischiasse a causa di questo corteo, ora rischia sempre, ma per altre ragioni. O no? «Bisognerebbe avere meno ossessioni. Il governo non viene indebolito da noi, ma ogni volta che non ha la capacità di capire i problemi epocali del lavoro, i giovani, i nuovi bisogni...». Le posso proporre un gioco? «Prego».

Davanti a tre nomi, dica subito cosa le passa per la testa. Bertinotti, il suo grande sponsor. «Beh, se dicessi qualcosa di lui farei solo la figura dell’adulatore...». Ha esitato troppo. Veltroni. «Una bella cartolina illustrata, piena di paesaggi etici, ma con un contenuto politico di lucido ricollocamento al centro». Però, che lo vogliate o no, vi pungola. «Diciamo che siccome c’è lui, noi siamo spinti a maggior ragione a costruire una sinistra da XXI secolo». Beppe Grillo. «Sono suo amico, gli voglio molto bene, ma penso abbia preso un abbrivio sbagliato, non mi piace la cultura del vaffa, non mi piace il giustizialismo, suo e di quelli di cui si circonda». Vendola, L’Espresso scrive che la lotta per la leadership è tra lei e Ferrero. «Paolo è una splendida persona; contrappormi a lui francamente è poco credibile. E poi io non sono candidato leader». Lo diceva anche Walter, fino a quando ha potuto. Gran sorriso. «... ma che devo fare?... vorrei evitare il suicidio, anche perché è contrario alle mie convinzioni religiose».

da lastampa.it
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